Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand.

di Gatto Magro
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Per favore spegni la radio che mi fa male lo stomaco.
E questo pseudo di hard rock degli anni zero non l’ho mai davvero sopportato, anche se ti accompagnavo a comprare ogni singolo album che la tua band preferita pubblicava.
I negozi di dischi vicino a casa nostra non li mettevano nemmeno in magazzino. Io stringevo fra i denti i miei commenti sarcastici e tu storcevi il naso fingendo un’espressione di sufficienza. Mi trascinavi nel primo treno che ti saltava in mente e non facevi che sorridere, anche se parlavamo del governo e dell’università che non sapremo mai scegliere. Se non sorridevi, perché a volte ti manca la forza o la tua testa è completamente da un’altra parte, con i cervi che risorgono dalle fosse aperte e  su autostrade luminose a vivere colonne sonore, rimanevano i tuoi occhi a brillare sulla federa sudicia del sedile.
Ti ho odiata per una parte consistente della nostra vita insieme, ma la tua musica rumorosa non c’entra molto, alla fine.
Erano più i tuoi silenzi. I tuoi racconti zoppi e inspiegabilmente tristi, senza speranza. I poli opposti della tua bellezza. Il cinismo con cui facevi a pezzi i sogni che sostituivi alla vita. Le frequenti ricapitolazioni che ci trovavamo a fare per tirarti su il morale, alle cinque del mattino seduti sul pavimento a scaldare una bottiglia di Tequila con le mani. Le pile di libri, quaderni e album che erigevi attorno al letto, accumulati come talismani contro i tuoi mostri senza capo né coda.
Io ero uno di questi? Mi hai risposto di sì, alla settima volta che te lo chiedevo. Che mi tenevi distante perché non avrei mai capito il nulla che c’era da capire, in te.
Non hai mai saputo spiegarmi il tuo nulla, e non mi hai mai ascoltato quando ti dicevo che sei bellissima.
Te lo dicevano i tuoi ragazzini immaginari, allora sì ci credevi anche se il tempo si accorciava sempre di più e io non ero più eccitato dai tuoi misteri come i primi mesi. E non avevi più voglia di spiegarmi perché eri così triste pensando a dicembre. Che ti piaceva avere freddo. Che il tuo primo amore era troppo vecchio per te.
Se avessi un cane, sapresti perfettamente come chiamarlo. E se fossi in un deserto rosso, sapresti di che cosa sei in cerca e sarebbe il giorno più bello della tua vita. Hai almeno tredici vite in corso e so che in almeno due sei più o meno felice. Nelle altre sei più bella, più terribile, alta, maltrattata e coraggiosa. In un paio devi essere morta e risorta, perché la pace eterna ti annoia come le giornate estive.
Se non vuoi parlarmi, almeno spegni la radio che mi fa male l’anima.
 
 
 
 
 
 
P.S. Lasciate perdere. Cancellerò questo capitolo non appena la sua versione migliore verrà alla luce. Nel frattempo, credo che la depressione che mi genera pubblicare mi farà desistere. E nessuno saprà mai come vanno a finire i miei 23 anni.
Ho deciso, mi darò alle fanfiction porn. 




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