Piccolo idiota innamorato
Piccolo idiota innamorato.
Sei un piccolo idiota innamorato!
Come me.
Ricordi ancora la prima volta che abbiamo giocato a Barchess? E tu… per accontentarmi,
hai fatto finta di perdere?
“Avanti, Kouga! Tocca a te muovere la pedina!”
“ Non ho molte pedine
da muovere… Mi sa che hai vinto tu, Jabi.”
“Ma
come? Ti arrendi? Uno che vuole diventare un Cavaliere
Mistico, non dovrebbe mai gettare la spugna!”
“Non sono bravo a questo
gioco. Tutto qui.”
“Moccioso!”
Quanto tempo è passato da allora?
Avevamo all’incirca 10 anni. Eravamo piccoli, ingenui, e
pieni di sogni.
Nei pressi della casa del maestro Amon,
c’era un grosso albero secolare. Mi ricordo che, dopo aver fatto merenda,
correvamo lì sotto, rifocillati dallo spuntino pomeridiano, per cercare di
scalarlo. Un’impresa assurda per due buffi novellini che superavano
a stento un metro e trenta d’altezza.
Stremati, e dopo la perenne sbucciatura al ginocchio, ci
sedevamo sotto quelle fruscianti fronde, e restavamo lì a parlare del nostro
avvenire.
Io volevo diventare una sacerdotessa del Makai,
forte e coraggiosa. Alla pari del mio maestro.
Sognavo di assistere te, nella tua lotta contro gli Orrori, e
di fiancheggiarti.
Immaginavo e ti illustravo già la
scena. Il Cavaliere d’Oro dell’Est, Kouga
Saejima, e la sua insostituibile sacerdotessa Jabi.
Pure a te piaceva l’idea. Però,
anche a quel tempo, eri sempre così silenzioso ed introverso…
Per indurti a dire la tua, spesso ero costretta a farti
arrabbiare, a schernirti, a provocarti sfacciatamente.
“Sei la solita linguacciuta” mi dicevi sbruffando.
Sotto sotto, quel tuo viso
annottato mi faceva sorridere.
“Un moccioso imbronciato che vuole diventare un Cavaliere?
Ridicolo!” dichiaravo apertamente, per incitarti a ribattere. Ciò nonostante…
sei sempre stato gentile con me. Non mi hai mai
spintonato una volta o fatto piangere involontariamente. Eri un compagno ideale
di giochi ma… non di vita, come pregavo insistentemente ogni sera, prima di
chiudere gli occhi.
La storia degli amici d’infanzia che inevitabilmente s’innamorano, per me era così.
C’immaginavo da adulti, l’uno al fianco dell’altra, e uniti
non solo da un legame fraterno.
Ti volevo per me, Kouga. Perché mentire, adesso? Volevo che tu fossi solo mio. Non
ammettevo perderti. Le sconfitte non mi sono mai piaciute.
Chi donna non sogna di avere al suo fianco un vero
Cavaliere?
Poi, incredibilmente, il tempo è volato così in fretta che,
sia io che te ci siamo persi di vista.
Quanto tempo? Forse dieci, quindici anni dal giorno del
nostro ultimo saluto?
Eravamo ancora dei principianti.
Io dovetti partire per imparare le arti magiche in compagnia
del maestro Amon, e tu, invece, per il tuo
allenamento formativo da Cavaliere. Eri così ostinato ad
addestrarti che per molti anni nessuno ti ha più visto. Nemmeno io che, oramai
inasprita e ferita nel cuore, non ho più chiesto di te a nessuno.
Orgoglio? Probabile. Ma soprattutto
delusione. Tanta da coprire ogni parte di me.
Gli anni che passavano, e io che diventavo grande senza di
te, mi hanno forgiato. Ho visto i miei sogni andare in frantumi, diventare
polvere, e mi sono resa conto, per la prima volta, di essere
solo una giovane sciocca illusa proprio da quei miseri sogni.
Ho sofferto e sommesso tutti i miei pianti. La delusione mi
ha consumato. Ricordare te, mi faceva desiderare ardentemente d’essere forte, indipendente, autonoma solo per, in un
futuro, tenerti dignitosamente testa.
La bambina che ero, se ne andò via
senza aspettare il tuo ritorno.
Il mio corpo cambiò. Si trasformò.
Sono diventata donna e, successivamente,
una vera sacerdotessa del Makai.
Combattiva, forte nell’anima. Ho imparato a cacciare il coraggio,
la determinazione.
Avevo imparato a dimenticare perfino il dolore, e
soprattutto quel moccioso che un tempo giocava a Barchess
con me. Ti avevo scordato. Ti ho voluto scordare per concentrarmi solo sul mio
dovere. Non ammettevo di soffrire per amore. Per uno
come te che mi aveva lasciato crescere senza degnarsi neppure di sapere com’ero
diventata.
E poi, un giorno, dopo molti anni, il
sommo Amon mi pronunciò ancora il tuo nome.
“Kouga
sta cercando un frutto di Barankas per purificare una
giovane donna.”
Fu tutto come allora. Forse peggio. Il periodo della mia
adolescenza senza di te, s’avventò ancora sopra il mio cuore. Provai un dolore
lancinante ma, non per aver udito il tuo nome.
“Una giovane donna.” Ecco cos’è che mi fece star male. Quanta
indignazione! Era chiaro, ormai. Prima ancora che il maestro mi raccontasse
ogni cosa, io già sapevo tutto. A conti fatti, era impossibile non trarre alcuna
conclusione.
Quella maledetta giovane donna, aveva riaperto sfrontatamente
le mie ferite.
Ho provato un profondo ed inconsolabile odio. Sia per lei, sia per te.
Come avevi potuto, tu, mio fedele amico d’infanzia,
scordarti di me ed amare un’altra? Come hai potuto, tenermi lontano dalla tua esistenza
per così tanto tempo?
Non era così che doveva andare. Non in questo modo, Kouga Saejima, doveva abbandonarmi.
Proprio tu, che sei stato sempre gentile, hai dimenticato tutti i sogni che
facevano parte della nostra vita, e sei andato avanti,
da solo, per la tua strada, lasciando me, quella nostro sintonia, i nostri
progetti, e le belle speranze alle spalle.
Ci siamo rivisti grazie alla morte del maestro. Che infame circostanza!
Ho stentato un istante a riconoscere in quei lineamenti da
uomo, il bambino che un tempo eri tu.
Ti ho riconosciuto solo quando hai
chiamato il mio nome.
“Jabi!”
La tua voce mi ha squarciato il petto.
E’ stato come allora, come ai vecchi tempi quando mi vedevi
da lontano e, con la mano sventolante, urlavi il mio
nome per farti vedere.
Per anni ho sperato che tu pronunciassi ancora il mio nome.
A quel punto, non ho avuto più dubbi. L’uomo che mi stava di
fronte, era il bambino che giocava con me a fare l’intrepido cavaliere, eri tu,
Kouga.
Un giovane uomo che indossava con eleganza
e fierezza un lungo soprabito bianco. L’abito nero ti fasciava il corpo
rendendoti sempre più adulto, sempre più distante dai ricordi che facevano
parte della mia infanzia. Alto ben più di un metro e trenta,
ma con un viso e due occhi che sapevano di bambino. Quello eri proprio
tu, ingenuo moccioso.
Quando le tue labbra hanno
pronunciato il mio nome, ho capito di aver perso. Ho ceduto. Non sono stata
capace di restare impassibile. E me ne pento. Tu, al
contrario, ti sei lasciato andare, senza porti problemi, senza nessun
risentimento. Come potevi averne verso di me? Sono solo io quella costretta a provare
tale vile sensazione.
Rivederti a distanza di anni, mi ha
fatto purtroppo capire che, sebbene io abbia provato con tutta me stessa a
cancellare prima il tuo volto, e poi la tua voce, ciò che un tempo provavo per
te, non si è mai spento. Ho fallito. Con te non c’è modo di vincere. Ed io che m’illudevo di farcela! Sono ancora la solita
sciocca d’allora?
Avevo voglia di rivederti, Kouga,
ma in situazioni diverse. Volevo rivederti con la consapevolezza che eri stato
tu stesso a volere il nostro incontro.
Non pensare che io sia incontentabile.
Il mio è solo un puro e penetrante risentimento. Non c’è modo di affievolirlo.
Ormai mi è entrato dentro, passando attraverso questi inafferrabili pori di una
pelle che ha subito scalfitture e graffi. La mia.
E’ dentro di me, nella carne, nell’anima di una donna tanto
forte ma amara.
Se non fosse stato per quell’impercettibile barlume di legame che ancora mi lega a
te, forse non avrei esitato neanche un momento ad uccidere quella dolce ma
tanto impaurita giovane donna. Non è crudeltà la mia. Ma
solo un lancinante disprezzo.
Tutto quello che forse mi può confortare, è una cosa
soltanto: a distanza di tempo, tu sei stato capace di ricordare il mio viso da
bambina e riconoscermi sotto i lineamenti della donna che ora sono diventata. Questo gesto tampona un po’ le mie ferite, e
mi fa sentire meno dolore.
Lo so che non mi hai dimenticato. Ti conosco alla perfezione.
Hai un carattere e dei modi che spesso la gente comune non apprezza, però il
tuo spirito è sincero.
Sei il solito moccioso innocente di un tempo.
Sei ancora il mio Kouga,
per me. Anche se il tuo cuore ora appartiene ad un’altra. A quella giovane donna che tanto proteggi.
E’ bella. Lo ammetto. Ha un viso dolce. E’ questo che ti ha
conquistato di lei? Oppure è la luce che emana con i
suoi grandissimi occhi?
Come si fa a non invidiare quella ragazza? Come faccio io a
non soffrire, quando tu le rivolgi lo sguardo? In quel momento, sei così rapito
e folgorato da lei... Mi fai rabbia! E pensare che da piccolo eri un insulso moccioso che aveva
solo me come unica compagna di giochi!
Ti volevo per me, Kouga. Dovevi
essere mio. Dovevi permettere che ti toccassi solo io.
Quando con il viso mi sono adagiata
sulla tua schiena, quando le mie dita hanno sfiorato e lambito la cicatrice che
ti eri fatta da bambino, cos’hai provato? Ti ho sentito fremere appena. Sei rimasto sorpreso da quel gesto. Ma…
tutto qui. Aspettavo fiduciosamente che ti sciogliessi almeno un po’, solo un
po’, però… in quel momento, non potevi rivolgermi le tanto
bramate attenzioni che desideravo avere ardentemente. Mi spettavano di
diritto. Ho provato a reclamarle, ma non ci sono riuscita, ed ho capito. Non
potevi essere mio perché tu ti sentivi di appartenere a quella giovane ragazza
dal candido faccino bianco.
L’idea di vederti sfiorare da lei, mi opprime.
L’idea di vedere te, che lotti strenuamente per quella
giovane, mi opprime.
Eppure… tu tieni tanto a lei. Così tanto da mostrare a me la tua fragilità.
“Jabi…
Io la voglio salvare.” “Per favore,
aiutami a salvarla.”
Quella frase mi è bastata, per l’ennesima volta, a capire
già tutto.
Non sono io quella che ti farà felice, Kouga.
E non sarò io a farti provare la gioia di essere
padre.
Tutto sommato, la mia consolazione,
magra e povera, rimane quella di vederti realizzato proprio come tu sognavi da
bambino, sotto le fronde di quell’albero secolare.
Però… io resto comunque la
sacerdotessa Jabi.
E tu, per me, sarai sempre un
piccolo idiota innamorato.
Fine
Volevo
creare una piccolissima one-shot che descrivesse a fondo i pensieri di uno dei personaggi per me meglio
caratterizzati della serie, che mi ha abbastanza colpito.
Molti di
voi probabilmente mi linceranno per questa mia affermazione… Jabi ha creato un po’ di problemi
a Kouga, ed oltretutto ha palesato più di una volta
di voler uccidere Kaoru, eppure, a me quella donna fa
tanta pena… Perché?
Provate a
calzare per un solo attimo i suoi panni, mentre io vi illustro
la situazione: Ci sono due amici d’infanzia che hanno giocato e condiviso insieme
gran parte del loro tempo. Come spesso succede nella vita, però, è accaduto un
qualcosa che li ha tenuti lontano per molti anni (ed è un peccato che nella
storia originale non venga spiegato il perché). Infine,
oramai divenuti adulti, i due si rincontrano in
circostanze tutt’altro che spensierate, com’era
consono che fosse. Uno dei due è innamorato dell’altro, ma scopre che l’altro è
innamorato a sua volta di un'altra persona, e che darebbe perfino la vita pur
di renderla felice.
Cos’è che provereste
in quel momento? Non vi sentireste forse amareggiati da tutto ciò?
Soprattutto
se questo vostro amico d’infanzia, era il solo ed unico vostro amico d’infanzia.
Il compagno fedele con il quale avevate sognato di avere un
futuro insieme, fatto d’amore e fedeltà reciproca.
Jabi era
innamorata di Kouga. Lei stessa lo dice facendoglielo
capire in più atteggiamenti e parole sottintese. Da parte mia, ho cercato di
costruire alcuni momenti del suo passato provando a calzare le sue vesti e,
questa piccolissima one-shot, è tutto quello che sono riuscita a comporre con lo stesso risentimento, odio ed
indignazione di una donna profondamente delusa come la sacerdotessa del Makai.
Prima di concludere, c’è un’ultima cosa che vorrei precisare. Nella
versione italiana, Jabi dice a Kouga
più di una volta la frase “piccolo idiota innamorato”. Come ahimé può succedere
nella maggior parte degli anime o film stranieri che
poi vengono riadattati nella nostra lingua, la traduzione non è praticamente
esatta. Ho ascoltato quel pezzo con i dialoghi originali giapponesi, e la frase
corretta è “bakada ne omae!” che significa “che stupido che sei” con un tono
alquanto confidenziale e forte.
Ad ogni
modo, io ho preferito mantenere la versione italiana proprio perché la reputo
più azzeccata, in quella circostanza, dell’originale. E
poi, è così bella…!
Ringrazio
tutti quanti per l’attenzione dedicatami!
Niko niko,
Botan