Come sei veramente
Before it's too late
Hold on before it's too late
We'll run til we leave this behind
Don't fall just be who you are
It's all that we need in our lives
E questo, che razza di saluto è stato?, si
chiese Jack Twist, allontanandosi lentamente da quel piccolo agglomerato di case che era Signal sul suo furgoncino
scassato, guardando la figura
di Ennis del Mar che si faceva sempre più piccola e sottile nello
specchietto retrovisore.
"Pensi di tornare, l'estate prossima?" aveva tentato Jack, tendendogli la mano.
"No, non credo", era stata la risposta. Ennis, a testa bassa, gli
occhi nascosti dalla tesa del cappello, la sacca contenente gli scarsi effetti personali su
una spalla, non aveva nemmeno sfilato le mani dalle tasche. "A novembre sposo Alma, vedrò di trovare un lavoro
in un ranch vicino a casa."
Alma. Già, la fidanzata. Jack aveva ritirato la mano. "Ah. Allora, ciao. Magari ci si rivede."
"Magari, forse. Addio."
Neanche due estranei si salutano così, figurarsi due persone che avevano
passato insieme tutto quello che avevano passato loro durante quella strana e meravigliosa estate.
Ennis aveva paura, considerò Jack. Una dannata,
fottutissima paura.
Buffo, per un duro come Ennis del Mar, che
sembrava non temere niente e nessuno (o almeno, così cercava di dare ad intendere), che non sprecava mai parole, che
a fatica concedeva gesti di tenerezza, che era capace di scolarsi mezza
bottiglia di whisky
senza battere ciglio, che con un pugno ti lasciava un livido grosso
così e la mascella indolenzita fino al giorno successivo. Tutta
da ridere: un duro come lui che aveva
paura di guardarsi dentro, paura di
veder crollare tutte le proprie certezze come un
castello di carte al
soffio di un bambino. Jack avrebbe potuto giurare che questo era il suo
problema: in quegli ultimi mesi aveva imparato a conoscerlo piuttosto
bene.
Chissà poi perché Ennis si sentiva tanto
spaventato e sconvolto. Era la parola finocchio, a metterlo
sottosopra?
Se amare Ennis lo rendeva un finocchio, Jack si sentiva ben
contento di esserlo, al diavolo la fottuta morale. Che
male c'era poi ad essere omosessuali, se significava essere
legati a un altro uomo quanto lui si sentiva legato ad Ennis? Sulla
Brokeback, durante
quei mesi in cui avevano lavorato come guardiani del gregge di
pecore
di Joe Aguirre, Jack ed Ennis avevano a poco a poco costruito un solido
rapporto di stima e affetto, un'amicizia profonda che li legava
più che se fossero stati fratelli, sangue dello stesso sangue.
Avevano condiviso brutte esperienze e momenti divertenti, si erano
scambiati pugni e pacche sulle spalle, avevano insieme riso e
litigato, avevano spartito il whisky scadente e le sigarette
durante le gelide notti davanti al fuoco, con Jack a intonare
melodie all'armonica ed Ennis ad accompagnarlo con la sua voce bassa,
dall'accento strascicato.
E poi, c'era il sesso: ciò che distingueva inequivocabilmente il
loro rapporto da una semplice per quanto profonda amicizia.
Jack non aveva mai desiderato altri uomini prima di quell'estate, anzi
le donne gli erano sempre piaciute parecchio. Era pesante di
fianchi e non troppo alto, ma il viso dolce, i grandi occhi blu e i
capelli neri come
ebano gli avevano fruttato svariate conquiste fra le ragazze
scollacciate che affollavano i bar alla sera, dopo i
rodei a cui spesso partecipava. Ma
doveva ammettere che con Ennis era tutta un'altra
cosa: una
sgualdrinella qualsiasi non avrebbe potuto reggere il confronto.
La prima volta era stata piuttosto rude, in verità.
Era successo poco
più di un mese dopo il trasferimento al campo. Quella notte era
stata
più gelida che mai, loro avevano bevuto troppo, e Jack aveva
convinto Ennis a restare con lui nella tenda che fungeva da campo
base, anziché tornare su al pascolo, come Aguirre
aveva loro ordinato di fare. Ennis, d'abitudine ligio al dovere,
dapprima aveva
resistito, poi si era lasciato convincere. Avevano condiviso il sacco a
pelo, ed era stato Jack a stringersi ad Ennis, portandosi la sua
mano gelata sulla patta dei jeans, inebriato dall'alcol e dal
calore e
dall'odore del corpo dell'amico, un misto di whisky, sigarette,
muschio e sapone. Non
aveva
idea di quale sarebbe stata la reazione, ma aveva voluto provarci:
aveva bisogno di
fare sesso, aveva bisogno di essere toccato, ed essere toccato da Ennis
del Mar
non
gli era sembrata una cattiva idea. Ennis era
attraente, con la sua figura alta e slanciata, le
spalle larghe, le mani forti e nervose, i capelli
biondi un pò troppo lunghi, e quei rari sorrisi che gli
illuminavano gli occhi scuri. Del resto, non succedeva anche fra i
militari? Quando mancano le donne, ci si arrangia come si può,
ed erano ormai sei settimane che lui ed Ennis vivevano isolati sulla
Brokeback, lontani da tutto e tutti, come
compagnia solo pecore, agnelli, cavalli, muli, cani, animali selvatici,
e la natura incontaminata della montagna.
Ennis aveva tolto la mano ed era schizzato fuori dal sacco a pelo come
se il corpo di Jack fosse stato incandescente. Jack l'aveva trattenuto
per le spalle, Ennis l'aveva preso per i polsi, e dopo qualche secondo
in cui le forze si erano bilanciate e gli sguardi incrociati e inchiodati, Jack aveva lasciato la presa per
slacciarsi la cintura.
"Cosa fai?" aveva chiesto Ennis, con voce roca, tremante.
Per tutta risposta, Jack si era sbottonato i jeans, protendendosi in
avanti per baciarlo. Ma Ennis non l'aveva baciato: aveva girato Jack,
l'aveva messo carponi, si era slacciato e abbassato jeans e slip e
l'aveva preso
senza troppe cerimonie, tanto che Jack non si era quasi reso conto di
quello che stava succedendo, finché Ennis non l'aveva penetrato.
Non che fosse stato brutto, anzi. Era stato frettoloso, violento e, ammettiamolo pure, doloroso, ma decisamente intenso.
La mattina successiva, Ennis era scappato dalle pecore, senza proferire
parola e senza toccare cibo. Al tramonto era tornato, ma aveva seguitato nel suo
ostinato silenzio. Non sapendo che fare, temendo di avere rovinato tutto, Jack l'aveva lasciato
davanti al
fuoco e si era rifugiato nella tenda, in un misto di vergogna e senso
di colpa: era stato lui, sì, ad iniziare, ma poi Ennis aveva
gradito, quanto e forse più di lui.
Ennis lo stava facendo sentire come una verginella sedotta e abbandonata, e questo non gli piaceva.
Poco dopo Ennis era entrato, zitto, con gli occhi bassi, l'espressione
mortificata, e Jack si era immediatamente reso conto della sua paura,
della sua confusione, del suo senso di colpa: diverso però da
quello che provava lui.
Se Jack si stava sentendo in colpa esclusivamente verso Ennis, per
averlo trascinato in qualcosa che Ennis non voleva affrontare, Ennis si
stava sentendo colpevole più che altro per tutto
ciò che il loro gesto della notte precedente implicava - ed
era molto, forse troppo per lui, per entrambi.
"Io... scusami", aveva bisbigliato Ennis.
Jack gli aveva preso il viso fra le mani, dolcemente, l'aveva tirato a
sé e l'aveva finalmente baciato, sussurrandogli
Va tutto bene, va tutto bene, come a un bambino piccolo. Ennis a
poco a poco si era sciolto, si
era lasciato baciare e abbracciare e coccolare e l'aveva a sua volta
baciato, abbracciato, coccolato.
Quella volta era stata dolce quanto la prima era stata rude.
E molte altre erano seguite, soprattutto durante la notte, nella tenda,
ma talvolta anche di
giorno, nel fresco del bosco o sull'erba o nell'acqua
cristallina del fiume. La montagna era stata loro complice, li aveva
riparati e protetti; Jack aveva trovato quei luoghi selvaggi e
incontaminati
lo scenario perfetto per quello che stava avvenendo fra lui ed
Ennis.
L'unica cosa che era mancata a Jack, inguaribile romantico, era forse
un
maggiore abbandono emotivo da parte di Ennis, un maggiore contatto
fisico al di fuori delle solite contorsioni: un abbraccio, un gesto di
tenerezza, una parola dolce. Ma Ennis lasciava cadere a vuoto
quasi ogni
tentativo di Jack in quel senso. Una delle poche volte che l'aveva
sbalordito, e che Jack non avrebbe mai dimenticato, era stata
quella notte in cui, prima di tornare dalle pecore, l'aveva
abbracciato da
dietro, stringendolo a sé, ed era rimasto così per
chissà quanto tempo, cullandolo dolcemente, respirandogli sulla
nuca, giocando con il
collo del suo giaccone, canticchiando sommessamente una nenia che
sembrava una ninnananna, ricordo dell'infanzia.
Jack aveva abbandonato il peso del proprio corpo contro quello di
Ennis, appoggiato la testa sulla sua spalla, chiuso gli occhi, e
aveva pensato che per un abbraccio del genere ogni giorno avrebbe dato
qualsiasi cosa, avrebbe potuto rinunciare persino al sesso. Sapeva
però che qualsiasi rinuncia sarebbe stata vana: Ennis era
freddo e impenetrabile, a volte irruento ed impetuoso, ma
raramente dolce e tenero, quasi si vergognasse di poterlo essere.
Jack aveva imparato a fare tesoro di quei rari e brevi momenti;
era la loro eccezionalità a renderli ancora più
preziosi.
A volte aveva pensato, Cosa succederà quando dovremo tornare giù?
Ma si era affrettato a scacciare quel pensiero, come si scaccia un insetto
molesto. Voleva continuare a godersi quell'estate senza che niente
o nessuno, fosse anche
un cattivo pensiero o uno stupido pregiudizio, potesse guastarla,
sentendosi il
padrone del mondo come solo a vent'anni ci si può sentire, senza
alcuna responsabilità o preoccupazione che non fossero quelle
derivate dal gregge. In tutta la sua vita, non era mai stato
così bene come si trovava ora in compagnia di Ennis del Mar, non
aveva mai provato niente del genere per un'altra persona, uomo o donna
che fosse, e il fatto che anche Ennis fosse un maschio non lo
preoccupava minimamente. Si godeva il proprio amore con tutta la
spontaneità e la naturalezza di un bambino che si gode
l'abbraccio della mamma.
Capiva però che era Ennis ad essere preoccupato. Non ne aveva
mai parlato apertamente, del resto Jack non aveva bisogno che
Ennis parlasse, per capire quello che gli passava per la testa. Gli
bastava osservarlo un secondo, gli occhi che si rabbuiavano o
illuminavano, le due fossette ai lati della bocca più o meno
marcate, il solco fra le sopracciglia che si inaspriva, le sottili
rughe orizzontali sulla fronte quando sorrideva, le mani intrecciate
dietro la nuca, o a giocherellare fra i capelli, o accendersi
nervosamente una sigaretta, o alla bocca, a rosicchiarsi le unghie...
Ennis per lui era un libro aperto, anche quando taceva.
Una sola volta, Ennis aveva dichiarato all'improvviso, guardando
lontano, verso la valle buia: "Io non sono così. Non
sono un finocchio."
Le sue parole avevano ferito Jack come una coltellata in
pieno petto. Avrebbe voluto prenderlo per il colletto della giacca e
gridargli, Mi scopi praticamente ogni giorno, e cos'è adesso
quest'uscita del cavolo? Hai forse intenzione di dimenticare
ogni cosa, quando torneremo giù, di tornare alla tua vita
come se niente fosse successo?
Jack si sentiva già abbastanza avanti nella faccenda per sapere
che lui
non ci sarebbe riuscito. Ed era convinto che per Ennis sarebbe stata la
stessa cosa, anche se Ennis non l'avrebbe mai ammesso. Così
aveva deciso di lasciare perdere, di lasciare tempo al tempo, e
aveva ribattuto: "Neanch'io."
"Questa storia rimane fra noi", aveva ribadito Ennis. "Inizia qui e si chiude qui."
Jack aveva annuito. Non era il momento per
discuterne. Ne avrebbero riparlato, al momento giusto.
Alla fine dell'estate.
Poi
però, improvvisamente, neanche a metà di agosto Aguirre aveva ordinato loro di riportare
giù il gregge in anticipo, a
causa di una brutta ondata di maltempo che
si
stava approssimando, portando neve, grandine e tempesta. Al
solito, Ennis non si era scomposto: l'unica cosa che gli seccava,
aveva sbottato, era perdere un mese di stipendio. Ma Jack si era sentito
morire: al diavolo i soldi, non
voleva separarsi tanto presto da Ennis. Lo amava, maledizione... lo
amava come mai aveva amato un altro essere umano.
Sapeva però che Ennis non era pronto ad affrontare la questione. Avrebbe
ribadito che non era un finocchio, che la sua vita non era
quella, che ciò che stava succedendo sulla
Brokeback era solo affar loro, ed era destinato a chiudersi lì,
per quanto intenso fosse: loro due insieme, nella vita reale, era fuori questione, assolutamente impossibile.
Maledetto stupido finocchio omofobo del cazzo.
Il pomeriggio precedente alla partenza, il nervosismo
fra loro era stato denso come una coltre
di nebbia. Più di una volta Jack era stato sul punto di iniziare
il discorso, al diavolo le reticenze di Ennis, sull'inizio di una vita
insieme, gestendo magari un piccolo ranch. La fattoria dei suoi,
per esempio, a Lightning Flat... suo padre iniziava ad essere in
là con gli anni, il suo corpo era acciaccato dai troppi
rodei: avrebbe proprio avuto bisogno di qualcuno che gli desse una
mano con il podere e gli animali, ed era certo che la madre sarebbe stata felice di
ospitarli finché non si fossero costruiti una casa indipendente.
Ma ogni volta che aveva preso fiato ed era stato sul punto di aprire
bocca, si era scontrato con il muro di ghiaccio che Ennis aveva eretto
intorno a sé quel giorno, più spesso e gelido che mai, e aveva rinunciato.
A un certo punto, irritato fino all'inverosimile, nel tentativo di
allentare la tensione, aveva cercato di coinvolgere Ennis in
una lotta amichevole, come tante altre volte avevano fatto
quell'estate. Questa volta però Ennis non aveva solo fatto
finta: si era battuto sul serio, tanto che anche Jack si era lasciato
prendere la mano e gli
aveva assestato un pugno troppo
forte e troppo ben piazzato, che gli aveva fatto sanguinare il naso.
Preoccupato, scusandosi quasi istericamente, aveva
iniziato a tamponargli l'emorragia con un lembo
della propria camicia, ma Ennis gli aveva tirato un pugno che l'aveva
mandato
lungo disteso sull'erba.
Con la mano sulla guancia colpita, mentre Ennis girava i tacchi e si
allontanava senza una parola, Jack aveva pensato che era tutto finito,
Ennis lo odiava e sarebbe stato inutile - anzi, controproducente - parlargli di fattorie e vita a
due.
Avrebbe voluto piangere, ma si era sentito troppo male anche per
quello.
Alla sera, mentre Ennis stava preparando la cena, l'ultima, Jack gli aveva preso di nascosto
la camicia imbrattata di sangue e l'aveva chiusa dentro la propria, altrettanto macchiata, le aveva
ripiegate accuratamente e le aveva riposte nel proprio borsone.
Una camicia macchiata in cambio di un livido.
Un ricordo di Ennis, nel caso non si fossero più rivisti.
E del resto, sembrava che sarebbe finita così.
Quella mattina avevano riportato le pecore nel ranch di Aguirre,
avevano ritirato la paga e si erano salutati in quel modo assolutamente
inaccettabile, e Jack non aveva potuto fare altro che partire sul suo vecchio furgone.
Quanto avrebbe voluto fare inversione! Avrebbe voluto tornare indietro,
accostare di
fianco ad Ennis, trascinarlo dentro e portarlo via con sé.
Ma poteva solo continuare a guardarlo nel retrovisore finché non
fosse
scomparso, allontanandosi
con il cuore spezzato, il fiato corto e le lacrime agli occhi, come
ricordo una camicia rattoppata e sporca di sangue,
perché non era stato abbastanza coraggioso da prendere in
mano la situazione e mettere Ennis davanti alla
realtà: quello che li legava era troppo dannatamente
perfetto per buttarlo via in quel modo. Tanto peggio se entrambi avevano
l'uccello: si intendevano a meraviglia, e si amavano con
un'intensità così travolgente da fare impallidire qualsiasi coppia
eterosessuale.
All'improvviso Ennis, ridotto ormai a una sagoma indefinibile, scartò in un vicolo.
Ecco, è finita. E' uscito dalla tua vita. E' questo che vuoi?
Torna indietro. Torna indietro e chiediglielo. Chiedigli di restare con te.
Avanti, prima che sia troppo tardi.
Lui non mi vuole.
Non è vero. Lui ha solo paura. Della gente, ma soprattutto di sé stesso.
Ed è ora che tu ti faccia coraggio per tutti e due. O preferisci
dover trovare il coraggio per vivere tutta la vita senza di lui?
Jack frenò secco, fermando il furgone in mezzo alla
strada deserta, le mani strette sul volante, gli occhi al retrovisore.
Ennis non riappariva. Forse si era sentito male, o forse... cosa?
Jack fece inversione e
tornò indietro, il piede a tavoletta sull'acceleratore, il
cuore in gola.
Sapeva che non sarebbe stato facile convincere Ennis, stupido
omofobo che non era altro. E sapeva che, se anche fosse riuscito a convincerlo, la loro relazione sarebbe
stata a dir poco
malvista, per usare un eufemismo: Jack Twist era innamorato e
fiducioso, e forse eccessivamente romantico, certo, ma non era
né cieco né stupido, sapeva che lui ed Ennis non
avrebbero potuto vivere in eterno sulla Brokeback,
e avrebbero dovuto affrontare una società bacchettona, puritana
e benpensante. Era così nel maledetto Wyoming, e Jack dubitava
che in altri stati fosse molto diverso.
Sarebbe stata una strada tutta
in salita. Ma ne sarebbe valsa la pena, poteva giurarci.
Il furgoncino nero si stava allontanando in una nuvola di polvere e fumo, e Jack con lui, alla guida.
Ad Ennis del Mar non restava che
raggiungere la fermata dell'autobus e tornare alla propria vita.
Avrebbe cercato lavoro presso qualche ranch non troppo distante da
casa, e a novembre avrebbe sposato Alma.
Prima dell'estate, la prospettiva gli era sembrata entusiasmante. Ma ora, tutto era cambiato.
No, non è vero. Non è successo niente.
Lanciò un'ultima occhiata verso il furgone scassato, che si allontanava lentamente ma inesorabilmente, sempre
più lontano, sempre più piccolo, e s'incamminò, gli occhi incollati sulla
strada, una mano in tasca, la sacca che gli batteva sulla schiena al ritmo dei passi.
Dopo neanche cinquanta metri, una fitta alla bocca dello stomaco,
come un pugno ben piazzato, gli strappò un gemito. Con una mano sulla
bocca per impedirsi di vomitare sulla strada come un cane, Ennis si
rifugiò
in un vicolo lì accanto.
Si
accasciò contro il muro, tossendo, lo stomaco duro come una
pietra, le fitte che diventavano sempre più dolorose,
ma niente veniva fuori
se non semplici conati.
La pessima qualità dei rifornimenti che Aguirre
aveva mandato loro per tutta l'estate stava iniziando a farsi sentire.
Forse anche Jack si sarebbe sentito poco
bene.
Jack.
Dio, Jack. Con i suoi immensi occhi blu dal taglio triste, compensati dal sorriso pronto, dolce e caldo, e il
sedere più maledettamente rotondo e attraente che Ennis avesse
mai visto - peccato non appartenesse a una donna.
Un singhiozzo strozzato gli uscì dalla bocca, e si rese conto che quel dolore era qualcosa di ben
diverso da un'intossicazione alimentare. Non
sarebbe passato altrettanto in fretta.
Jack. Che aveva la passione del rodeo, adorava i cibi piccanti ed era
goloso di dolci come un bambino, e detestava i fagioli con tutte le
proprie forze. Che soffriva il freddo e si lamentava costantemente
delle condizioni meteorologiche. Che era capace di chiacchierare
ininterrottamente per
ore ed ore senza stancarsi, fino a tirarti scemo, ma non gli aveva
quasi mai parlato di suo padre - Ennis era convinto che questo avesse a
che fare con le svariate cicatrici di cui era disseminato il suo corpo.
Il giorno prima, gli aveva tirato un pugno tale da stenderlo. Che
diavolo gli aveva preso? Avrebbe voluto stringerlo a sé e
baciarlo e dirgli che non avrebbe mai voluto separarsi da lui, ma non
poteva. Semplicemente, non poteva. Non riusciva ad ammetterlo a sé stesso, del resto: figurarsi confessarlo a Jack.
E in cambio, l'aveva picchiato.
Che razza di persona era?
Anche oggi, qualche minuto prima, l'aveva salutato gelidamente,
senza guardarlo in faccia. Non gli aveva neanche stretto la mano.
Ma se l'avesse guardato, se l'avesse
toccato, non sarebbe riuscito a lasciarlo andare via.
Che razza di persona era, dannazione? E come faceva Jack ad essere
tanto
innamorato di lui, di uno zotico che, a quasi vent'anni, ancora non
riusciva ad esprimersi in modo appropriato e non riusciva a esternare i
propri sentimenti se non facendo ricorso alla violenza?
Come faceva Jack a essere innamorato di lui, dannazione? E come riusciva a trovare il coraggio di dimostrarlo tanto candidamente?
Maledetto Jack. Maledetto ingenuo idealista!
Picchiò il pugno contro il muro, una, due, tre volte,
escoriandosi la mano, singhiozzando convulsamente. Dio, se faceva male.
Era come se qualcuno gli stesse tirando fuori le viscere dalla bocca,
centimetro dopo centimetro.
Un furgone si fermò davanti al vicolo, oscurandolo completamente. Qualcuno uscì dall'abitacolo e chiuse lo
sportello con un tonfo.
"Ennis?"
La voce di Jack.
Era tornato.
Non avrebbe dovuto.
"Che vuoi ancora?" ribattè Ennis senza voltarsi, rannicchiato nel suo
rifugio, ma un'altra fitta lo fece boccheggiare, mozzandogli le parole.
"Ehi, tutto bene?" allarmato, Jack corse
da lui, gli carezzò le spalle. "Ti
senti male?"
"Ho mal di stomaco", replicò Ennis, duro, scostandosi. "Ora passa. Lasciami in pace."
"Sempre il massimo della gentilezza, eh del Mar?" lo apostrofò Jack, con un ghigno.
"Vattene via, dannazione!" scattò Ennis,
spintonandolo
indietro. "Vattene!" Ecco che ci ricascava. Avrebbe voluto rifugiarsi fra le
braccia di Jack in cerca di calma e pace, ma non era possibile, non erano
più sulla Brokeback: allora non trovava di meglio che lasciarsi
andare alla collera.
Si guardarono per un attimo, Jack stranamente tranquillo, come se
si fosse aspettato una reazione del genere. Poi Ennis si
riappoggiò al
muro, a capo chino. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi,
ma le ricacciò indietro.
Jack sospirò, inginocchiato vicino a lui. "Stai male come sto male io?"
"Di cosa parli?"
"Lo sai di cosa parlo."
"No."
"Bè, allora te lo dico io. Sono tornato indietro perché
non sopportavo di stare così male. E neanche tu ti stai
divertendo, vedo."
"Smettila, Jack."
Jack prese dolcemente la faccia di Ennis fra le
mani, lo tirò a sé ed appoggiò la sua fronte
accaldata alla propria. "Ennis, guardami. Ascoltami."
Ennis, lo sguardo basso, non rispose, non si mosse. Non
voleva incontrare gli occhi color cobalto di Jack, non voleva vedere il
livido bluastro sulla mascella, perché sapeva che avrebbe perso il
controllo e avrebbe fatto qualcosa che non doveva.
Jack tacque un secondo, pensieroso. Poi pronunciò parole
che a Ennis sembrarono pura follia:
"Vieni con me, Ennis. Avrei voluto chiedertelo ieri, ma non ce l'ho
fatta, non ho avuto il coraggio. Ora però... al diavolo, io non voglio
lasciarti. Possiamo dare una mano a mio padre con il ranch,
farlo rendere... oppure, costruircene uno noi. Alleveremo mucche,
cavalli... vivremo insieme, sotto lo stesso tetto, dormiremo insieme
nello stesso letto, ci sveglieremo insieme la mattina. E sarà
bellissimo, come
lo è stato finora, anzi di più."
Ennis rialzò la testa. "Stai scherzando, vero?"
"Mai stato più serio."
"Jack, non possiamo... non posso..."
Gli occhi di Jack si rabbuiarono.
"Dillo chiaramente, non puoi, o non vuoi? Perché che non puoi non è vero, ma se il problema
è che non vuoi, allora dillo subito e me ne vado."
Ennis lo guardò con occhi lucidi. "Piccolo... Dio sa quanto lo vorrei..."
"E allora perché no, Ennis?"
Jack non capiva, o non voleva capire, o forse tutte e due le cose. Non
riusciva proprio ad arrendersi all'evidenza che la loro storia era
completamente e
irrimediabilmente sbagliata, per quanto doloroso fosse?
"Perché siamo due maschi", esalò Ennis.
Jack allora si alzò, ridendo. "Cristo, del Mar, sai che sei
ridicolo? Non mi sbagliavo, sei proprio un maledetto finocchio omofobo."
"Cos'hai detto?" Ennis si alzò di scatto, come morso da un
serpente, dimentico delle fitte allo stomaco. Afferrò Jack per
il collo della camicia e lo sbattè violentemente con la schiena
contro il muro. "Ripetilo, e questa volta ti rovino."
"Sei un maledetto finocchio omofobo del
cazzo", rincarò Jack, le mani sui polsi di Ennis. I loro visi
erano vicinissimi, le punte dei nasi a sfiorarsi, gli aliti a
mescolarsi, gli occhi negli occhi, fiammeggianti quelli di Ennis,
placidi quelli di Jack. "Puoi pestarmi quanto vuoi, se ti fa stare
meglio, ma non cambierà le cose."
"Sei un bastardo figlio di puttana!"
"E tu sei patetico, del Mar. Sei un finocchio che non vuole ammettere di essere un finocchio."
"Io non sono un finocchio!" sibilò Ennis. Stavano entrambi
sussurrando, si rendevano conto che non era il caso che qualcuno
sentisse quella parte della loro conversazione. Le strade erano
deserte, ma meglio essere prudenti.
"E allora cosa sei? Tu sei un uomo, io sono un uomo. Abbiamo scopato come ricci
tutta l'estate e mi è sembrato che ti fossi
divertito. Cos'è un uomo che ci gode a farsela con gli uomini,
secondo te?"
"Io non me la faccio con gli uomini!"
"Ah no?"
Ennis allentò la presa senza lasciarla del tutto e chinò la testa. "Non me la faccio con tutti
gli uomini, cazzo. Io..." annaspò. Il concetto era chiaro nella
sua mente, ma perché era così difficile metterlo a
parole, nero su bianco? Perché era così difficile
ammetterlo, con Jack ma ancor più con sé stesso? "Io...
non farei mai con un altro uomo quello che ho fatto con te."
"Accidenti, ci stiamo sbottonando", ghignò Jack. "Magari prima
di sera mi dirai che, già che ci siamo, avresti voglia di un'altra scopata. Con me, beninteso."
"Smettila, idiota", Ennis lo scrollò leggermente e lo
lasciò, sempre evitando di incrociare il suo sguardo. Aveva
detto a Jack quello che non credeva sarebbe mai riuscito a
confessare... ma a cos'era servito? Vivere insieme era fuori
discussione. A cosa stavano cercando di aggrapparsi, Jack con la sua
sciagurata proposta, ed Ennis con la propria dannata confessione? Erano
due stupidi, due perfetti idioti che stavano solo prolungando la
propria agonia. Avrebbero dovuto separarsi, presto o tardi, e
più tardi fosse stato, maggiore sarebbe stato il dolore. Prese
fiato, si schiarì la voce. "Ascoltami tu, adesso. Due uomini che
stanno insieme...
non va bene. Finiremo molto male. Quando ero bambino,
al mio paese hanno ammazzato un uomo che viveva con un altro... l'hanno
pestato a sangue, attaccato per l'uccello e trascinato per
metri e metri, finché non gli si si è staccato." Era
successo
quando aveva solo sei anni, ma al
ricordo Ennis sentiva ancora accaponare la pelle, e
rabbrividì. "Mio padre portò me e mio fratello a vedere
il cadavere, abbandonato in una carraia, c'era sangue dappertutto, la
faccia era una poltiglia... e mio padre rideva. Rideva e diceva, Se
l'è voluto. Credo che potrebbe essere stato lui ad ucciderlo."
"Non ci succederà niente del genere", ribatté Jack.
Ma come fai ad essere così tranquillo?, si chiese Ennis.
Poi, a voce alta: "Su alla Brokeback nessuno ci
poteva vedere, ma ora... una mossa falsa e siamo fregati. E... se ti
dovesse succedere qualcosa a causa mia, com'è successo a
quell'uomo..."
Ennis si rese improvvisamente conto che questa era la cosa che lo
preoccupava più di ogni altra. Al pensiero di Jack picchiato a
sangue, con il viso
ridotto a conserva di pomodoro e l'uccello staccato, lo stomaco gli si
ribaltò di nuovo, e si aggrappò al compagno con
una violenza disperata, circondandogli il collo con un braccio e
la vita con l'altro,
nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Quella era la sua
più grande paura. Al diavolo la scoperta di
essere innamorato di un altro uomo, al diavolo la scoperta di essere un
maledetto finocchio, quando aveva sempre provato repulsione, forse
anche a causa dell'educazione ricevuta, per quel genere di rapporti.
Avrebbe potuto accettare la propria omosessualità: non
c'era niente di osceno o vergognoso nell'amore che provava per Jack
Twist, un amore capace di coinvolgerlo mentalmente, spiritualmente e
fisicamente, un amore talmente totale e assoluto da rendere quello che
aveva provato per Alma - che, in un tempo lontano anni luce, avrebbe
voluto addirittura sposare - squallido e banale. E se fosse finito all'inferno, dove inevitabilmente finivano quelli là, secondo suo padre... non sarebbe stato poi così brutto, perché Jack sarebbe stato con lui.
Ma non avrebbe mai accettato di
perdere Jack in un modo tanto atroce, per causa propria.
"Ehi, calma..." fece Jack, sorpreso: non era abituato a tali slanci
d'affetto da parte di Ennis. Ricambiò l'abbraccio, carezzandogli
le spalle tese. "Non ti preoccupare, non succederà
niente di male. Staremo attenti."
"Starai attento", precisò Ennis, staccandosi da lui e scrollandolo piano per le spalle.
"Starò attento."
"Niente smancerie in pubblico. Niente discorsi strani. Promesso."
"Promesso."
"Okay, cowboy", Ennis si guardò intorno, nessuno in vista, e gli
passò lievemente il dorso dell'indice
sulla mascella contusa, indugiando ad accarezzargli la guancia. Gli
aveva fatto un bel servizio, il livido non sarebbe andato via prima di
una settimana. "Non avrei voluto colpirti. Mi dispiace. So che
non
è una buona scusa, ma... ero nervoso."
"Lascia stare, del Mar", Jack sorrise, godendosi il calore della mano
di Ennis sul viso. "L'avevo capito. Ma non mi farò sorprendere
di nuovo. La prossima volta ti
butterò giù prima che tu possa battere ciglio."
Ennis ricambiò il sorriso. "Questo è da vedere."
"Allora, vieni su con me?"
Ennis annuì, raccolse la sacca e seguì Jack fino al furgoncino. Buttò
la sacca sul retro, insieme a quella di Jack,
e si abbandonò sul
sedile del passeggero. Si sentiva sconvolto,
sottosopra. Tutto il suo mondo era finito sottosopra, accidenti!... E
Jack, che restava così tranquillo, sicuro di sé, convinto che tutto sarebbe
stato semplice, quando niente lo era e niente lo sarebbe mai
stato?
Ma in qualche assurdo modo, la sua fiducia lo
stava contagiando. Anche le fitte allo stomaco si erano calmate.
Jack accese il motore. "Vuoi bere qualcosa finché siamo qui?"
"No, sono a posto."
Jack diede gas e si rimise in strada.
Appena si furono allontanati da Signal, allungò la mano e
raggiunse quella più grande di Ennis.
Ennis sussultò, per poi rilassarsi subito dopo: nessuno poteva
vederli, non aveva bisogno di respingerlo. Si voltò verso
Jack, per scusarsi per la propria dannata malfidenza, ma Jack
non lo stava guardando. Il suo sguardo era fisso sulla strada, il suo
viso in fiamme.
"Sono contento che tu sia qui con me",
disse Jack stringendogli forte la mano, senza spostare gli occhi dalla
strada, ma con un'espressione trasognata e raggiante che a Ennis
colmò il cuore di tenerezza. "Io... ti amo, Ennis."
Aveva pronunciato le parole proibite, ed Ennis si trovò
completamente spiazzato. Cos'avrebbe dovuto ribattere? Cos'avrebbe
voluto sentirsi dire Jack in risposta?
Ti amo anch'io. Ecco cosa vorrebbe sentirsi dire, idiota.
E sarebbe la sacrosanta verità.
"Non dire niente", lo prevenne Jack. "Non hai bisogno di dirmi che
mi ami, se non te la senti. Ma avevo bisogno di dirtelo io."
Ennis
tacque, ma il suo sorriso si addolcì.
Rigirò la propria mano in quella del compagno e la strinse forte.
Non oggi, forse, piccolo. Ma presto, molto presto.
Nota: ho scritto questo racconto con la consapevolezza che, nel libro e nel film, non avrebbe potuto
andare così: Ennis e Jack non potevano
stare insieme fin dall'inizio. Quello che rende "I
segreti di Brokeback Mountain" una storia speciale, che mi ha coinvolta
fino al midollo sebbene inizialmente fossi parecchio prevenuta
(credevo si trattasse del solito film strappalacrime con variante - oddio, scandalo!
- di un rapporto omosessuale anziché etero), è secondo me
anche il fatto che i protagonisti si amino con un'intensità fisica e mentale
incredibile, ma si vedano pochissime volte, di nascosto da tutto e
da tutti, in un arco di tempo lunghissimo.
Però, quando nel film Ennis si rifugia in un vicolo dopo
l'addio a Jack, e qualcuno
si affaccia per chiedergli che c'è
che non
va, io ho subito creduto che fosse Jack che era tornato indietro (lo stava guardando nello specchietto retrovisore, doveva averlo visto sentirsi male!),
e in un attimo di follia e tempo da perdere ho voluto provare a
scrivere quello che sarebbe potuto succedere.
Potrei scrivere il seguito di questo racconto, potrebbe anche uscirne
qualcosa di interessante (due omosessuali che decidono di vivere
insieme nel Wyoming degli anni '60 non possono avere vita facile), ma
non certo eccezionalmente interessante come la storia originale.
In ogni caso, io mi sono divertita... anche se di solito non
scrivo cose così sfacciatamente
mielose. A proposito... di solito evito anche le parolacce, se ci sono
modi più eleganti di dire la stessa cosa, ma qui servivano, non
potevo evitarle, come non le hanno evitate né la Proulx
né gli sceneggiatori del film.
Infine, per chi ha letto il libro e/o visto il film e se
n'è innamorato come me: non me ne vogliate se mi sono
presa alcune libertà, e se ho interpretato alcune cose a modo
mio. Non sono proprio capace di scrivere una
storia su personaggi inventati da altri senza renderli un pò
miei e senza modificare in parte la trama originale. Qui non ho
modificato quasi niente della trama, nulla di sostanziale almeno, ma Jack
è
ancora più idealista, ingenuo quasi come un bambino, ed Ennis
è ombroso all'inverosimile...
31/03/2010: okay, alla fine ho scritto il seguito e sono andata oltre... non credo che nessuno mi fustigherà per questo!
Credits: "Before it's too late" è una canzone dei Goo Goo Dolls.
Avevo precedentemente intitolato questo racconto "Stand by me", ma in
verità, mentre lo scrivevo, avevo in mente "Iris", sempre dei Goo
Goo Dolls, però come titolo
c'entrava meno che niente... con questa canzone penso ora di avere
preso i classici due piccioni con una fava.
Disclaimer: I
personaggi di Jack Twist, Ennis del Mar, Joe Aguirre e Alma Beers appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno
riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà,
mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si
offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
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