settembre
CAPITOLO UNO
Mi avevano assicurato che la strada per raggiungere la felicità
fosse tortuosa, piena di insidie e di ostacoli insormontabili. Questa
teoria a me sembrava assurda e priva di un senso logico poichè
la mia felicità risiedeva proprio in una maestosa casa di fronte
alla mia e per arrivarci bisognava unicamente attraversare le strisce
pedonali. Nessuna complicazione, nessun ostacolo, bisognava solo stare
attenti al traffico. Mi consideravo una ragazza fortunata:
l'intera umanità era alla ricerca della felicità, io
non avevo più bisogno di cercare. Era ora di prendermi
ciò che mi apparteneva. «Che la conquista abbia inizio.» pensai.
Presi il cappello e nascosi abilmente i miei lunghi capelli biondi all'
interno, afferrai velocemente il primo paio di guanti che giaceva
beatamente sul comodino vicino al mio letto, infilai il mio cappotto
rosso in fretta e furia e scesi le scale di corsa con un sorriso
stampato sulle labbra. Era il primo settembre. Il sole continuava a
splendere nel cielo come se non avesse minimamente avvertito la fine
dell'estate. L'autunno cominciava a svegliarsi dal suo lungo letargo e
nessuno era pronto ad accoglierlo a braccia aperte, fatta eccezione per
la sottoscritta. Rimisi le chiavi di casa in tasca e mi ritrovai a
fissare un grande e antico portone: lì abitava la mia
felicità. Il portone era sovrastato da una maestosa finestra che
lasciava intravedere il lussuoso salone della casa più bella
della città. Era la casa dei Cumbersten, famiglia di nobili
origini che viveva lì da oltre cinquanta anni. Cominciai a
ridere fragorosamente al solo pensiero che quei limpidi vetri erano
osservati continuamente da una finestra più umile e molto
più piccola: quella della mia camera. Non riuscivo più a
contare le volte in cui, nascosta in un angolino, avevo segretamente
ammirato il suo volto dalla
mia camera. Mentre suonava il pianoforte quel ragazzo esercitava su di
me un fascino indicibile. Dall'altra parte della strada non riuscivo a
sentire la melodia, era per questo motivo che mi decisi finalmente ad
affrontare il pericolo. Attraversai quella maledetta strada e giunsi a
pochi passi da quell' imponente portone verde. Guardai l'orologio.
Erano le undici e un quarto. Ero pronta a deliziare le mie orecchie con
quell'amabile melodia. Non mi avrebbe deluso, ne ero sicura. Il motivo
proveniente da quella finestra doveva necessariamente essere piacevole
perchè era lui a
sfiorare con le sue dita quei tasti. Ero pronta a chiudere gli occhi e
a godermi quel momento istante per istante, ma invece di una soave
melodia udì delle grida e dei rumori che si avvicinavano
velocemente. Le voci si accavallavano confusamente e non riuscì
a capire nemmeno una parola. Sbuffai. Improvvisamente realizzai che
qualcuno stava per uscire da quella casa e mi affrettai ad avvicinarmi
al bordo del marciapiede. Il semaforo era rosso. Avrei dovuto attendere
un altro minuto prima di ritornare nel mio dolce rifiugio. Una ragazza
aprì e chiuse rumorosamente il portone verde e si
avvicinò a me. Sembrava scossa e tremendamente nervosa.
Indossava un abito molto carino di colore verde smeraldo e un tacco
dodici mozzafiato. Non riuscì a vedere di che colore fossero i
suoi occhi perchè era occupata a scrivere un lungo messaggio di
cui ovviamente ignoravo il contenuto. La curiosità mi stava
uccidendo. Avrei desiderato con tutta me stessa sapere cosa fosse
accaduto in quella casa. Un uomo anziano dalla robusta corpuratura chiamò la giovane ragazza.
«Signorina,
ha dimenticato i suoi spartiti!» affermò avvicinandosi
gentilmente e porgendo alla ragazza un esile libro.
«Grazie mille.» rispose freddamente la ragazza strappando il libro dalle mani del povero maggiordomo.
«Mi dispiace per quello che è successo.» disse il maggiordomo con aria sommessa.
La collera invase il volto della ragazza che non riuscì a
parlare per qualche secondo. La sua mano tremava e finalmente ebbi
l'occasione di vedere i suoi occhi. Erano dei bellissimi occhi color
cioccolato. Scuri, profondi e pronti a scatenare l'inferno.
«Sia dispiaciuto piuttosto per il signorino Cumbersten. E' lui ad averci perso molto.» ribattè la ragazza.
Dopo aver detto queste parole con tono deciso diede le spalle all'incredulo maggiordomo e attraversò la strada.
Lei doveva essere la ragazza francese di cui ho letto nelle prime
pagine del diario. Rimproverai me stessa per essere stata così
stupida e distratta. Lei era
quella ragazza. Lei era la sua Camille.
A quanto pare non più sua. Attraversai anche io la strada e
tornai a casa. Il povero anziano continuò a guardare la ragazza
mentre camminava a passo spedito verso la piazza della città.
Chissà se ribolliva di rabbia per l'arrogante atteggiamento
della ragazza o se in cuor suo aveva il desiderio di curare quella
profonda tristezza nascosta da un paio di occhi feroci.
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