2.
Sangue e fiducia
La
porta di casa mia non era
mai stata tanto alta, con grosso manico d’ottone e disegni in rilievo
con buffe
forme d’animali. Non ne riconoscevo neanche uno ma sapevo che dovevano
esserlo,
altrimenti cosa volevano apparire con quelle bizzarre corna e gambe
snelle se
non per animali? In fondo non ci diedi nemmeno poi tanto peso, quanto
che tutto,
mi prendeva la luce fioca che scivolava sotto la porta, che sapeva di
grigio e
non certo d’arancio, come il cielo s’era macchiato.
La
spinsi appena e subito mi
lasciò entrare, come invitato: si spalancò e un vento leggero mi
pervase.
Laggiù tutto sembrava diverso: vi era un sentiero segnato da ghiaia e
tenuto
insieme da alberi lunghi, altissimi, e dalle foglie gialle. Sembrava un
tetto
quello che prendeva il posto del cielo, grigio quanto era vero che
tutto là
dentro, era immerso nella fitta nebbia. Non era certo il giardino di
casa mia, quanto
più una camera che voleva farmi credere di essere in una foresta
d’autunno.
Sentii
qualcosa strisciare lungo
le mie gambe e Pussy mi sorrise.
«Andiamo,
June, hai trovato
il percorso», miagolò, per poi sparire ancora dietro un albero.
Tentai
di fermarlo facendo un
passo verso il sentiero, tuttavia in quel momento capii che il mio
gatto mi
sarebbe stato vicino, nonostante la sua presenza fosse un continuo
viavai.
Era
di un piacevole fresco
laggiù, che mi ricordò di avere indosso solo una maglietta a maniche
corte che
avevo usato come pigiama, e un pantalone da tuta da ginnastica vecchio
e
logoro, che usavo per stare a casa. Ero scalzo. Non era certo
l’abbigliamento
adatto per stare in un posto come quello, eppure non me ne importavo,
tentavo
di ignorare il dolore ai piedi freddi che si sformavano e infossavano
passando
fra la ghiaia.
Mi
voltai e della porta di
casa mia non c’era più traccia, solo il sentiero che proseguiva nella
strada
opposta. Capii che non c’era più verso di tornare indietro, ora che
avevo fatto
il primo passo verso l’avanti, un avanti che non conoscevo e che mi
sembrava
curioso.
Più
camminavo lungo gli
alberi e la ghiaia e più mi saliva una sensazione di forza. I piedi non
li
sentivo più che neanche ricordavo di averli; tutto ciò che mi sembrava
avere
importanza stava nell’idea che il sentiero non era poi tanto male, che
non vi
era niente di pericoloso che potesse crearmi difficoltà, che cominciavo
ad
abituarmi a quell’arietta fresca e lucida, e che tutto laggiù
cominciava ad
essermi amico, man mano che osservavo la foresta.
Sorridevo
fiero che neanche
sapevo più perché, quando all’improvviso un mugugno di dolore prese la
mia
completa attenzione e mi fermai. Era l’unica cosa diversa che avevo
sentito dal
momento in cui misi piede laggiù; anzi era l’unica cosa che sentii, che
di rumori,
dal momento che ci feci caso, non sentii proprio altri.
Un
altro mugugno e infine
capii da chi o cosa provenisse, accostandomi ad un masso, che stava in
mezzo al
sentiero mio. Una palla di pelo si muoveva con lentezza, continuando a
lamentar
dolore, e annaspando come nessuno avevo visto fare mai.
«Ehi…
Stai male?», chiesi
incoscientemente, che una domanda simile non poteva aver alcun
significato se
vedevo bene già con gli occhi miei che bene non stava e che sangue
perdeva.
«Dove sei ferito?».
Avevo
paura di toccarlo, quel
cucciolo. Era piccolo, bagnato e tremava: un cagnolino solo nella
foresta, cosa
mai poteva farci?
«So-»,
prese respiro il cane.
«Sono stato ferito», disse poi, fissandomi con quegli occhi neri e
lucidi, che
in me avevano smosso qualcosa.
«Ma
chi è stato a farti una
cosa del genere?». Non potevo credere potesse esistere qualcuno a
questo mondo
tanto cattivo da poter fare un male tanto grave ad un piccolo
cagnolino; era
una cosa che accettare non potevo.
«Non
so chi sia stato… Io mi
ero fidato», mi gemette tremante.
«Posso
fare qualcosa?»
«Portami
alla fine del
sentiero, ti prego», mi implorò con lo sguardo il cane. «Lì troverò via
di
casa»
Forse
avrei dovuto chiedergli
come fare a fermare il sangue che perdeva, eppure non ci badai,
cominciando a
chinarmi, per farlo salire sulla mia schiena.
«Io
guarirò», gemette poi da
solo, come se avesse potuto leggermi la mente. «Se sarai gentile con me»
Continuammo
il sentiero, e mi
accorsi come quella sensazione di forza che provai agli inizi svanì
lentamente
dal mio corpo. Ero preoccupato per il cane alle mie spalle, che era
piccolo e
innocente, e io dovevo prendermi cura di lui.
Sentivo
la schiena bagnata
del suo sangue, ma il cane non mugugnava più dolore da qualche metro,
al
contrario lo sentivo odorare con fervore sotto i miei capelli,
procurandomi un
certo solletico.
Non
mantenni più le risate e
il cane sembrò ridere a sua volta dopo di me. Ne fui sollevato.
«Hai
un buon odore», abbaiò
ad un certo punto. «Vuoi essere mio amico?»
«Ma
noi siamo già amici»,
conclusi io.
Fu
in quel momento che mi sentii
pervadere di felicità: un sentimento che già conoscevo ma che eppure mi
pareva
così lontano da procurarmi nostalgia. Avevo mai avuto degli amici?
Degli amici
veri?
Fu
quando stavo per
accorgermi che mi mancava qualcosa che Pussy sbucò da un albero alla
mia
sinistra, con il consueto sorriso. «Dobbiamo fare presto, June»,
miagolò.
«Fortunatamente la porta non è lontana da qui, e meno male che hai
seguito il sentiero
come ti avevo chiesto»
In
quel momento mi chiesi se potessi
anche non farlo, ma forse avrei potuto perdermi e non ero certo uno che
rischiava. Se dovevo fare presto, non avevo il lusso di perdere del
tempo
prezioso a lasciarmi in sciocchezze. Forse, pensai, che se non avessi
conosciuto il cane, avrei anche rischiato. Non per volontà di
rischiare, ma la
sensazione di forza che era svanita, se non lo avesse fatto conoscendo
il cane,
forse mi avrebbe tentato.
Forse,
pensai. Ma al momento di certo non poteva interessarmi.
«Chi
è lui?», mi chiese
Pussy, scrutando sulla schiena. «Non perdiamo tempo, caro padrone,
magari
saresti più veloce senza peso in più»
«Lui
è mio amico»
«Credevo
di esser io amico
tuo», tuonò.
«Siete
entrambi amici miei»,
brontolai, pensando alla solita gelosia tra animali.
Pussy
si zittì e per un
attimo pensai di dover aggiungere qualcosa, quando finalmente vidi la
porta che
chiudeva il sentiero. Non riuscivo a vedere cosa andava al di là di
quel grande
portone di legno che tutto era chiuso tra nebbia e alberi, talmente
fitti, in
quel breve spazio, che costruivano un muro per concludere il percorso.
Pussy
corse per primo e io a
breve mi accostai a lui.
Vi
era una strana apertura
sulla porta, all’altezza del mio petto, e sopra di essa una targa. Non
riuscii
a comprendere tutte le parole, forse non lessi con la dovuta cura, ma
ciò che
compresi mi fece impallidire.
M’inchinai
per far scendere
il cane dalla schiena, che felice mi leccò il viso, scodinzolante.
Sorrisi
vedendo che si poteva reggere perfettamente sulle sue zampe e che il
sangue si
era fatto molto meno: le ferite non erano più quelle di quando lo
trovai per
strada.
«Adesso
apro la porta, dovete
aspettare un attimo», dissi.
«Io
vi saluterò quando
andrete oltre la porta», abbaiò il cucciolo. «Devo tornare a casa»
«Non
verrai con noi?». Fui
come ferito; la sua presenza mi mancava ancor prima che se ne fosse
effettivamente andato.
«Devo
tornare dalla mia
famiglia»
«E
se ti faranno ancora del
male?»
«Può
succedere, ma mi
ricorderò della nostra amicizia e guarirò ancora, lentamente», sorrise
il cane.
Lo
sguardo di Pussy che
indicava la porta mi fece ricordare ancora una volta che non avevo
molto tempo
a mia disposizione e così mi ressi di nuovo in piedi, osservando quella
fessura
sulla porta, con timore.
«Come
bisogna aprire questa
porta, Pussy?», mi voltai a lui.
«Temo
tu conosca già la
risposta», miagolò. Per un attimo il suo sguardo andò a depositarsi sul
cucciolo ed io lo seguii: il sangue. Ne aveva ancora un po’ sulle
zampe.
La
bocca della porta era
piccola e una zampa poteva esser infilata senza problemi. Sacrificio,
sangue,
pegno da pagare. Se volevo proseguire dovevo pagare.
Strinsi
i denti e decisi: ero
io quello che doveva proseguire ed io quello che doveva pagare, non
avrei mai
sacrificato un mio amico. Infilai di fretta il mio dito indice della
mano sinistra,
per non cadere in ripensamenti, quando la bocca della porta si fece più
grande
per farmi spazio e infilai l’intero braccio.
Una
lama veloce mi parve di
sentir strisciare dentro la bocca e un taglio netto accompagnato dal
dolore.
Volevo piangere, ma dovevo esser forte di fronte a loro e mantenni
saldamente
la mia postura.
«Tutto
a posto, mio
campione?», miagolò Pussy, mantenendo un tono vagamente compiaciuto.
«Più
la paura, che il resto»,
dissi, convinto, udendo la serratura della porta scattare e aprirsi
lentamente.
Ne
tirai fuori il braccio e
notai una ferita lungo l’arcata del pollice: tutta rossa al suo interno
mi
parve di vederne un baratro, mentre tutto intorno ad essa le macchie di
sangue
asciutte facevano capire che ciò che serviva era stato prosciugato.
«Buona
fortuna, amico mio»,
mi parve di sentirlo piangere, mugugnando nella flebile voce e
m’inchinai a
salutarlo. «Saremo amici per sempre, lo giuro», abbaiò scodinzolante e
prese
leccarmi la ferita.
«Lo
giuro», dissi anche io e
mi voltai alla ricerca di Pussy, alzandomi in piedi.
«Sono
già innanzi a te»,
miagolò il gatto a pochi passi, dentro la nuova stanza, nel nero più
totale. Lo
seguii e il cane corse indietro.
«Spero
tu sia pronto per
questo, June», miagolò. «Questa sarà difficile»
Mi
guardai la ferita alla
mano e strinsi i denti: nulla poteva esser peggio, pensai, e deciso
presi
passo.
***
Non ci sono scusanti! Da
più di un anno non aggiorno Il
sesto, mi dispiace :(
Da
adesso spero di aggiornare con tempi un po’
più regolari, visto che comunque la storia è finita non dovrei avere
troppi
problemi.
C’è qualcosa da dire su
questo capitolo?
Passate
il mouse...
Due
elementi principali: il cane e la forza. La sensazione di
forza lo avrebbe condotto a sbagliare, questa è stata persa quando ha
deciso di
prendersi cura del cane. Il cane rappresenta un amico, colui che ti
consiglia,
aiuta nel momento di bisogno e ti sta accanto; se un amico non ci fosse
stato
non si sarebbe forse perso? Senza amicizia qualcuno rischia di
perdersi. La
forza rappresenta la spavalderia ed era causata dal sentiero, che
sembrava facile e senza rischi, senza capire che il rischio stesso di
quel posto era dato da quella sensazione, perché lo avrebbe fatto
smarrire e quindi fallire. Invece un amico lo ha aiutato a prendere la
decisione giusta.
Il cane era
ferito. Com'era stato ferito? Le ferite interiori in questo senso erano
esteriori. La ferita del cane era una ferita dell'anima, qualcuno lo
aveva tradito oppure trattato male e si era ferito al cuore. Il cane è
guarito grazie all'amicizia legata a June. La fessura
sulla porta era piccola apposta per la zampa del cane. Una trappola o
un consiglio? June poteva benissimo
sacrificare il cucciolo ma ha preferito farsi male. È stata la
decisione giusta?
Onni Onni ->
Scusami
davvero tanto per
l’attesa!
Comunque sembri perfetto per questa storia, sei perfino nato a giugno
:D Spero
di non deluderti con i capitoli che seguiranno ^_^’
Il
prossimo capitolo de “Il sesto” s’intitolerà “Battito,
nero, e paura”!
Ciao,
ciao da
Ghen =^____^=
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