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La serata
non è finita nel migliore dei modi. Ho perso a poker e sono
in attesa della
penitenza che, come tutti i venerdì, tocca al perdente.
Sono nate
quasi per caso queste serate, da un certo punto di vista terapeutiche:
si
parla, si racconta, ci si sfoga. Siamo quattro single, tra recidivi e
“ di
rimando ”, restituiti al mittente dopo matrimoni o convivenze
naufragate nel
mare della banalità.
Io
appartengo a quest’ultima categoria. Il mio matrimonio
è durato meno di tre
anni: io e Caroline ci siamo sposati giovanissimi, cavalcando
l’onda dei
sentimenti. Di fronte alle prima difficoltà, tuttavia, ci
siamo resi conto
entrambi che la nostra concezione della vita di coppia era agli
antipodi. Per
salvare il matrimonio, lei voleva un bambino, ma a me non sembrava
quella la
soluzione giusta: un bambino lo metti al mondo per amore e non come boa
di
salvataggio per un matrimonio che era già alla deriva.
Perché la verità è che
non eravamo più innamorati l’uno
dell’altra. All’ultima udienza per la
separazione, io e Caroline ci siamo stretti la mano, dandoci
appuntamento dopo
tre anni, nel caso qualcuno di noi due fosse interessato al divorzio.
Così, tra
una cosa e l’altra, ho finito con il trascorrere i miei
venerdì sera a guardare
partite di pallone o a giocare a poker con Emmett, Jasper e James, i
miei più
cari amici d’infanzia.
Per rendere
le serate un po’ più movimentate, abbiamo
stabilito che chi perde la partita
deve pagare pegno. Gli altri tre si riuniscono per un breve concilio,
al
termine del quale comunicano al perdente quale sarà la sua
penitenza.
Adesso me ne
sto seduto al tavolo, aspettando nervosamente che gli altri decidano la
mia
sorte, visto che questa volta la fortuna non si è nemmeno
degnata di darmi una mano. E’ mezzanotte passata quando i
miei amici escono sghignazzando dalla
cucina. Emmett impugna un cucchiaio di legno come fosse uno scettro da
re.
“ Questa
corte ha deciso la tua sorte. ” Mi annuncia mentre scambia
uno sguardo d’intesa
con gli altri due. “ Hai presente una di quelle linee
telefoniche un po’… hot?
”
Io lo guardo
allibito.
“ Bene, per
punizione dovrai comporre uno di quei numeri, naturalmente in nostra
presenza….
”
“ E siccome
siamo buoni amici… ” Aggiunge Jasper “
ti ho procurato anche uno di quei
giornali di annunci economici locali, dove non avrai che
l’imbarazzo della
scelta. ”
“ Anzi, la
scelta la facciamo noi! ” Propone James, chiudendo gli occhi
e puntando il dito
su un annuncio a caso. Mentre i miei amici si godono lo spettacolo sul
divano,
io compongo il numero, cercando di far smettere alla mia mano di
tremare per
l’imbarazzo e attendo.
“ Ciao, sono
Linda. ” Mi risponde una voce sensuale dall’altro
capo del filo. “ Posso
tenerti compagnia? ”
“ Sì. ”
Riesco a dire dopo quasi un minuto di silenzio.
“ E’ la
prima volta che chiami, vero? ” Mi chiede con voce dolce e
accattivante.
“ Sì. ”
Sembra che io sappia dire solo questo.
“ Lo
immaginavo, ma non c’è motivo di essere nervosi,
io sono qui per farti
rilassare. Come ti chiami? ”
“ Edward. ”
Coglione, avrei dovuto dare un nome di fantasia.
“ Bene,
Edward, cosa vuoi fare? ”
“ Non lo so.
” Mi do mentalmente uno schiaffo: che razza di risposta
è? Ma lei non sembra
farci caso, forse abituata ad altri tipi come me che chiamano senza
sapere
davvero cosa si faccia in questi casi.
Linda fa il
suo lavoro, mentre io rispondo a monosillabi, cambiando colore con la
frequenza
di un semaforo, ogni volta che lei mi descrive più in
dettaglio cosa dovrei
fare: sdraiare, rilassarmi, iniziarmi a spogliare, svuotare la mente e
pensare
che siano le sue mani a fare ciò… I miei amici,
intanto, si sganasciano dalle
risate. Una sghignazzata più forte delle altre, in cui
riconosco la voce di
quello scimmione di Emmett, giunge fino all’orecchio della
ragazza. Linda si
zittisce di colpo. Dopo pochi secondi, la sua voce ha perso del tutto
il tono
suadente.
“ Ci
dobbiamo salutare, visto che non sei da solo… ”
Prima che mi chiuda il telefono
in faccia, la sento inveire contro
quel
“ dannato lavoro. ”
“ Caspita, Edward!
Sei l’unico a essere riuscito nell’impresa di farti
chiudere il telefono in
faccia da una ragazza delle hot lines. ” Emmett, responsabile
del disastro, quasi
non riesce a parlare a causa
delle risate. Io, invece, ho perso tutta la mia baldanza: la ragazza
credo ci
sia rimasta parecchio male, in fondo stava cercando di svolgere al
meglio il
suo lavoro nonostante io fossi totalmente incapace di portare avanti la
conversazione.
Non so
perché, ma dopo ventiquattrore continuo a pensare a Linda.
Nel primo approccio
e durante la prima parte della telefonata, le sue parole non mi sono
sembrate
altro che una recita: ben fatta, ma non era certo coinvolta da quello
che stava
facendo. Quelle che ho sentito prima del congedo, invece, mi sono parse
molto
più disperate e sincere.
Non riesco a
dormire. L’occhio mi cade sull’orologio appeso
nella mia camera da letto: è appena
passata la mezzanotte. Ieri, a quest’ora, stavo parlando con
lei. Accendo il
cellulare e trovo il numero della hot line nella lista delle chiamate
effettuate.
Che cosa mi
sia preso non lo so, ma il mio dito schiaccia il tasto.
“ Ciao, sono
Linda, posso tenerti compagnia? ” La voce è la
sua. Ha sempre quel tono
impostato.
“ Ciao, ci
siamo sentiti ieri sera. Oggi sono da solo, senza i miei
amici… ”
“ Quindi ti
va di giocare? ” Mi dice lei, come se stesse recitando un
copione, ma con una
punta di sarcasmo ben evidente.
“ No… io
volevo scusarmi con te. Per i miei amici. Si trattava di una stupida
penitenza,
non volevo prendermi gioco di te. ”
“ Ma
davvero? Senti bello, non sei il primo che chiama qui per sfottere,
vedi di
sloggiare, non ho bisogno delle tue patetiche scuse. ” Il suo
tono è duro, non
c’è più traccia del tono suadente con
cui mi ha risposto: a quanto pare la
bravata di ieri sera l’ha offesa più di quanto
pensassi.
“ Aspetta
solo un attimo, da quello che ho capito a te conviene che io stia al
telefono,
così guadagni di più. ” Lo dico in
imbarazzo, sperando che questo non la faccia
infuriare più di quanto già non lo sia.
Dall’altro capo
del filo sento una risata cristallina.
“ Aspetta un
attimo. C’è il mio capo in giro, devo parlare
piano. Se senti che cambio tono e
ti dico qualcosa di scabroso vuol dire che è nei paraggi.
”
Linda
comincia a bisbigliare, attorno a lei sento le voci di altre ragazze:
gli
argomenti sono decisamente inequivocabili e mi chiedo come facciano a
fare
questo lavoro; non che io sia un uomo senza esperienza, ma un conto
è fare
certe cose, in intimità, con la propria donna, un altro
dirle ad alta voce in
mezzo ad altre persone.
“ Sei ancora
in linea? ” Linda mi risveglia dai miei pensieri,
ricordandomi che sono ancora
al telefono con lei.
“ Scusami,
mi ero distratto. Di solito non chiamo a questo genere di numeri - mi
giustifico, - è che ho perso la partita a poker del
venerdì sera, e come
penitenza mi è toccata questa. Quegli scemi dei miei amici
mi prendevano in
giro perché vedevano quanto fossi imbarazzato e quando hai
tagliato corto ho
capito che te l’eri presa. Sono molto dispiaciuto. ”
“ Ehi, stai
parlando con una ragazza di una hot line, non con la fidanzatina con
cui hai
appena litigato. ” Mi dice lei, sarcastica.
“ E’ un
lavoro come un altro e dietro a ogni lavoro c’è
una persona vera. Ed è con lei
che mi sto scusando. ”
Linda tace
per qualche secondo.
“ Dove hai
letto questa frase? ”
“ Da nessuna
parte, è stato mio padre ad insegnarmi il rispetto per ogni professione, che
renda facoltosi o
meno poco importa, chi lavora merita rispetto. ”
“ Deve
essere una grand’uomo tuo padre. ”
“ Lo è. ”
Rispondo e poi iniziamo a parlare come se ci conoscessimo da sempre.
“ La
telefonata sta andando avanti un po’ troppo per le lunghe.
” Mi dice
di colpo “ Non vorrei che il titolare
si insospettisse, devo salutarti ora. ”
“ Quando ti
posso richiamare? ” Azzardo.
Lei ci pensa
un po’ su. “ Mi trovi il venerdì e il
sabato, da mezzanotte alle due. ”
“ Allora a
presto… ”
Non faccio
in tempo a finire la frase che lei ha già riattaccato.
Finalmente è
venerdì. Abbandono la partita a poker in anticipo adducendo
una scusa. Arrivo a
casa e mi attacco al telefono: so che sembra da pazzi, ma mi manca
chiacchierare con Linda, ormai è diventata
un’abitudine dei weekend; forse
perché non mi conosce, e quindi non c’è
l’imbarazzo dei pregiudizi, però è
facile parlare con lei e aprirmi, raccontarle di Caroline, di quanto io
sia
stato avventato e di come ora, invece, desideri farmi una famiglia.
“ Ciao, sono
Linda, posso farti compagnia? ” Sempre la solita, identica
frase.
“ Ciao, sono
Edward. ”
Ormai lei ha
imparato a riconoscere la mia voce. Quando la sente, cambia tono.
Prende a
bisbigliare ed esce dal ruolo che il lavoro le impone, diventando una
semplice
ragazza poco più che ventenne.
“ Tu sei
matto… ” Sussurra tutte le volte che sente il mio
nome e anche se non l’ho mai
vista, mi sembra di vedere il suo sorriso.
Parliamo
della mia settimana, mi racconta qualcosa in più di
sé: è difficile farla
aprire, nonostante il lavoro che si è scelta capisco che
è molto timida. Dopo
il diploma non si è iscritta
all’università ma ha deciso di andare a lavorare,
non aveva voglia di passare altro tempo sui libri, dando un grosso
dispiacere
ai suoi; si è traferita e ha cercato di essere quanto
più autonoma possibile. Di
tanto in tanto, il tono si alza e comincia a rivolgermi avances
imbarazzanti, almeno
per me, anche se con il tempo non ci faccio quasi più caso.
“ Scusami,
c’era il capo nei paraggi. ” E’ ogni
volta la sua giustificazione.
“ Perché fai
questo lavoro, Linda ? ”
“ Se devo
essere sincera, non mi piace affatto. Ma è l’unica
cosa che ho trovato per
poter arrotondare il mio stipendio. Di giorno
faccio la commessa in un negozio di bigiotteria
all’interno di un centro
commerciale. ”
Scopro così che
vive in una
città vicino alla mia ed in
quel momento un’idea malsana prende corpo nella mia testa.
Il giorno
dopo, guardo su internet e localizzo il centro commerciale.
È l’unico della
zona, deve lavorare lì per forza. Sono settimane che passo
le mie serate
chiamando una linea erotica, con il solo scopo di sentire la sua voce,
di
ascoltare la sua risata quando le faccio una delle mie battute e adesso
voglio
dare un volto a tutti questi suoni. Così, mi prendo un
giorno di ferie e parto
per la città in cui lavora Linda.
Parcheggio
nel grande spiazzo di fronte al centro commerciale e comincio a
camminare lungo
la galleria esterna. I negozi sono veramente tantissimi. Ho fatto due
volte il
giro, ma non ho visto nessuna bigiotteria. Che stupido che
sono… di sicuro Linda
mi avrà dato un’informazione sbagliata. Dopotutto
non è prudente rivelare
qualcosa di sé a un cliente di una hot line. Questa volta la
lezione l’ho
imparata davvero. Che cosa mi aspettavo? Di trovare l’anima
gemella in quel
modo bizzarro? Aveva ragione Caroline quando diceva che sono un
sognatore, un
uomo troppo romantico che avrà solo delusioni dalla vita
perché si fa troppi
film in testa.
Una bambina
con un vestito rosa mi taglia la strada, quasi venendomi addosso,
attratta
dalla vetrina del negozio di giocattoli. Mi fermo di colpo: proprio
lì, nascosta
tra un negozio di vestiti e un centro di telefonia, scorgo una piccola
vetrina
luccicante di braccialetti, collane, orecchini e orologi. Il cuore
comincia a
battermi all’impazzata. Mi avvicino e lancio
un’occhiata all’interno: una
ragazza minuta, con i capelli castani e gli occhi scuri, sta sorridendo
alla
cliente alla quale ha appena preparato una confezione regalo. Ha i
capelli
raccolti e le sue mani si muovono veloci: da come si è
descritta dovrebbe
essere lei, ma non posso esserne certo fino a quando non
avrò modo di parlarle.
Mi faccio coraggio ed entro. Lei non mi conosce, non mi ha mai visto,
in questo
momento sono un cliente come un altro: spero di non stare forzando
troppo la
mano venendo qui, non vorrei che lei si arrabbiasse e troncasse le
nostre
chiacchierate. Mi metto a guardare le collane e gli orecchini appesi,
mi
soffermo davanti alla sezione dei tatuaggi temporanei e di tanto in
tanto,
lancio un’occhiata alla ragazza del negozio, impegnata con
due adolescenti
indecise sul colore di un braccialetto.
Sto ancora
fingendo i guardarmi attorno, quando una voce mi sorprende alle spalle.
“ Posso
esserle utile? ”
Riconosco la
sua voce, e come non potrei dopo tutto questo tempo?. Il tono
è impostato, professionale,
come quello che usa nei weekend ogni volta che risponde al telefono:
lei ci si
nasconde dietro a quel tono. Sono sicuro che sia la maschera dietro
alla quale
si protegge. Mi volto e, per la prima volta, la guardo negli occhi.
“ Linda? ”
Vedo un attimo di confusione nei suoi occhi e poi la consapevolezza che
anche
lei mi ha riconosciuto.
“ Edward?! ”
Le guance le si colorano di rosso, mentre abbassa gli occhi.
“ Allora era
vero. Tu lavori qui. ” Sono ancora incredulo che lei si sia
fidata di me così
come ho fatto io.
“ E anche…
là. Caspita, quanto sei alto! ” Mi dice per
rompere il ghiaccio.
“ Ti va un
caffè? ” Propongo, forse sarà
più facile per entrambi vincere il nostro
imbarazzo.
Lei annuisce
e mi chiede di attendere solo qualche minuto: appena la sua collega
arriverà a
darle il cambio, sarà libera.
Dopo un po’,
entra una ragazza con i capelli corti e ossigenati. Sbuffa e si mette
al
bancone.
“ Bella,
sapessi che giornata. ” Brontola, salutandola con due baci
sulle guance.
Io sto per
dire qualcosa, ma Linda mi prende
sottobraccio e saluta frettolosamente la collega.
“ Bella è il
mio vero nome, o per meglio dire Isabella. ” Mi dice appena
fuori dal centro
commerciale.
“ Linda è
quello che ho scelto per fare quel tipo di lavoro. Sai, suona
più hot e mi
sembrava adatto al ruolo che devo recitare. Linda Lovelace, Gola
profonda,
tutte quelle cose là. ” Gesticola, quasi in
imbarazzo.
“ Sì, ho
capito di chi parli. ”
“ Ma come,
non eri tu quello che non conosceva nulla di queste cose? ”
Mi prende in giro,
dandomi una leggero colpo sulla spalla.
“ Ehi, ho
detto di non aver mai chiamato una linea erotica, non di aver vissuto
in un
convento di clausura. ”
Ridendo, entriamo
in un bar che mi indica lei, dove va sempre durante le pause dal lavoro.
“ Ehi Mario.
”
“ Bella! Il
solito? ”
Annuisce e
poi si volta verso di me. “ Tu cosa prendi? ”
“ Cosa
sarebbe il solito? ”
“ Cappuccino
e cornetto al cioccolato. ”
“ Allora il
solito anche per me. ” Mi sorride e ci andiamo a sedere in un
tavolino protetto
da alcune piante, così da non essere troppo disturbati.
“ Come hai
fatto a trovarmi? ” Chiede, prendendo un sorso dal suo
cappuccino.
“ Per
fortuna esiste solo un centro commerciale in questa città, e
quindi ho tentato.
Anche se per un attimo ho pensato che mi avevi mentito, non avevo visto
il
negozio, è piccolino e con tutto quel caos non
l’avevo proprio notato; poi
quando l’ho scorto mi sono sentito sollevato. ”
“ Perché
avrei dovuto mentirti? In fondo siamo diventati amici. ”
Forse c’è un po’ di
risentimento nella sua voce, non le è piaciuto che avessi
dubitato di lei.
“ Non lo so.
Lascia perdere, sono io che sono diventato diffidente dopo la mia
esperienza
con Caroline. ”
“ Ok. ”
Rimaniamo
per un po’ in silenzio, mangiando i nostri cornetti, poi
prendo la parola.
“ Quindi
sono l’unico che conosce la tua doppia vita? ”
“ Sì, sai,
non tutti capirebbero e poi mi vergogno un po’: insomma, non
faccio nulla di
male, parlo solamente con le persone, non le tocco o altro, ma a volte
mi sento
lo stesso sporca. ”
“ E allora
perché lo fai? ”
“ Perché si
fanno due lavori? Perché i soldi non bastano mai.
C’è l’affitto da pagare, le
bollette, l’assicurazione della macchina, la
scuola… ”
Devo avere
un’espressione piuttosto confusa e incredula, considerando
che lei mi ha detto
di non voler riprendere gli studi, perché subito si affretta
a spiegare.
“ Ho una
bambina da crescere. ” Continua lei. “ E sono sola.
Piper ha quattro anni e non
ha mai conosciuto suo padre. ”
“ Capisco. ”
Continuiamo
a chiacchierare, alleggerendo i toni della discussione, e poi le
rientra a
lavoro, non prima, però, di avermi lasciato il suo vero
numero di cellulare.
Da quel
primo caffè ne sono seguiti molti altri; poi sono arrivate
le cene fuori, i
primi appuntamenti ufficiali, e infine il passo più
importante, quello dal
quale sarebbe dipesa la nostra storia: la conoscenza di Piper.
Fortunatamente,
tutto era andato bene, la bambina aveva accettato la mia presenza,
avevamo subito
legato e questo mi aveva fatto ben sperare nel proseguo della mia
storia con
sua mamma.
Ci ho messo
quasi un anno a convincere Bella. Lei è così.
Testarda e orgogliosa. Pensa che
affidarsi agli altri sia una debolezza. Le sue riserve si sono sciolte
quando
la piccola Piper ha spalancato gli occhioni, dello stesso color
cioccolato di
sua madre, vedendo la nuova cameretta.
“ E’ tutta
mia? ”
“ Certo che
sì. Puoi metterci tutti i tuoi giocattoli. ” Piper
inizia a girare per la
stanza e poi corre nelle altre camere, ridendo come una matta.
“ Come è
grande questa casa! E c’è anche un televisore
gigantesco. ” Grida la bambina
piena di entusiasmo.
“ Se vuoi,
tu e la mamma potete abitare qui, da oggi in poi. ” Lei mi
corre incontro e mi
abbraccia.
Bella ha gli
occhi lucidi. Io le allungo una carezza. Le ho volute con me, tutte e
due. E ho
voluto che Bella abbandonasse subito il suo lavoro notturno.
“ Questo
venerdì sera tutti a mangiare una pizza, che ne dite?
” Chiedo alle mie
donne.
“ Ma non vai
dai tuoi amici per il tuo solito poker? ”
“ Questa
settimana no. Ho già vinto la mia partita più
importante. ”
Piccola
one shot, a quanto pare i progetti a lungo termine al momento non sono
ben visti dalla mia ispirazione, per " festeggiare " i miei tre anni di
iscrizione al sito di efp. Spero vi sia piaciuta, a presto (incrociate
le dita), Paola.
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