inugami
- Cap.1 -
“- Non preoccuparti Kagami-kun…-“
La sua era sempre stata una voce sottile, lieve, costantemente ridotta
ad un sussurro per quanto si sforzasse ad alzare il tono - niente
più che un frusciio nel vento.
Neppure quella volta suonò diversa.
Le sue parole non lasciarono trasparire alcun sentimento, cosi come il
volto, all’apparenza apatico, tranquillo.
Una maschera indecifrabile ne occultava ogni emozione, Taiga
gliel’aveva sempre vista addosso da quando l’aveva
conosciuto ed era oramai consapevole essere una parte inscindibile di
lui. Nell’osservarlo non pareva possibile che quelle lacrime,
andate a colmargli gli occhi turchesi - luminosi come un cielo sereno e
vasti due volte esso - , e a bagnargli le guance nivee, fossero le sue.
“- Kuroko
perché piangi?-“
si stupì Kagami nell’udire la propria voce, la
quale
sembrò provenire da un luogo molto distante da quello in cui
si
trovava. Tetsu gli era a soli pochi metri più avanti, un
puntino
bianco immerso nel grigiore di tutto quel cemento e
nell’ oscurità del sottosuolo, ma quella distanza
gli parve
immensa, come se il ragazzo dai capelli celesti in realtà
non
fosse più lì, scomparso in un qualche altro
posto,
lontano da lui.
Irraggiungibile per quanto tendesse le braccia.
Subito il rosso accantonò quella sensazione di impotenza che
la
visione dell’amico gli aveva portato. Non capiva da cosa
fosse
causata e non ci volle pensare. La certezza che qualcosa di terribile
stesse per accadere però non lo abbandonò, non
riuscì a scacciarla, ed essa si sedimentò in
profondità nel suo animo, facendo nascere un germoglio di
gelida
paura nel suo petto.
Doveva raggiungerlo!
Infondo erano poco più di cinque passi, non ci sarebbe
voluto
nulla a coprirli, e avrebbe potuto nuovamente stringere il corpo di
Tetsuya al proprio petto. Già ne avvertiva il calore della
pelle
sotto i polpastrelli delle dita, memori di tutte
quell’infinità di volte in cui aveva
già compiuto
un simile gesto. Ne avrebbe respirato il profumo, lieve ma dolce della
sua pelle, poi gli avrebbe scompigliato i capelli per dispetto, ridendo
del rimprovero che avrebbe letto in quello sguardo chiaro,
probabilmente stizzito ma non realmente arrabbiato.
Avrebbe fatto tutto questo e altro ancora, in quel momento lo
desiderava con tutto se stesso. Aveva l’urgente bisogno di
sentirlo al sicuro al suo fianco, e gli sarebbe risultato cosi facile.
Gli bastava alzarsi e compiere quei cinque passi verso di lui.
Erano solo cinque passi. Cinque. Miseri. Passi.
Ma perché non riusciva a percorrerli?
Voleva raggiungerlo, ma non riusciva a sollevarsi da terra, non capiva
neppure cosa ci facesse lì, disteso a pancia in
giù su un
marciapiede che puzzava di rifiuti tossici.
Doveva essere caduto o qualcosa di simile, non ricordava.
Con uno sforzo immane Kagami riuscì ad appoggiarsi sui
gomiti,
avvertendo quella strana sensazione di torpore che gli aveva invaso il
corpo e annebbiato la mente finalmente abbandonarlo. Non
poté
però far altro che due braccia scure e muscolose lo
ancorarono
nuovamente al terreno, pesandogli sulla schiena, impedendogli di
alzarsi.
“-Ma che
cazz..-“
imprecò voltando la testa dietro di se, scoprendo di non
aver
forze per far altro. Cosa stava succedendo al suo corpo?
Perché
lo abbandonava proprio adesso?
“-
Aomine..?-“
riconobbe il ragazzo che lo sovrastava, bloccandolo con il proprio
peso. Daiki però non né ricambiò lo
sguardo,
continuando a fare forza su di lui, l’oltremare delle sue
iridi
sottili era rivolto altrove, la sua attenzione era tutta per Kuroko.
Un migliaio di campanelli d’allarme cominciarono a risuonare
nella testa di Kagami. Non amava sentirsi in trappola, immobilizzato,
quasi fosse finito in gabbia, e la paura si tramuto in panico con il
lento passare dei secondi, risvegliando la bestia che, sopita, dimorava
in lui.
La razionalità vacillò e Taiga divenne puro
istinto.
Forsennato cominciò ad agitarsi, facendo resistenza alla
presa
di Aomine, che però non sembrava per nulla intenzionato a
lasciarlo andare e lo contrastò con facilità.
Una massiccia quantità d’adrenalina aveva preso a
scorrere
nelle vene del rosso, strappando brutalmente gli ultimi residui di
nebbia che gli avevano oscurato la mente.
Ora sapeva. Ricordava a cosa era dovuto tutto il suo terrore:
Tetsuya stava per morire.
- 2 SETTIMANE DOPO –
La campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni, e
veloci
gli studenti del Seirin abbandonarono le loro classi, invadendo i
corridoi in un vociare allegro e squillante, un miscugli indistinto di
chiacchiere, risa e pettegolezzi.
Tra chi si salutava, chi si dava appuntamento e chi non si parlava.
Ognuno di quegli alunni chiuso nella propria cerchia, quel piccolo e
ristretto mondo da cui non riuscivano a guardare oltre, come
d’altronde valeva per un qualunque adolescente,
nell’illusione di essere divenutati già adulti.
Il silenzio avvolse presto l’edificio quando tutti se ne
furono
andati, i club per quel giorno erano stati sospesi per motivi di
sicurezza, visti gli innumerevoli terremoti che da qualche settimana a
quella parte investivano sempre più ripetutamente la
città.
L’aula della 1-E era già vuota da una decina di
minuti e
il sole lentamente tramontava all’orizzonte, dipingendo
pareti e
banchi con il suo intenso colore aranciato. Un'unica figura nera,
seduto al proprio banco, si stagliava sullo sfondo, forse
l’unico
essere vivente rimasto in tutto l’istituto.
Kagami sbuffò stanco, grattandosi la testa pensieroso,
immobile
nell’attesa. Di cosa poi, non lo sapeva esattamente neppure
lui.
Ormai non era più certo di nulla, di cosa fosse giusto fare.
Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva insicuro, privo
d’appoggio, perso.
Era una sensazione terribile, non ricordava di aver mai provato
qualcosa di simile nella sua breve esistenza. Sembrava come se qualcuno
gli avesse strappato via tutto ciò che il suo corpo
conteneva,
lasciandolo completamente vuoto al suo interno, e non serviva a nulla
rimpinzarsi di hamburger come era solito fare quando il buco ce lo
aveva nello stomaco. Quell’impressione di mancanza, di
perdita
non si colmava.
Non sentiva niente. Non avvertiva neanche più il battito del
proprio cuore, una volta tanto possente da invadergli spesso le
orecchie (soprattutto quando gli andava il sangue dritto al cervello).
Quasi gli avessero tolto anche la voglia di vivere insieme a tutto il
resto.
“E adesso che faccio?” si chiese svogliato,
sollevando
stancamente lo sguardo verso la finestra che dava sul cortile e
lì, vicino al cancello, notò una seconda figura
scura,
simile alla propria, rimanere immobile appoggiata al muro che
delimitava l’edificio.
Strano, credeva che tutti fossero già tornati a casa,
pensò privo di un qualunque interesse, dando però
una
seconda occhiata alla presenza, anche da quella distanza aveva un
ché di familiare.
Non si trovavano spesso persone con i capelli blu.
- Aomine?!- si stupì, credendo forse di star vedendo male,
ma
subito una chiamata di questi al cellulare lo fece ricredere,
- Ohi, anche tu hai ricevuto un messaggio da Akashi, giusto?- non lo
salutò neppure, urlandogli dietro quando ancora doveva
portare
l’apparecchio all’orecchio, attendendo solo che
rispondesse
alla telefonata.
- Uhm… si – ammise Kagami per un momento
titubante,
avvertendo nuovamente l’insicurezza prendergli la gola. Era
quello il fulcro della sua incertezza.
- Bene, allora cosa ci fai ancora lì dentro? Muoviti ad
uscire
che andiamo! – gli intimò chiudendogli la chiamata
in
faccia, sordo ad una qualunque protesta gli avrebbe potuto rivolgere.
- Ma ch..e?- per un istante Kagami guardò lo schermo del
cellulare spegnersi di botto, segno che la conversazione era finita e,
un poco confuso, si affacciò alla finestra, riscontrando che
si,
quel ragazzo là fuori stava aspettando lui ed era proprio
Daiki.
Nonostante la distanza riuscì ad avvertire
l’impazienza nel suo sguardo,
- NON STARE IMBAMBOLATO, MUOVITI! – gli gridò il
moro a
pieni polmoni, vedendolo ancora fermo come un idiota a fissarlo dalla
propria classe, ma attirando cosi l’attenzione di qualche
irritabile professore.
E a quell’ordine Kagami non poté fare a meno di
obbedire,
recuperò la cartella ed uscì di corsa dell’aula. Al
momento
avrebbe dovuto scacciare i propri dubbi e seppellirli da qualche parte
del suo cervello, poiché Aomine non sembrava disposto ad
accettare
alcuna esitazione.
Taiga si rendeva conto di non essere in grado di compiere alcun passo
da solo, ne aveva perso la forza, adesso poteva solo accettare di
lasciarsi trascinare dall’irruenza del ragazzo bronzeo (la
stessa
che soli pochi giorni prima gli era propria), e che fosse lui a
condurlo.
Per una volta quell’egoista, prepotente ed arrogante di Daiki
era proprio ciò di cui aveva bisogno.
“- Aomine-kun,
per favore non fare quella faccia –“
lo aveva pregato Tetsu, e Daiki poteva solo immaginare quanto fosse
penoso il suo volto in un simile frangente, ma non aveva potuto farci
nulla. Di fronte a se vedeva il partner di una vita venir lentamente
consumato, dilaniato da un potere troppo forte per il suo corpo.
Per quanto Kuroko tentasse di nasconderlo, non lasciando che altro,
oltre le lacrime, gli incrinasse il viso, bastava un’occhiata
più attenta per notare i tremiti che percorrevano la sua
gracile
e sottile figura, all’apparenza ancora più piccola
in quel
momento.
Stava per incontrare una fine orribile. Doveva esserne terrorizzato.
Le sue ossa si stavano sbriciolando e i muscoli e i tendini si
spezzavano, Aomine questo non poteva vederlo, ma lo sapeva. Da quando
aveva scoperto la natura delle capacità di Kuroko aveva
voluto
scoprire, essere consapevole di cosa avrebbe atteso il suo compagno.
Inseguito però si maledisse più volte per averlo
fatto.
Se avesse ignorato tutto come Kagami, che ancora si agitava provando a
fuggire alla sua presa - incurante dello squarcio all’addome
che
lo stava lentamente dissanguando -, si sarebbe spinto anche lui verso
Tetsu, fregandosene delle ferite alle gambe e quella, leggermente
più profonda, al torace. Avrebbe solo cercato di fermarlo,
nello
stesso modo in cui stava tentando di fare Taiga, ma che lui gli
impediva.
Il sapere di cui era venuto a conoscenza lo fermava.
Il destino, quella sorta di fato già scritto di cui sempre
Midorima gli aveva parlato (spesso con la recondita speranza di
convertirlo agli oroscopi), ora si delineava preciso e solenne di
fronte ai suoi occhi, e Tetsu vi era invischiato fino alla punta dei
capelli.
Impossibile sottrarsi.
“Proteggi gli
uomini, esorcizza gli spiriti e muori in silenzio”
la scritta che lo aveva più volte accolto nel salone
principale
dalla residenza della famiglia Kuroko, prima che questa venisse
distrutta, acquistava ora un significato.
“- Vieni qui
Inugami-san -“pronunciò Tetsu
congiungendo le mani, formando con le dita il segno del rilascio,
decretando cosi la fine di tutto.
Uccidendo a quel modo non solo se stesso, ma anche una parte di quei
due poveri sventurati che assistevano impotenti alla scena.
Sia Kagami, sia Daiki persero qualcosa di realmente importante quel
giorno.
Non solo un compagno. Non solo un amico.
Ma la persona che amavano.
- Ohi, Aomine! – una voce, roca e familiare, lo
richiamò
alla realtà mentre qualcuno lo afferrava energicamente per
la
spalla,
- Che vuoi..?- si destò Daiki da un leggero sonno con il suo
solito cattivo umore, fulminando con rabbia Kagami che lo aveva
svegliato.
- La prossima è la nostra fermata – lo
avvertì il
rosso, indifferente ad una simile occhiataccia, c’era
abituato,
tornando poi a dargli la schiena per fissare il familiare panorama al
di là del finestrino dell’autobus, la luce dei
lampioni
appena accesi che sfrecciava veloce sotto ai suoi occhi annoiati.
- Si… - grugnì di rimando Aomine, voltandosi
dalla parte
opposta alla sua, il suo sedile dava verso l’interno del
mezzo e
come unica cosa poté solo osservare i pochi altri passeggeri
di
quella corsa.
Oltre a loro c’erano solo: una coppietta di mezza
età, un
anziano dall’aria truce e un travestito;non si
stupì del
leggero strato di sporcizia che ricopriva il pavimento, né
del
puzzo di sudore che appestava l’aria. Non si poteva
pretendere di
più da un autobus che non aveva avuto un attimo di tregua
dalle
cinque di quel mattino.
Quella era sempre stata una tratta molto trafficata, perché
partiva dalla periferia per concludersi in pieno centro (non che fosse
quella la loro destinazione) ed era spesso gremita da un
infinità di persone, giovani soprattutto che ne
approfittavano
per saltate la scuola. Fortunatamente per i due ragazzi, il bus non era
decisamente nel suo orario di punta, anzi, solitamente quello era il
momento della giornata in cui tutti se ne tornavano a casa,
poiché al calar del sole quella parte della città
era
tutt’altro che raccomandabile.
Prossima fermata viale Yomi, si poteva leggere sul piccolo teleschermo
piazzato sopra la postazione dell’autista.
Principalmente, il motivo per cui tutti la evitavano di notte, era che
quella strada aveva la pessima fama di essere infestata dagli spettri.
E se non lo sapevano loro che di lavoro, seppur part-time, facevano gli
esorcisti.
C’era un motivo se l’organizzazione per lo studio e
la soppressione delle entità spiritiche aveva
fatto lì la propria sede.
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