I
Tokio Hotel non mi appartengono. Tutto ciò che è
scritto qui è frutto della mia fantasia e non a scopo di
lucro/diffamazione (Ci mancherebbe èwé)
Mentre
ballo con il tuo fantasma
Tu dimmi:
dove sei?
- Dove sei
(Neffa)
Appoggiò
l'ennesimo bicchiere vuoto sul bancone di legno d'ebano a
cui era seduto, accanto agli altri.
Quanti
erano? Una decina? Una ventina? Ormai aveva perso il conto.
Si
passò una mano tra i cornrows, sospirando, un'espressione
sofferente dipinta sul volto.
Non
sembrava percepire minimamente la musica assordante che
rimbombava nel locale o le voci che si sovrapponevano: pareva essere
assorto in un universo parallelo.
Qualche
ragazza gli si era avvicinata, chiedendogli di ballare, ma
lui aveva semplicemente scosso il capo, rifilando loro occhiate
cagnesche.
I
suoi pensieri erano offuscati, contorti; nella mente vi era
un'unica immagine chiara e nitida, un unico nome: il suo.
Il
suo viso, il suo sorriso, tutto di lei si era indelebilmente
segnato nella sua testa.
Ma
il problema era che a lei ciò non importava.
Alzò
una mano, rivolto al barman, che lo squadrò per qualche
istante, perplesso, poi scosse la testa e gli porse un bicchiere
colmo di vodka.
Non
disse nulla, ma il ragazzo vide nei suoi occhi la compassione che
provava nei suoi confronti.
Con
un gesto rabbioso afferrò il bicchiere e
trangugiò il suo
contenuto tutto d'un fiato: odiava essere compatito.
Sentì
il sapore amaro dell'alcol graffiargli la gola, e il liquido
scendere, dandogli una sensazione di calore, di appagamento.
Ma
non era abbastanza.
Fece
per alzare di nuovo la mano per farsi portare un altro
bicchiere, ma un dettaglio lo portò a voltarsi alla sua
destra.
Una
silhouette familiare aveva fatto il suo ingresso nel locale, e si
stava dirigendo verso la pista da ballo.
Che
fosse...?
Come
un'automa si alzò dallo sgabello sul quale era seduto ormai
da
diverse ore, e seguì l'ombra mentre si addentrava tra la
folla.
Era
una ragazza: aveva dei lunghi capelli mori, il fisico snello e
slanciato, fasciato in un abito corto bianco senza spalline che le
lasciava scoperte le gambe.
La
giovane continuò a camminare fino a quando non si
trovò al
centro della pista, e una volta lì iniziò a
muoversi al ritmo della
musica.
Il
ragazzo, fermatosi una decina di passi dietro di lei, osservava
rapito i suoi movimenti sinuosi e sensuali.
Quando
però la ragazza si voltò verso di lui, il mondo
intorno a
loro sembrò fermarsi.
Lui
sgranò gli occhi, mentre lei si voltò
immediatamente di nuovo
dall'altra parte, senza degnarlo di una parola.
Nonostante
le luci psichedeliche che gli offuscavano la vista,
l'aveva vista benissimo: era lei, non c'era dubbio.
Deglutì
e strinse i pugni, serrando la mandibola: cosa ci faceva lei
lì?
Perché
lo perseguitava senza sosta, per poi abbandonarlo sempre?
Prese
un respiro profondo e decise che quella sarebbe stata l'ultima
volta che si faceva prendere in giro in quel modo.
Lui
non era un ragazzo qualunque: era una rockstar, famosa in tutto
il mondo, per giunta.
Lei
non aveva il diritto di fargli quello che gli stava facendo.
Tuttavia
però, dentro di sé percepiva come una sorta di
consapevolezza: in fondo, il suo cuore ormai le apparteneva.
Sospirò
una seconda volta, poi si fece coraggio, e finalmente si
mosse verso di lei, che aveva continuato a ballare, per niente
turbata dalla sua presenza.
Quando
fu ad un passo da lei, però, la giovane si voltò,
cogliendolo di sorpresa.
Si
guardarono negli occhi per qualche istante, poi lei gli mise le
braccia al collo e fece aderire i loro corpi, stringendosi a lui.
A
quel contatto, il ragazzo sentì una scarica di adrenalina
pervadergli il corpo: gli era mancata.
Si
erano visti solo la notte prima, ma ormai lui aveva come una
voglia insaziabile di lei.
Non
poteva farne a meno.
E
lei lo sapeva.
Sapeva
perfettamente di averlo in pugno mentre si muovevano a tempo
di musica, l'una stretta all'altro.
E
tutto questo mandava lui fuori di testa.
La
giovane alzò leggermente il capo, e piegò gli
angoli della bocca
all'insù, in un lieve sorriso: era il suo modo di chiedere
scusa per
non esserci stata quella mattina. E quella prima, e quella prima
ancora.
Gli
stava chiedendo scusa per tutte le volte in cui l'aveva
abbandonato, deluso, umiliato, ferito.
Buffo
come un sorriso appena accennato potesse essere una richiesta
di perdono, ma tra loro due era così.
Affondò
il viso nei suoi capelli scuri, inspirando il loro profumo,
con aria sconfitta: lui poteva solo accettare le sue scuse, o
l'avrebbe persa.
Si
allontanò di poco, e la osservò con cura,
perdendosi nei suoi
occhi verdi smeraldo, così limpidi e profondi, passando poi
al
piccolo naso a punta, che arricciava quando c'era qualcosa che non
andava.
Infine,
i suoi occhi non poterono non soffermarsi sulle labbra della
giovane.
Rosse,
carnose, morbide: in poche parole, rasentavano la perfezione.
Gli
erano mancate quelle labbra, e ora bramava di averle.
Si
avvicinò al suo viso, e vide lei chiudere gli occhi e fare
lo
stesso. Ormai erano ad un soffio l'uno dall'altra.
Poi
si svegliò di nuovo in quel letto vuoto.
Salve popolo di EFP!
Sì, avete capito
bene: Heilig ha avuto uno
schizzo notturno e si è messa a scrivere questa shot :')
Lo so, lo so, avevo
annunciato il mio
ritorno per settembre a causa dei compiti e blablabla... Ma il tempo
per un' OS si trova sempre, no? OuO
Non so come descriverla
questo frutto della
pazzia insonne; sappiate solo che mi è venuta in mente
ascoltando –
e riascoltando, e riascoltando- 'Dove Sei' di Neffa.
A proposito, ascoltatela,
perché è davvero
bella :)
Come avete potuto
osservare, anche qui Tom è
lo 'sfigato' della situazione: scusate, ma non è che
può essere
sempre il più figo èwé
Ok, ok, basta ho finito di
straparlare.
Aspetto le vostre
recensioni!
E
come sempre, vi invito a raggiungermi su Facebook
e Twitter
A settembre (no, questa
volta sul serio)
Un bacio,
Heilig
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