Nota dell'Autrice: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
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Dicono che io sia l’essere
perfetto. Molti mi odiano, molti
altri nemmeno mi considerano, ma altrettanti ritengono che al mondo non
ci sia
niente migliore di me.
La gente più che
stupidaggini non sa dire.
Sono le quattro del mattino di una
gelida fine di febbraio, e io
me ne sto qui, chino sul lavandino del bagno della mia stanza
d’hotel, una
delle tante, a guardare il sangue che mi cola dal naso senza
arrestarsi. Non mi
è capitato spesso di avere emorragie simili, ma non posso
negare di provare un
certo fascino verso questo contrasto: il bianco della ceramica e delle
mie
mani, il nero delle mie unghie, il rosso del sangue.
Alzo appena gli occhi e incontro me
stesso nello specchio,
immerso nelle tenebre quasi assolute, eccezion fatta per qualche vaga
luce
proveniente da fuori, dalla strada.
Mi sono spesso sentito dare del
vampiro, e forse ora capisco
anche meglio il perché. Probabilmente sembro più
un non-morto che un umano, ora
come ora, bianco come un cadavere, con questi cerchi scuri attorno agli
occhi
stanchi e languidi, macchie di sangue sulla bocca e sui vestiti.
Bill Kaulitz, la grande rockstar, si
guarda allo specchio e
non vede nessuno.
Tutti lo sanno, i vampiri non hanno
riflesso.
Comincio a pensare che la mia
identità sia diventata il gioco
preferito dei media: decidiamo se Bill Kauliz è uomo o
donna, etero o gay, in o
out, anoressico o autolesionista, drogato o malato di cancro ai
polmoni, vivo,
morto o morente…
Chi se lo ricorda più se
sono una, mezza o nessuna di queste
cose.
Fa freddo, e la maglietta che ho
indosso è sicuramente poco
utile in questi termini, ma è ormai da un po’ di
tempo che non trovo calore in
niente.
O quasi.
Da tre giorni non chiudo occhio, e di
questo passo nemmeno i
truccatori più esperti del mondo riusciranno a rendermi
presentabile al
pubblico. Potrei dare la colpa all’overdose di stress a cui
sia io che gli
altri siamo sottoposti, o ai continui assalti di stampa e paparazzi, o
magari
al semplice fatto che la mia vita sta lentamente crollando su se
stessa. Nemmeno
so cosa rimarrà - se qualcosa rimmarrà - sotto alle macerie.
Sento la testa che comincia a
girarmi. Apro l’acqua fredda e
ne raccolgo un po’ con le mani, sciacquandomi il viso come se
sperassi che assieme
al sangue si possa lavare via anche tutto il resto: ansia, stanchezza,
incertezza,
frustrazione, malinconia, paura…
Dubbi.
Ho sempre creduto nei Tokio Hotel,
fin dal primo momento, e
non smetterò facilmente di farlo. Checché ne
dicano quelli là fuori, quegli
idioti che amano inventare favolette e fantasiose storielle su di noi, su chi siamo e da chi
prendiamo
ordini, prima ancora di essere un gruppo, siamo stati amici. Lo siamo
ancora.
Lo saremo sempre.
Voglio credere che sarà
così.
Amo quello che facciamo, amo cantare
e viaggiare, amo i
nostri fans, sono immensamente grato a tutti loro per quello che fanno
per noi,
ma sono arrivato ad un punto della mia vita in cui è sorta
la necessità di
fermarsi e mettersi a fare i conti.
Ci hanno già proposto
diverse volte di scrivere un libro, di
raccontare la verità una volta per tutte, di raccontarci,
per toglierci di dosso tutte le cazzate che il mondo
ci butta addosso, per gridare a tutti chi siamo.
Per soldi, prima di tutto.
La mia vita non è un conto
in banca, anche se probabilmente,
se lo dichiarassi pubblicamente, quasi tutti riderebbero.
Perché ovviamente sono
un ipocrita che dispensa stronzate dalla mattina alla sera e fa
perennemente
buon viso a cattivo gioco davanti al pubblico, perché siamo
nell’era degli
inganni e delle serietà, e qualsiasi sorriso è
una bugia.
È questo che vedono le
persone, da fuori, quando mi vedono
sorridere? Un amabile bugiardo che cerca di accattivarsi il mondo?
Cerco di scrutare nei miei occhi,
cercando qualche cosa che
mi rassicuri, sforzando un sorriso che sa di bugia in tutto e per
tutto. Non mi
riconosco.
Io non sono un bugiardo. Questo non
sono io.
Ich bin
nich’ ich…
Chiudo l’acqua, le mani
gelate, e mi appoggio al lavandino,
le dita che afferrano il bordo come se fosse tutto ciò che
mi tiene in piedi.
Mi sento debole. Debole dentro.
Il ritmico gocciolare
dell’acqua dal rubinetto mi distrae.
Conto ogni goccia pensando al tempo che passa, agli anni che si perdono
uno
dietro l’altro, e davvero mi sembra ieri che io e Tom abbiamo
conosciuto Georg
e Gustav.
Quest’anno fanno otto anni.
Metà della nostra vita, quasi.
Metà delle nostre vite fuse insieme, legate così
profondamente da essere una
cosa sola, e le nostre anime intere dedicate a questa band che
significa
tantissimo per noi.
Mi fa male che chi non sa ci accusi
di essere solo un banale
fenomeno costruito. La nostra amicizia è sempre venuta prima
di tutto il resto.
Mi tampono distrattamente il viso con
l’asciugamano e mi
trascino a piedi nudi fino al letto, fissandomi le mani ancora
incrostate di
sangue in qualche punto. Mi siedo, senza ben sapere cosa fare. Ho
freddo,
dannatamente freddo, e mi sembra di avere un buco nero dentro che sta
risucchiando tutto ciò che sono.
Ich bin
nich’ ich…
L’occhio mi cade su una
rivista che ho abbandonato a terra,
io, Tom, Georg e Gustav in prima pagina, sorridenti (bugiardi?) che
stringiamo
insieme il premio vinto per Spring Nicht come miglior video agli Echo
Awards
2008.
Siamo quello che siamo, come si vede,
esattamente come ci
mostriamo. Le bugie le lasciamo dire a chi ama dipingerci a proprio
piacimento
Ricordo la nostra emozione in quel
momento, l’orgoglio che
ci riempiva nello stringere il trofeo e mostrarlo alle telecamere.
Siamo ancora
dei ragazzini, sotto sotto, e si vede, se uno non è troppo
occupato ad
accusarci di essere un’operazione commerciale.
Trovo patetiche quelle persone a cui
piace additarci
indignate e scagliare pietre contro di noi senza nemmeno avere la
più pallida
idea di chi siamo. Credono di sapere tutto perché leggono
due righe sul primo
giornaletto che capita loro sotto il naso, e allora va bene, spariamo a
zero
sui Tokio Hotel, sono solo quattro bellocci assetati di ricchezza e
fama.
Ich bin
nich’ ich…
Irritato, prendo la rivista e la
lancio nel cestino al lato
opposto della stanza. Un centro perfetto. Peccato non mi capiti mai
quando Tom
mi sfida.
Rabbrividisco e mi sfrego le mani
sulle braccia, cercando di
scaldarmi, anche se so che non funzionerà. Chiudo gli occhi
e nella mia mente
c’è ancora l’immagine di noi quattro,
insieme, felici, vicini.
Ich bin
nich’ ich…
Mi ritrovo a sorridere nostalgico. Ma
perché devo provare
nostalgia per qualcosa che ho ancora?
Sono mio fratello e i miei amici,
loro ci sono sempre.
E adesso so perché sento
tanto freddo.
Wenn du nich’ bei mir
bist…
Non mi fermo nemmeno a pensare. Mi
alzo, a piedi nudi, ed
esco dalla mia stanza, fermandomi alla porta immediatamente davanti
alla mia.
Busso, incurante del fatto che siano le quattro passate e che a
quest’ora ogni essere
umano medio stia dormendo profondamente.
La porta si apre dopo il mio quarto
tentativo, e Gustav mi
guarda come se fossi un alieno, sfregandosi gli occhi assonnato.
“Bill,” mugugna
frastornato. “Cosa ci fai qui? È ancora
buio…”
Senza dire una parola, lo afferro per
un polso e lo trascino
fuori. Lui mi asseconda, penso più per mancanza di
consapevolezza di quel che
sta succedendo che per altro.
Passo alla porta successiva. Di
nuovo, busso un paio di
volte e alla terza Georg emerge dall’oscurità
della sua stanza, i capelli
legati in una coda scarmigliata, gli occhi gonfi e socchiusi.
“Bill, ma cosa diavolo
vuoi?”
Mi guarda accigliato e non sembra
essere del tutto sveglio,
poi il suo sguardo si sposta su Gustav, ma prima che questo possa dire
qualcosa, afferro anche Georg e me lo porto via.
Mi dirigo quindi verso la terza ed
ultima porta, Gustav e
Georg tenuti bel saldi per mano, che mi seguono mormorando parole
sconnesse in
uno stato semicomatoso.
Picchio alla porta con decisione ed
un minuto più tardi
questa si apre lentamente. Appena mi mette a fuoco, Tom mi lancia
un’occhiataccia, appoggiandosi stancamente al muro.
“Bill, cazzo, non
è nemmeno l’alba, tornatene a nanna, da
brava bambina.” Borbotta irritato, poi sembra accorgersi
anche degli altri due.
“Ma che cos’è, una riunione
notturna?”
Senza rispondere, lo faccio scostare
e gli passo oltre,
portandomi dietro Georg e Gustav. Vado verso l’immenso letto
a due piazze di
Tom e ce li faccio accomodare, e loro obbediscono remissivi,
accogliendo con
piacere l’idea di rimettersi a dormire.
Tom viene verso di noi,
apparentemente troppo scioccato per
intervenire.
“Ma si può
sapere cosa cazzo ti prende?” mi chiede
incredulo, fissando ora me ora gli altri due a bocca aperta.
Io mi limito a trascinare anche lui
nel letto, dove Gustav e
Georg già si sono accaparrati i due cuscini e se li
stringono sotto la testa.
“Fateci un po’ di
spazio.” Ordino, cercando di incastrare me
e Tom in mezzo a loro. Georg rotola appena sul lato sinistro del
materasso,
Gustav verso il destro, lasciandoci posto.
Quando siamo tutti e quattro
sdraiati, pigiati come sardine,
tiro su le coperte e li osservo soddisfatto, Georg da un lato, Tom e
Gustav
dall’altro.
Non ho più freddo.
“Un giorno ci spiegherai il
perché di tutto questo?” domanda
Gustav, facendo un po’ di spazio a Tom sul cuscino.
“Non lo voglio
sapere.” Brontolano
Georg e Tom all’unisono.
Io rido.
“Un giorno, forse, in punto
di morte o sotto tortura cinese,
ma non vi assicuro l’assoluta sincerità,
perché sono cose che…”
“Bill,” sbotta
Tom, la voce impastata dal sonno. “Buonanotte, eh?”
“’Notte.”
Fanno eco gli altri due, e a me non resta che assentire.
“Buonanotte.”
Ich bin nich’ ich
wenn du nich’ bei mir bist, dann
bin ich allein…
Adesso va tutto bene, non mi importa
più di niente,
se non del fatto che siamo qui, tutti e quattro, oggi come allora, e so
che sarà
sempre così.
“Ragazzi?”
Tre rantoli sommessi mi rispondono
con una punta di
impazienza.
“Vi voglio bene.”
Tre risate soffocate, poi una mano, che
riconosco come quella di
Georg, sale a scompigliarmi i capelli alla cieca.
“Anche noi ti vogliamo
bene,” mi rassicurano, e il tono
delle loro voci non è bugiardo, ma più sincero
che mai. “Ora, però, buonanotte
e basta.”
Sono queste le cose che il mondo non
vedrà mai, di cui
nessuno, io per primo, verrà mai a parlare, ma esistono, e
la gente può dire
quello che vuole di noi, a noi non importa.
Noi siamo quello che siamo, e siamo
uniti. Sempre.
Penso ancora a come mi sentivo solo
una manciata di minuti
fa, e quasi fatico a credere quanto poco mi sia bastato per
dimenticarmi tutto
quanto.
Getto un ultimo sguardo ai miei tre
compagni di sempre, e
non posso non trovarli adorabili, già immersi nel mondo dei
sogni. Sorrido,
ricordando giorni ormai lontani, ma più simili che mai
all’oggi, poi chiudo gli
occhi, e, finalmente, dopo tre lunghissimi giorni, mi addormento.
An deiner Seite, nur eine
Weile, du bist nicht
alleine.
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A/N: Era un po' che avevo in mente qualche cosa di simile, e oggi mi è venuta l'ispirazione per questa oneshot. Ho da poco visto un discorsetto di Bill dopo aver ricevuto un premio (credo fosse proprio il sopraccitato premi degli Echo) e mi ha fatto riflettere. Ho quidi cercato di immaginare come possa sentirsi uno di loro in determinate circostanze (Bill, in questo caso) e questo è quanto ne è conseguito. Il titolo è tratto dalla meravigliosa "In Die Nacht", anche se in questo caso non vuole riferirsi solo a Tom, ma all'intero gruppo, come penso si sia già capito.
Vi lascio anche le traduzioni delle due canzoni che ho citato, ossia "Ich bin nich' ich" e "An Deiner Seite (ich bin da)":
Io non sono me stesso/quando tu non sei accanto a me/io sono solo...
+
Al tuo fianco/solo per un momento/tu non sei solo.
Spero sia stato di vostro gradimento, così come sarà di mio gradimento se vorrete lasciare una recensione.
Un abbraccio. |