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ARACNOFOBIA E ZUCCHERO FILATO.
Le 16:15. Ancora.
Stavo aspettando davanti all’ingresso del Luna Park da ben 5
minuti, e stavo già impazzendo.
Feci su e giù come una trottola per un tempo infinito, poi
guardai di nuovo l’orologio.
Le 16:18. Dannazione.
Respirai profondamente cercando di calmarmi, ma la mia
iperattività mi stava torturando.
-Calma, Percy. Sei solo arrivato un po’ in anticipo. Andrà tutto
bene.
Devo ammetterlo, averi preferito scontrarmi con un’idra,
piuttosto che stare lì ad aspettare senza fare niente. Per far passare il tempo,
mi misi persino a contare le pecore di Polifemo.
Pensai di andarmene a fare un giro, quando intravidi una
familiare auto nera apparire in fondo alla strada.
Iniziai ad avere caldo.
-Tranquillo Perseus. Hai sconfitto Crono, cosa potrà mai
succedere? È soltanto il tuo primo appuntamento..
L’auto si fermò proprio davanti a me, e il finestrino si abbassò.
Argo mi salutò con la sua mano occhiuta e mi sorrise, con l’espressione di chi
la sapeva lunga.
-Grazie Argo. Torno con Percy stasera.
Lo sportello posteriore si aprì.
INFARTO TRA 3..2..1..
Annabeth scese dalla macchina.
Aveva i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, una maglietta
blu – DEI, LE STAVA A MERAVIGLIA IL BLU -, un paio di semplici jeans abbastanza
attillati - … - e le scarpe da ginnastica.
Era bellissima.
Mi ricordai che non ero sott’acqua e che avevo bisogno di
respirare.
-Ciao, Testa d’Alghe. – mi disse, con un grande e luminoso
sorriso. Si avvicinò e mi diede un leggero bacio a fior di labbra.
Il mio cuore si dimenticò di battere e il mio stomaco si mise a
ballare la samba.
-Ciao, mia dea.. – risposi, sorridendo come un ebete e
ricambiando il suo bacio.
Annabeth arrossì, e gli occhi argentati le scintillarono come
metallo fuso.
La sua vicinanza mi provocava scompensi cardiaci e mentali non
indifferenti. Mi sentivo un dio dalla felicità.
-Allora..Andiamo a divertirci o restiamo qui davanti a fare la
coppietta smielosa? – mi domandò lei, con un accenno di velata malizia nella
voce. Devo ammettere che la seconda opzione non mi dispiaceva affatto, ma
conoscendo Annabeth decisi che era meglio entrare nel parco, onde evitare lo
stampo di cinque dita aperte sul viso. Comunque, rimango dell’idea che rimanere
a sbaciucchiarci non sarebbe dispiaciuto nemmeno a lei, ma non diteglielo.
Così, la presi per mano e mi incamminai attraverso il cancello,
puntando dritto verso le giostre.
-Montagne russe, arriviamo!
Dopo aver fatto la guerra ai mortali sugli autoscontri e tre giri
consecutivi sull’ottovolante, rischiando di non trovarmi niente al posto dello
stomaco, girammo il parco in lungo e in largo, divertendoci come bambini.
Annabeth vinse un paio di partite di tiro al bersaglio, ottenendo
sempre il punteggio massimo. Si vedeva che si era allenata moltissimo
nell’ultimo anno.
Io invece arrivai a malapena a una ventina di punti. Avevo sempre
fatto schifo nel tiro con l’arco e attrezzi simili.
Come premio, lei scelse un pesce pagliaccio peluche.
-Così posso stringerti anche mentre dormo.. – disse, e si
allontanò ridendo, lasciandomi lì impalato come uno stoccafisso.
Ci fermammo a una bancarella di dolciumi, e comprai uno stecco
di zucchero filato azzurro ad Annabeth.
-Ehi ragazzino, mi prendi in giro? – disse il venditore, un po’
scocciato. Anche troppo, per i miei gusti.
-Come, scusi?
-Me lo devi pagare quello. Questi non sono due dollari.
Osservai le monete e arrossii, mentre Annabeth riemerse dalla sua
nuvola di zucchero e scoppiò a ridere.
-Mi dispiace tanto, sono gettoni per gli autoscontri. Ecco a lei.
Presi le dracme d’oro e gli posai in mano i due dollari,
scusandomi altre cento volte prima di andarmene.
Annabeth continuò a sghignazzare per dieci minuti abbondanti,
dando ogni tanto un morso allo zucchero filato, fino a finirlo.
-E dai, smettila! Non l’ho fatto apposta!
-Avevi una faccia così carina, avresti dovuto vederti! – replicò
lei, ridendo di gusto.
Stavo iniziando a seccarmi. Può capitare a tutti di tirare fuori
delle dracme d’oro al posto dei dollari..No? No, eh?
Comunque, per non darla vinta ad Annabeth, misi su il broncio.
Non sopportavo che mi prendesse in giro, e avrei fatto l’offeso per tutto il
resto della giornata.
-Sai che sei adorabile quando fai così? – disse lei, guardandomi
con dolcezza.
Come non detto. Mi sciolsi come neve al sole a sentire quelle
parole.
Lei mi sorrise e mi baciò. Sapeva di zucchero filato.
Ero talmente estasiato che non mi accorsi di aver ricominciato a
camminare, con la mano di Annabeth intrecciata nella mia.
Dopo aver fatto un giro nella casa degli specchi (con non pochi
bernoccoli in testa come souvenir), ripassammo davanti al “Trenino del Terrore”,
e proposi ad Annabeth di fare un giro.
-Non dirai sul serio, Percy.
La guardai con aria interrogativa.
-Non ti piace?
-Là dentro non ci metto piede.
-Annabeth..Continuo a non capirti.
Lei sospirò, quasi offesa.
-È un percorso di paura, Percy. E nei percorsi di paura ci sono
sempre i..
-Non mi dire che hai paura di qualche manichino vestito da
strega!
Annabeth si accigliò ancora di più.
-Non è per quello, Testa d’Alghe.
-E allora? Qual è il problema? – replicai, quasi esasperato. Lei
mi guardò come se volesse uccidermi.
-I RAGNI, PERSEUS. Ci saranno montagne di ragni. – sbottò lei,
rossa di rabbia e frustrazione.
Ah. Ecco.
Annabeth, essendo figlia di Atena, era terrorizzata dai ragni,
per via della questione di Aracne. Pensavo che le fosse passata però, dopo la
nostra impresa nel Labirinto di Dedalo, quando fu costretta a seguire un ragno
meccanico per arrivare nelle fucine di Efesto.
Cercai di nascondere l’imbarazzo e mi diedi dell’idiota per non
esserci arrivato prima.
-Scusa Annabeth, pensavo che non fosse più un problema dopo il
Labirinto. Questi stupidi ragni impagliati non sono nulla a confronto di.. – mi
bloccai. Oh dei. Non mi resi conto di aver innescato una bomba a orologeria.
Dicendo a quel modo, NON avevo insinuato che Annabeth avesse
paura di un ragno finto più di uno vero, brutto e meccanico. Ma lei ovviamente
non la prese così.
Mi lanciò un’occhiataccia carica d’ira, tanto che aspettavo di
sentire lo scrocchiare del mio naso mentre si rompeva sotto le sue nocche.
Quando mi prese per mano sobbalzai, prima di constatare che me la
stava stritolando.
Si avviò impettita verso la biglietteria, pagò due corse e mi
trascinò sul trenino.
I figli di Atena sono orgogliosi, attenti a quello che dite sulle
loro debolezze.
La giostra partì, e Annabeth piantò lo sguardo in avanti, facendo
finta che non esistessi.
Il percorso si snodava in un tunnel buio, illuminato a tratti da
luci soffuse di colore verdognolo.
C’erano pietre tombali, zombie, fantasmi e quant’altro, ma per
conto mio non avrebbero spaventato nemmeno un bambino.
Ad un certo punto sentii Annabeth irrigidirsi, e nella
semioscurità riuscii a vedere che aveva una ragnatela finta attaccata ai
capelli.
A peggiorare la situazione ci pensò la giostra stessa. Eh sì,
indovinate dove finimmo. In una mega riproduzione di una tana di ragni giganti.
-Annabeth, calma. Sono finti, fra poco passeremo questo stupido
scenario. – le dissi, notando che respirava velocemente.
Ovviamente mi sbagliavo. Il trenino si fermò, e la giostra simulò
l’attacco dei ragni finti.
Quello doveva essere il classico istante in cui la ragazza
terrorizzata si aggrappava disperata al suo uomo, e lui la rassicurava
mostrandosi impavido ed eroico. Di certo non avevano preventivato un probabile
incontro con una figlia di Atena.
Da quel momento in poi non capii più nulla. Annabeth schizzò
fuori dal trenino e si abbatté sui ragni come un tornado, circondandosi di una
pioggia di scintille.
Aveva estratto il suo pugnale, e menava fendenti veloci e precisi
a qualsiasi cosa le si avvicinasse.
Appena saltai giù per fermarla, lei iniziò a correre come
un’ossessa lungo il tunnel. Quando sbucammo fuori dal percorso, le persone ci
guardarono allibite.
La raggiunsi e la presi per un braccio, ritrovandomi la lama di
bronzo celeste a mezzo centimetro dalla gola.
Ansimavamo entrambi per la corsa, e Annabeth aveva gli occhi
color piombo per lo spavento. Mi voltò le spalle, rossa di imbarazzo e rabbia, e
fece per allontanarsi a passo svelto. La fermai di nuovo e la abbracciai forte.
Stava tremando.
-Ehi, ehi, tranquilla. È tutto finito.
-Maledetti otto zampe. Ho dato di matto. Scusa.
-No, scusami tu, sono stato un cretino.
Le detti un bacio sui capelli scompigliati e mi beai del loro
profumo fresco di limone.
Mi venne un’idea improvvisa per farmi perdonare.
-Andiamo al percorso sulle rapide. – dissi, prendendola per mano.
Forse non mi avrebbe odiato per la storia del trenino.
Pagai i biglietti e aiutai Annabeth a salire sul gommone.
-Vuoi farti un bagno, Testa d’Alghe? – domandò, l’ombra di un
sorriso sul volto.
Mi concentrai sulle caratteristiche di quella specie di rigagnolo
tumultuoso, aspettando di arrivare in un punto dove l’acqua fosse abbastanza
profonda da tuffarsi. Appena giunti vicino alla base di una cascata, afferrai
Annabeth e mi buttai. Subito una bolla d’aria ci avvolse, e le correnti ci
spinsero sul fondale sotto mio ordine. L’acqua turbinava furiosa sopra di noi,
ma non una sola goccia ci sfiorò la pelle.
-Questo mi ricorda vagamente qualcosa.. – disse Annabeth,
illuminandosi all’improvviso.
Per tutta risposta, le spostai una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e mi fermai ad un paio di centimetri dalle sue labbra.
-Ci stai prendendo gusto, eh Jackson? – sussurrò, portando una
mano ai miei capelli, facendomi impazzire.
Sorrisi e la baciai.
Sapeva ancora di zucchero filato.
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