Anno
2259
Lo
spazio è freddo, eppure i colori si impastano tra loro come
una trama sul suo sfondo nero: i verdi i rossi i gialli delle
costellazioni, delle nebulose, del vento solare.
Lo
spazio è silenzioso. Forse questo è l'aggettivo
che meglio lo definisce.
E
l'Enterprise non è nulla più che una pastiglia di
ferro, spedita alla velocità della luce da un sistema
all'altro, sballottata, contesa, minacciata. È l'ambasciata
di un avamposto umano. È una bandiera ridotta a brandelli,
che eppure trova sempre la forza di seguire il vento.
Forse
l'uomo è divenuto infelice proprio dal giorno in cui ha
iniziato a viaggiare nello spazio, forse un simile obiettivo doveva
rimanere un sogno, come lo era fin dalla notte dei tempi.
Chi
fa dello spazio la propria casa, può sopravvivere alla
distruzione del proprio pianeta, può vedere cosa
c'è oltre, e viaggiare in uno sterminato mare di stelle come
un arbusto senza radici. È una sensazione orribile.
Primo
ufficiale Spock è atteso in plancia, ripeto, Primo ufficiale
Spock...
Il
ragazzo cercò di ignorare con tutto se stesso la voce
metallica di Nyota che lo richiamava. Non era da lui disubbidire a un
ordine, stava evidentemente cambiando, e non sapeva se la cosa lo
rallegrasse o meno.
Non
riusciva ad afferrare sapientemente il corso degli avvenimenti. Mancava
un nodo fondamentale, un nodo che lo legava a quel vecchio vulcaniano
incontrato a San Francisco, sulla Terra.
Gli
era parso un profeta, sembrava avesse già vissuto tutta
quanta la sua vita, per questo poteva dirgli come andava a finire.
Spock
si premette due dita sulle tempie e si alzò da quella
scomoda brandina su cui era adagiato. Schiena ben dritta, mani
congiunte, sguardo impassibile. La postura era la prima cosa che i
bambini di Vulcano apprendevano nei magisteri, che poi via via
integravano nel loro inconscio. Pareva tutta una facciata, costruita
con maestria ma prossima a cadere, ad essere svelata. Ed era quello
che, in fin dei conti, era accaduto.
«Spock!»
Il
ragazzo vulca riconobbe con un certo sconforto la voce di Kirk, suo
nuovo capitano. Era illogico pensare di conferire una tale nomina a un
uomo impulsivo come lui, ma d'altra parte, dovette riconoscere Spock,
l'impulsività umana a volte era capace di superare anche lo
stoicismo vulcaniano.
«Mi
ha fatto chiamare, signore?» Lo guardò con una
certa freddezza, alzandosi in piedi e fronteggiandolo di petto. Kirk lo
fissò un momento con un'espressione ebete, come fosse
distratto da qualcosa. I suoi occhi azzurri erano semplicemente fissi
su quel viso cinico, la bocca leggermente aperta, come aspettasse
spiegazioni valide.
«Mi
dici perché sei qui? Non ti ho nominato Primo ufficiale di
cabina».
L'arroganza
e la presunzione di quell'umano non conoscevano limiti, si
ritrovò a constatare Spock, sorridendo di sufficienza di
fronte all'ira improvvisa del suo superiore.
«Non
riuscite a gestire questa nave senza di me, capitano?»
Ribatté beffardo, sostenendo il suo sguardo senza alcuna
difficoltà.
«Al
diavolo Spock, sai che cos'hai fatto?»
Spock
alzò un sopracciglio e inclinò la testa, com'era
suo solito.
«Temo
di non...»
«In
quest'ultima missione, questa,
appena trascorsa».
Detriti
e residui galleggiarono all'istante nella mente del vulcaniano, il suo
pianeta natio ridotto in cenere, sua madre inghiottita dalla terra, il
suo popolo che moriva senza nemmeno averne coscienza. Era passato
più di un mese e ancora ci stava pensando.
Naturale,
pensò dentro di sé, scuotendo la testa come se un
gesto così banale bastasse a rinsavire.
«Hai
infranto almeno una dozzina di regole, tu! Comincio a
temere che ti abbiano clonato...»
«Capisco
che il suo dovere sia rimproverarmi, fare rapporto, e infine
degradarmi».
«Scordatelo,
non voglio essere messo alla pari di voi robot insensibili, e non ti
sto rimproverando. Anzi sono sollevato, ora che ho avuto la conferma di
non avere a che fare con un cyborg. Ma...»
Jim
si bloccò. Ora che aveva acceso le luci, e che il viso di
Spock non era più in ombra, riusciva a vedere distintamente
tracce secche di lacrime sul suo viso, e un lieve arrossamento nei suoi
occhi castani. Eppure la sua espressione rimaneva fredda, formale,
vigile. Come poteva?
«Ci
stai ancora pensando».
«Capitano,
un vulcaniano ha un tempo di recupero venti volte minore rispetto a
quello di un umano. Se a lei fosse successa la stessa cosa, una vita
intera non sarebbe bastata a cancellare le ferite».
James
annuì distrattamente. Tempo
di recupero, così chiamava lo spazio morto
dedicato ad elaborare il vuoto di una perdita. Come se il corpo e la
mente umana non fossero altro che una fredda macchina.
«Bene,
credo che sia meglio io ritorni in plancia. Abbiamo abbordato una
navicella errante, a corto raggio, distante da sistemi abitati. Voglio
verificare il suo carico e il suo stato».
Una
questione da nulla.
Suonava
più come una scusa per congedarsi.
«Jim»,
Spock lo trattenne, afferrandogli il braccio. Calcolava male i suoi
sentimenti in quell'istante, una mistura chimica di sensazioni che gli
rivoltava lo stomaco, e gli si insinuava viscida tra le costole.
Ma
non era certo la prima volta che succedeva.
Piegò
la testa verso il viso di Kirk, e lo baciò sulle labbra,
approfondendo immediatamente il contatto, abbassandosi di
più, sentendo il viso che si riscaldava. Kirk rimase rigido,
impiegò qualche secondo per abituarsi all'idea.
Anche
se la loro reciproca attrazione non era certo una novità,
per nessuno dei due.
Con
foga iniziò a sfilarsi la divisa, e lo stesso fece Spock,
che cercava in tutti i modi di simulare la sua incertezza.
Kirk
si lasciò pervadere da un picco di vergogna, vedendo i suoi
gradi cadere sul pavimento assieme agli indumenti. In un momento gli
ritornò alla mente il suo ruolo, e in un momento si rese
conto di essere un pessimo capitano.
Ci vorrà un attimo,
si disse tra sé e sé, cercando di scrollarsi di
dosso i sensi di colpa mentre seguiva Spock sulla branda e si slacciava
i pantaloni.
«Spero di
aver disattivato le telecamere di quest'area, altrimenti temo che
dovremmo spedirti in esilio su Rura Penthe per salvarti dalla furia del
tenente Uhura».
A
quell'affermazione, Spock si bloccò un momento, inclinando
la testa con fare interrogativo.
«Scusi?»
Kirk
alzò gli occhi al cielo, dandosi dello stupido per aver
creduto di dare qualcosa per scontato con quel cyborg vulca.
«Spock, non
so da voi, ma quando una donna sta insieme a un uomo, non si aspetta
che questo se ne vada in giro a flirtare con l'ammiraglio di turno».
«Io non vado in giro a flirtare»,
obiettò l'ufficiale scientifico, provocando nel suo capitano
l'ennesima alzata di occhi al cielo, forse nel tentativo che un aiuto
divino gli piombasse dall'alto.
Spock
trattenne il respiro e scavalcò il corpo dell'altro,
prendendo come rare altre volte l'iniziativa. Ma sembrava titubante,
più interessato ad osservare le reazioni emotive di Jim, la
temperatura corporea che saliva, il sudore che gli bagnava la pelle, il
rossore che gli colorava il viso, che ad agire seriamente.
«Voi umani
siete così...»
«...passionali».
Nello
spazio era fondamentale tenere presente l'orario, dato che non si
poteva desumere dal ciclo del sole. Così, nell'Enterprise,
lampeggiavano ovunque orologi di tutti i tipi.
Il
quadrante incastonato nel comodino segnava le nove e mezza di mattina.
Jim
era sveglio, eppure teneva gli chiusi, schiena adagiata sul materasso,
torace coperto a metà dalle lenzuola.
«Hm?» Fece
Spock, girandosi di lato e guardando confuso l'ammiraglio.
«Ieri sera»,
chiarificò Jim, voltandosi a sua volta e fissando gli occhi
in quelli del vulcaniano. «Ti
chiedevi, come facciamo a essere così passionali? Come
facciamo a non impazzire con il cervello annebbiato?»
Spock
scosse la testa.
«No,
è una sensazione che ho già provato, una volta.
È come la rabbia».
Kirk
sorrise, beffardo, come suo solito, ma sereno e rilassato. Era da tanto
in viaggio sull'Enterprise, era da tanto che non passava una notte come
quella.
Sprecarono
qualche altro minuto a guardarsi a vicenda, come se dovessero
studiarsi, come se cercassero di attribuire un senso ai momenti passati.
Poi
qualcuno bussò alla porta, interrompendo quel lungo momento
di beatitudine.
«Ammiraglio...!
Ma... ha bloccato la serratura?»
Leonard.
Kirk
non riuscì a trattenersi dal soffiare annoiato, mentre si
costringeva ad alzarsi da letto ed a infilare un paio di pantaloni.
Spock
era già vestito dalla testa ai piedi, persino i suoi assurdi
capelli erano in ordine.
Peccato,
constatò Jim, memore dei ciuffi bagnati che la sera prima
gli cadevano sulla fronte.
«Arrivo
dottore, mi dia il tempo di svegliarmi»,
sbottò l'ammiraglio sbloccando la porta, e trovandosi
davanti un ansioso Leonard McCoy pronto pronto a snocciolare prediche.
«Ho dovuto
chiarire le idee al signor Spock», disse in
fretta e furia a mo' di giustificazione.
«Per tutta
la notte?!»
Sbraitò Leonard, trattenendosi a stento dal prendere a
schiaffi il suo capitano.
Jim
si lasciò andare in un profondo sospiro, e
rinunciò a cercare di coprire alla vista il letto sfatto e i
vestiti sparsi sul pavimento, dato che Spock si era messo vistosamente
a rimboccare le coperte e riordinare la stanza.
«Sul serio
Leonard, c'è bisogno che te lo dica?» fece
ironico, sorridendo con fare conciliatorio e appoggiando una mano sulla
spalla dell'amico.
|