Bhe, che dire? Buona Lettura!
Red Eyes
1)
L’inizio
Dopo circa un’ora di viaggio cominciarono a comparire i
primi alberi verdeggianti che anticipavano di un paio di chilometri il cartello
di benvenuto di Forks. Forks……. sarebbe diventata la mia
nuova abitazione…..ancora per una volta. Trasferirmi non mi dispiaceva, non
avevo mai avuto il tempo necessario per affezionarmi a
un edificio tanto da chiamarlo “casa”. Infatti il
lavoro di mio padre aveva obbligato me e la mia famiglia a cambiare continuamente
città. Los Angeles, Miami, San Francisco, New Port……..non mi ricordavo nemmeno in quante città avevamo vissuto.
Questa situazione aveva impedito sia a me che
a mia sorella di avere degli amici e ciò ci aveva indotte a considerare i
nostri genitori persone importantissime e indispensabili da cui ricevere quell’amore che non potevamo ottenere da nessun altro.
Questa volta però sarebbe stato tutto diverso. Il trasferimento
a Forks sarebbe stato più duro di quanto si potesse
immaginare per tutte e tre. La famiglia McAnderson
non sarebbe più stata come prima, dal momento che uno
dei suoi quattro membri era scomparso, mio padre, a causa di un incidente
d’auto. Questo aveva indotto mia madre, una delle più note e importanti
stiliste nel suo campo, a trasferirci ancora, ma questa volta per lasciare
tutto alle spalle e per cercare di dimenticare.
“Wow Forks! Non credete che sia un
posto stupendo? Con tutto questo verde! Lo sapete che a Forks
si registra la più alta percentuale annuale di pioggia di tutta l’America? Il
cielo sarà coperto per la maggior parte del giorno e questo elimina
il tuo problema, Natasha!”
Il mio problema…… l’aveva usato come scusa per il
trasferimento. Sapeva che anche se ero albina il sole non mi aveva mai dato
problemi, né a Miami né a New Port.
Dalla morte di mio padre, Lucas McAnderson,
Lilian McAnderson, seduta
alla mia sinistra, era diventata un’altra persona. Era stata lei che alla morte
di papà aveva sostenuto me e mia sorella; ci continuava a ripetere che tutto si
sarebbe sistemato. Non aveva mai pianto davanti a noi, neanche al funerale, a Sancisville, il paese dove mio padre era nato e dove ci era sembrato più giusto sotterrarlo. Mia madre era una
donna forte, lo era sempre stata e aveva sempre cercato di dimostrarlo a tutti.
Anche questa volta aveva cercato di farlo, ma non c’era
riuscita, non con tutti almeno. Non era difficile sentirla piangere fino a
notte inoltrata, mentre anch’io piangevo.
Non smetteva di sorridere, era sempre stato nella sua
personalità, ma era un sorriso spento, vuoto, forzato. La sua vitalità e voglia
di vivere erano scomparse e chissà se sarebbero mai tornate…..
Avevo avuto sempre un’intesa particolare con mamma, quella
stessa intesa che mi aveva permesso di capire i suoi
stati d’animo.
“Là dietro tutto bene, Kathy?”
Mia sorella, Katherine, sbuffò. Di
certo, tra noi tre, quella che più era stata sconvolta dalla morte di papà era lei. Aveva un rapporto speciale con lui, un rapporto che neanche io avevo. Dalla morte di papà, una
settimana fa, non aveva più parlato. Eravamo sempre state legate io e lei,
sempre, e vederla in questo stato mi faceva stare ancora più male.
Mia madre la guardò con uno sguardo preoccupato, lo stesso
con cui da una settimana si rivolgeva a lei, e ritornò a guardare la strada. In
un’altra situazione avrebbe detto una delle sue solite ma efficaci battute e
tutte tre avremmo cominciato a ridere come delle pazze;
ma non questa volta. La sua sicurezza e la sua forza
di volontà erano volate via come la rondine lascia il suo nido per sfuggire all’inverno.
Senza dire una parola appoggiai la testa sul finestrino
freddo e chiusi gli occhi, aspettando l’arrivo alla nostra nuova abitazione
dove, ne ero sicura, ci sarei rimasta per molto, molto
tempo. Decisi quindi che era arrivato il momento di chiamare
“casa” il luogo dove avrei vissuto qui, a Forks.
Casa..... non suonava male……..mi ci sarei abituata.
“Ed eccoci
qua!” Mia madre era su di giri. In questo caso “su di giri” era una parola
grossa, ma non potevo negare che era sempre stato nella sua personalità
agitarsi per questo tipo di cose.
“È proprio carina” dissi. Non mentivo, la nostra nuova
“casa” non era molto grande, ma vista da fuori aveva
l’aria di essere accogliente. Le pareti erano dipinte di un
ocra abbastanza chiaro messo in risalto dalle tegole rosse del tetto.
D’altro canto, mia sorella non rispose, si limitò a guardarla e a mugugnare,
come per dire -Sì, non è male, ma mi aspettavo di
meglio-, ma la conoscevo abbastanza bene da capire che piaceva anche a lei.
Il camion della ditta di trasporti si fermò dietro la
macchina di mia madre.
“Vado a parlare un attimo con il l’autista,
voi intanto andate a vedere com’è da dentro”
“Ok” Sia io sia mia sorella scendemmo dalla vecchia Volkswagen
di mamma e percorremmo il vialetto. La casa era circondata da un grande giardino dove, ne ero sicura, mamma ci avrebbe presto
fatto qualcosa. La casa si trovava un po’ fuori dal
centro; mia madre mi aveva detto che l’unica casa più vicina a noi era quella
del capo della polizia locale Swann.
Dentro la casa era più carina che da fuori; a destra era
situato il salotto, mentre a sinistra la cucina, non troppo grande ma neanche
troppo piccola. Davanti a noi vi era la scala che portava al primo piano, dove
c’erano tre camere da letto e il bagno. Mancavano tutti i mobili e sembrava un
po’ spoglia, ma mamma avrebbe fatto un ottimo lavoro,
come sempre d’altronde.
“Ti piace?” chiesi a mia sorella.
Lei si limitò a scuotere il suoi boccoli
color ambra, in risalto con i suoi occhi color nocciola.
“Kathy?”
Lei mi guardò.
“Mi dai un abbraccio?” mi guardò in modo strano, ma solo per
un secondo. Mi lanciò le braccia al collo e io fui costretta ad abbassarmi per
poter ricambiare.
“Ti voglio tanto bene” le sussurrai e le diedi un bacio
sulla guancia.
Mi staccai da lei e le presi le mani.
“Mi fai una
promessa?”
Lei mi guardò con sguardo impassibile.
“Mi prometti che ricomincerai a parlare?”
Ne avevo abbastanza, non sopportavo
più di vederla in quello stato. Lei d’altro canto si incupì
ancora di più.
“Non ha senso non parlare, lo sai benissimo anche tu,
chiudersi a riccio non serve a niente. Papà non avrebbe mai voluto vederti
così.”
Lei staccò subito le mani dalle mie e mi guardò con rabbia,
ma non se ne andò. Abbassò lo sguardo per qualche
secondo, poi lo rialzò.
“Tu credi che adesso papà non sia contento di vedermi così?”
Finalmente sentivo dopo sette giorni la sua voce!
“No, credo che papà vorrebbe che tu sia felice. Credo che in
questo momento lui stia soffrendo perché ti vede triste e anche io e la mamma stiamo soffrendo vedendoti così.”
I suoi occhi cominciarono a luccicare.
“Credo che tu abbia ragione…” la sua voce si era trasformata
in un sussurro “non voglio più farvi soffrire…..
ricomincerò a parlare….. “
Ero al settimo cielo!
“Brava piccola!” dissi dandole un bacio sulla fronte.
“…………ma ad una condizione!”
Nei suoi occhi c’era qualcosa di
strano…malizia forse?
“Cioè?” chiesi con voce un po’
preoccupata, ma felice di sentire la mia sorellina parlare di nuovo.
“Mi devi prestare la gonna bianca che mi piace tanto!” le sue
labbra si incresparono in un sorriso sempre più
grande.
Io la guardai sorpresa e senza parole, ma mi destai subito
per rispondere: “Non ci penso nemmeno!” incrociai le braccia e mi voltai.
“Tipregotipregotiprego!” stava
incominciando a saltellare intorno a me come un piccolo canguro agitato.
“Kathy! Quella gonna
è troppo per una bambina di sette anni come te!”
“Bhe, tu ne hai sedici! Non c’è
tanta differenza tra di noi!”
Aveva sfoderato la sua arma segreta: gli occhi dolci. Ma per
sua sfortuna io ero l’unica della famiglia che ne era
immune. O quasi.
“Noooo! Cosa vuoi
che siano nove anni?” risposi con sarcasmo
“Per piacere!” ormai mi implorava
in ginocchio.
Non seppi resistere: “Va bene!.....ti
lascerò usare la maglietta rosa che adori, ok?”
“SìSìSìSìSì! graziegraziegrazie!>>
Il mio canguro era tornato.
“Lo sai? 6 la sorellona più grande
che ci sia!” disse con il sorriso sulle labbra.
Detto questo corse in giardino. Solo allora cominciai a
sentire qualcosa di strano alla bocca; le labbra mi tiravano ed erano come se
fossero atrofizzate. Era una sensazione già sentita, ma da tanto tempo mai
provata. Solo dopo capì che quello era un sorriso.
Come vi sembra come primo capitolo? Non è molto, ma i
prossimi cercherò di farli più lunghi.
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By Lalla124