Senza nome 1
Well, memories will burn you.
Memories grow older as people can
They just get colder
Like sweet sixteen
(Billy Idol, Sweet Sixteen)
Ognuno ha il diritto di amare, di vedere un passerotto volare leggero quando un
bacio toglie il fiato al vento, di sbattere le ali con capriccioso egoismo, per
far diventare questo monotono io
un
noi.
Non tutti.
L’amore ultimamente viene ritenuto un dovere: non muoverti, posa il tuo gravoso
peso su una pietra liscia e madida di pioggia, qualcuno passerà e ti porterà via
al sicuro. Prima o poi verrà questa persona. Ora non c’è? Poco importa, attendi
e la troverai…
NO.
Sono già caduta in questo errore, non lo farò più, mai più. E’ per questo che ho
dichiarato a Touya ciò che provo per lui.
Avevo amato Shaoran, tanto. Le mie labbra erano state sue per la prima volta,
lui mi aveva condotta verso una via sperduta, gentile e letale. Lo avevo amato
davvero. Ma ora è diverso, è tutto così diverso, come me.
Io non ho il diritto di amare, non ho il diritto di sfiorare il cielo e di
sentire la pelle muoversi sotto la scossa del vento: il mio amore è diverso,
solo questo. Diverso… Vago, ambivalente…
Se potessi precipitare su nel cielo annegherei all’aria aperta nel viola. Viola
come il pensiero, come l’ambiguità. Il viola infatti nasce dall’unione del rosso
e del blu, attività e passività, bacio e sguardo, presente e passato,
determinazione e nostalgia, non amore e odio, perché il rosso contiene in sé
entrambi; invece il blu è l’interiorità, il misticismo, l’infinito racchiuso in
un corpo, il chiaroscuro e il dolceamaro, l’obiettivo irraggiungibile e luminoso
come una candela nello spazio. L’atavica metamorfosi.
La stanza è acquosa e umida, sento quasi le onde sbattermi sugli scogli. Quando
fugace il vento entra dalla finestra, la mia pelle viene ancestralmente dipinta
di gelo.
Perché non posso essere normale? Perché la tela su cui mi è stato ordinato di
dipingere è troppo grande e i miei colori troppo pochi? Perché c’è solo una
corda del mio violino che può essere suonata? Perché non ho scelta? Perché la
mia anima è solo grigio perla e blu di Persia?
Come un canto ebraico durante il Pesach, la mia lingua si muove contro le setose
e drappeggiate pareti della mia bocca, senza sapere cosa fare.
Amabile come un batuffolo di cotone, la sua voce mi raggiunge:
-Esco, cucina tu. Ah, papà oggi torna verso le dieci, perciò metti la sua cena
nel forno così non si raffredda.-.
Questo c’era prima di me, sì, è già successo. Non sono certo la prima che ama
proibitamente… No.
Ma questo non cambia le cose. Devo nascondermi per questo, devo chiudere gli
occhi per far sì che la gente non guardi il peccato e rimanga pietrificata da
tanta mostruosità.
Sono un mostro, detestabile spazzatura dei difetti umani, ineffabile stranezza
ambigua e mastigofora.
O devo tentare? Devo tentare di cambiare la mia insana passione e di sostituirla
con… con cosa? Non può essere sostituita se non dalla fuga, ma neanche quella mi
farebbe espiare la mia colpa dannata e lacrimosa. Lacrimosa speranza di
innocenza ed ingenuità, di sole perduto in un sogno oscuro, di selvaggia foresta
invece di questa asfissiante stanza.
All’improvviso capisco: perché fuggire dalla realtà? E’ così bella… Bella come
caos armonico, gentile come un cuore valoroso, feroce come una fiera
sanguinaria, ma pur sempre innocente. E con innocenza lo conquisterò, se non ci
sono riuscita con l’amore, lo farò con la passione innocente, che non fa male,
non nuoce.
Cremosi, i miei pensieri sorridenti inghiottiscono l’angoscia e, almeno per un
po’, vivrò il mio turpe sogno.
Sento la porta sbattere, non aspetta la mia risposta.
Chi dice che non baciare senza innocenza, sedurre senza ingenuità?
A costo di essere l’unica a farlo, mi taglierò le vene per far scorrere sulla
mia pelle sangue viola, senza vergogna di essere diversa, senza rinnegare ciò
che abita dentro di me.
Lievito subitaneamente dal letto e m’incammino verso il mio armadio; prendo
della biancheria intima bianca e mi spoglio. Il mio corpo si confonde col
tessuto candido, non capisco dove finisca la pelle e dove inizi la stoffa.
Il vento fa sbattere violentemente le finestre… Percepisco tutto
istantaneamente, senza pensarci, senza comparare: non ho bisogno di
similitudini, io sono ciò che vedo, sono ciò che sento, sono ciò che tocco con
le mani e con la mente, lievemente e violentemente, bestialmente e
angelicamente, in linee verticali, con perfetta armonia curva e obliqua.
Il letto è morbido sotto il mio corpo ricoperto solo di fine pelle, mentre un
lampo ingiallisce il cielo, una pagina consumata e ammuffita.
Inquieta, abbandono la nudità e mi ricopro di monocromatico bianco.
-Troppo monotono.-, mormorò guardandomi allo specchio inclinato. Devo coprirmi
con qualche altra cosa… Mi vengono in mente le zanzariere che mio padre conserva
in attesa dell’estate. Poteva bastarne anche una.
Le trovo subito e le fisso: nere, delle rete fitte come i pori della pelle, come
gli occhi che si affacciano sulla mia vita.
Mi circondo il busto con una di quelle reti, fermandola alla vita con un nastro
bianco come i capelli della Fede, come il bambino che cerca la sua stella fra le
onde del mare.
Mi costruisco la mia terra di ghiaccio che non si scioglie con l’amore, non si
liquefa col fuoco, ma con altro ghiaccio ed altra neve, altro gelo ed altre
stelle bianche. Equilibrio che emana armonia… come una melodia incantevole e
fiabesca.
Scendo le scale con rinnovata purezza; non sempre il bianco è il colore della
salvezza, ma di una cosa sono sicura: l’oblio in cui sto cadendo non è oscuro, è
perdizione, sì, ma bianca come una civetta delle nevi, come una tigre siberiana,
feroce, seducente, sacra, vergine e profana.
Questo mio dilettevole abbandono è santo e implacabile, innato, istintivo,
primordiale, immortale, non è nato prima del mondo perché è il mondo stesso, è
l’idea di lui, la sensibilità del
tocco del vento contro Atlante, il mondo che vacilla e trema, il mondo che cade,
il mondo che crolla sulle fila del vento, unico dominatore delle forze,
vincitore della dipartita di cielo e terra, angelo interiore che anche noi
possiamo risvegliare, sola entità vincitrice e vinta.
Soffio di vita e di salvezza, Eden incontrastato sulla Terra, speranza perduta,
anima di innocente, ninnananna aleatoria.
Mi stendo lentissimamente sul divano.
Sono diversa, sono bianca nell’oscurità, sono sorridente nella depressione, sono
innocente nel peccato. Nessuna colpa da espiare: se Dio vuole amore, che amore
sia: fraterno, passionale, materno, eretico, estatico, imperfetto, indeciso,
pazzo, impossibile, indesiderato, agognato, ricercato, predetto, impressionato,
scoperto, tradito, contrastato, implacabile, stanco, obbligato, sconveniente,
scandaloso, disumano, violento, lacrimoso, indomabile, creduto, mentito,
sparito, vittorioso, sempreverde, appassito, sconfitto… E’ amore e nessuno può
negarlo. L’amore non porta mai nulla di nocivo.
Non mi accorgo del tempo che scorre, sei già arrivato. Sento le chiavi nella
serratura e subito la porta si chiude. Tutto scorre velocemente, ma con
dolcezza, senza sollecitudine o fretta. Sei qui.
-Sono tornato.-, urli.
Io rimango ferma. Cosa farai quando mi vedrai così? Cosa penserai? Io sono una
nuvola, volo leggera e muto grazie al vento, bacio il vento e lo abbraccio, fra
i suoi schiaffi e le sue carezze.
I tuoi passi si avvicinano, chiudo gli occhi e poggio la testa sul bracciolo.
Sento l’aria muoversi, trasparente ma così palpabile, fonte di vita e respiro.
Percepisco tutto, senza filtri: è l’aria che mi guida, il soffio consistente e
inafferrabile di un sospiro altisonante.
Sei arrivato. Sento i tuoi passi fermarsi e il vento che giocava nella stanza
ora ricade sul pavimento, tenue e vaporoso.
I tuoi occhi trapassano l’aria e mi colpiscono, lo sento. Sei furioso, iracondo,
collerico, infuriato… Ma non m’importa, io ti amo.
-Ti amo.-, sussurro ancora ad occhi chiusi. Sembro in estasi mistica, come
quelle sacerdotesse, le Pizie, che andavano in trance e comunicavano con il
proprio dio. Io comunico con Eolo dai dodici figli, sei maschi e sei femmine che
si unirono fra loro. Forse io e Touya siamo figli di Eolo, siamo la settima
figlia e il settimo figlio non riconosciuti. Destinati a isole serene e libere,
come il vento.
-Ti amo davvero… Non so perché, ma è così. Voglio essere assoluta per una volta,
sciolta da convenzione e regole da altri definite. Io ti amo.-, sorrido.
Le tue mani mi stringono il collo, mi tiri i capelli…
-Non hai capito niente. È inutile che ti impegni tanto con questa tua mania.
Cosa farai domani? Ti piazzerai sul marciapiede dove cammino io e ti struscerai
contro il primo palo che trovi? Oppure mi metterai sul piatto le tue mutandine?
O che altro, verrai a scuola vestita da coniglietta di Playboy? Smettila, sei
patetica.-.
Parole scivolose e inconsistenti, mentre le tue mani ruvide mi costringono ad
alzarmi.
-Smettila, smettila, SMETTILA. Non ti servirà a niente tutta questa messa in
scena. Sei disgustosa, schifosa, orrenda.-.
Apro gli occhi: una colomba vola in diagonale verso l’alto. Forse sta andando in
paradiso, sta sporcando il suo candore con l’impermeabile viola del cielo.
Addio, colomba. Addio.
Addio…
Mig vaknar draum-haf
mitt hjartað, slá
úfið hár.
Sturlun við fjar-óð
sem skyldu-skrá.
og hér ert þú
fannst mér.....
og hér ert þú
Glósóli.....
(Sigur Ros, Glòsòli)
(Traduzione:
Mi sveglio da un incubo.
Il mio cuore batte
fuori controllo…
Mi sono cosi abituato a questa follia
che ora non ne posso fare a meno
Eccoti...
Sento...
Eccoti...
Raggio di sole...
Eccoti...
Raggio di sole...
Eccoti...
Raggio di sole...)
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