Le
regole della danza
Vola leggero il
passo, ritmo lento di due cuori che battono all’unisono, scricchiolio di
parquet fradici di fatiche e di sconfitte, e la musica imperversa nella stanza.
Cancellati i pensieri della mente, ora non vi è spazio per altro se non per il
ritmo, dimentichi dei cattivi pensieri e delle angosce, i due cuori corrono fra
le nuvole perlacee in un cumulo di bianchi ricordi. Ma non vi è tempo di
fermarsi a riflettere, il prossimo movimento esige attenzione, ed è ora di
mischiarsi agli stormi di uccelli nel cielo.
Stridere esige il passo, stridere e
trascinare come esanime il corpo, abbandonandosi fiduciosi alla stretta
dell’altro, sentendo calde le mani scivolare lungo il fianco scoperto. Avere
fiducia è al prima regola. Dimenticarsi di essere, la
seconda. Non si ha più corpo, non si ha più fisicità, solo un cuore che batte
alla ricerca di qualche cosa, perso in luoghi lontani, come nota che si piega
alla melodia, come giunco in balia del vento, piccola entità senza corpo
fisico. Si è fusione di due essere.
Dimenticarsi di credere, la terza.
Non esiste altro all’infuori del movimento, non c’è altra voce se non quella
delle stonate note, non vi è tempo se non quello scandito dal ritmo. Solo in
questo si deve credere. E se improvvisamente nel petto
lieve un singulto si leva, e un movimento scardinato si trascina sul luogo di
sconfitta, non importa, andare avanti, mai fermarsi. È la quinta regola.
Improvviso un falco varca una
bianca nuvola, e lo stormo disperde, e i due cuori divide.
E la dolce melodia spezza e il ritmo si accascia sul
parquet. La sesta regola è rialzarsi. E fare del cuore
impavido, che si fa lume di candela nella brezza, un tremolio che afferra
l’orgoglio e lo riporta sopra la vetta, lo costringe a continuare la danza. Mai
abbandonarsi fra le braccia della sconfitta.
Vietato pensare al nuovo attacco
del perfido rapace, non è sicuro che planerà di nuovo sullo stormo, ma pensare
solo al cuore a cui si è vincolati, pensare a quello,
non ad altro, come vuole la seconda regola. Non temere nuovi errori è la
settima. Il falco è più timoroso, ora, nell’attaccare.
Sentire la felicità scorrere nelle
vene nell’essere…
spiga dorata d’agosto
uva succosa d’ottobre
chicco di grandine d’aprile
piccola brezza dicembrina
goccia d’acqua piovana
spiraglio di sole nel cielo
cupo
tuono temporalesco
Essere un tutt’uno
con la natura del ritmo è l’ottava regola.
Giunge infine il momento in cui il ritmo si
spezza, si esaurisce il flauto e il violino blocca le sue corde. Con il pianto il cuore si scinde e ritorna alla vita, la mente al
presente si china, il corpo al volere soccombe. La speranza si chiude in un
inchino mentre il destino si consuma in un parquet fradicio di fatica. E forse di sconfitta. Ma qualunque responso
la giuria decida, l’ultima regola va rispettata, dall’inizio del ritmo alla sua
fine: così come iniziato, con un sorriso artefatto, il ballo deve finire.