Blackbird.
“The
willow it weeps today
A
breeze from the distance is calling your name
Unfurl
your black wings and wait
Across
the horizon it's coming to sweep you away.
It's
coming to sweep you away”.
Immedesimarsi
negli animi della gente spesso è difficile, forse
addirittura quasi
sempre, se devo essere onesta fino in fondo con me stessa. Il famoso
“prova a metterti nei panni altrui” credo si possa
utilizzare
solo se ci si trova dinanzi a degli attori, precisiamo però
bravi,
che sanno uniformare la finzione alla realtà, rendendola
pertinente
e verosimile, così schifosamente
verosimile.
Occorre
ancora precisare che, nel caso in cui ci si trovi davanti a persone
che affermano
di conoscerti, allora questo ingrato compito dovrebbe risultare, se
non proprio facilissimo, almeno agevole, per certi versi.
Per
lo meno, questa era la mia supposizione, fino a un paio di mesi fa, o
giù di lì, quando mi sembrava che potesse esserci
un piccolo
barlume di speranza, un qualcosa capace di riscaldare il mio cuore e
di farmi continuare a pensare che la mia lotta, la mia forza, il mio
essere testarda, potesse farmi giungere alla meta, una vittoria
felice, sperata, desiderata con tutta me stessa, attestante il mio
coraggio.
Ho
capito però di essere una grande codarda e non è
giusto arrogarmi
l'etichetta di ragazza senza macchia e senza paura, capace di
affrontare le sfide che mi ritrovo davanti ogni giorno della mia
vita.
Penso
che il massimo del mio ardire sia proprio ammettere, almeno tra me e
me, che non sono la grande eroina che sembro agli occhi di chi non mi
conosce affatto, o solo superficialmente, o ancora, per l'unica
persona che ha trovato del buono in me al punto da avermi affidato il
suo cuore e la sua anima, senza riserva alcuna, con tutto l'amore che
nutre per me.
Sono
una pusillanime, c'è poco da dire o da fare.
Osservo
il mio volto allo specchio, gli occhi cerchiati dal naturale nero
delle occhiaie che ormai sono prossime a raggiungere gli zigomi, resi
neri a loro volta dal trucco scuro che amo portare anche se ormai
sciolto dalle troppe lacrime versate quotidianamente, oggi compreso;
i capelli lunghi tendenti al rossiccio e pesantemente richiamati sui
miei fianchi dalla gravità ad incorniciare un viso
considerato
carino, ma che, se fosse per me e per delle capacità che non
ho,
muterei del tutto, al fine di poter iniziare una nuova vita,
scongiurando l'eventualità che qualcuno mi riconosca.
Ma
poi, lo vorrei davvero?
In
cuor mio la mia risposta è una sola e la so bene.
Voglio
solo che tutto questo finisca, che tutto sparisca e si perda nei
flutti del fiume che scendiamo e non scendiamo, simbolo di costante
mutare e divenire.
Voglio
soltanto che un supplizio che per me dura da tanto, troppo tempo,
trovi una soluzione, quella stessa soluzione a cui avevo pensato da
chissà quanto tempo, ma che non attuavo mai.
Per
paura, forse?
Probabilmente
è così, magari si tratta solo di un ultimo atto
di egoismo che
afferma che è giusto aggrapparsi alla vita,
perché unica fonte sì
di sofferenze, dolori, ma anche di meravigliose esperienze da
scoprire, soddisfazioni da assaporare, piaceri mai conosciuti e tante
altre belle cose che, se ci rimugino su, mi lasceranno desistere dal
mio volere, l'ultima mia volontà.
Il
mio non è un atto di coraggio, non si tratta di una
resistenza
stoica la mia, non sono di certo Seneca, altro uomo dalle grandi
contraddizioni come le mie, forse posso però dire che
è un gesto
del tutto sentito, voluto fino in fondo, la paura vinta con la
viltà.
Il
simile si cura col simile.
Si
tratta solo della sublimazione della mia disperazione, l'estremo
sfogo di una ragazza mai capita fino in fondo.
“The
fragile cannot endure
The
wrecked and the jaded a place so impure
The
static of this cruel world
'Cause
some birds to fly long before they've seen their day
Long
before they've seen their day”.
Apro
l'armadietto dei medicinali in bagno, cercando qualcosa che possa
alleviare un lancinante mal di testa giunto così,
all'improvviso.
Pronuncio
con un sorriso sulle labbra la parola “nimesulide”
dopo aver
preso il tubetto delle compresse che mi servono; ho sempre trovato
divertenti i nomi dei principi attivi dei farmaci, per un qualche
astruso motivo ignoto anche al mio io. La mia parola preferita
però
è “metoclopramide”, sarà
perché mi piacerebbe che la merda del
– e nel – mondo avesse fine, o quanto meno, che si
attenui
almeno un po'.
Questo
sarebbe il compito che l'umanità intera, comprensiva di Homo
sapiens
superior, dovrebbe prefissarsi come fine ultimo, come bene supremo.
Il
bene del mondo viene prima di tutto e ognuno di noi può e
deve fare
la propria parte, seppur piccola. Le parole del buon vecchio
Professor X non erano proprio queste, ma la sua filosofia di vita
presenta anche questo assioma.
Penso
proprio che questo non potrà mai accadere.
Non
credo che io poi, personalmente, assisterò in prima persona
a un
miracolo
di tale portata. Non merito di essere felice, quindi questa grazia
non giungerà mai per me, sono giunta alla consapevolezza di
averlo
capito, oramai. Anche se ho impiegato ventidue anni per arrivarci...
beh, meglio tardi che mai.
Penso
che la felicità sia preclusa soltanto ad alcuni individui,
definibili come eletti,
tra i quali io non figuro per nulla.
Non
lo dico perché mi sento oppure perché voglio fare
la vittima, al
fine di essere compatita, per me la compassione è peggiore
oppure
sorella dell'ipocrisia e quest'ultima è da sempre la mia
peggior
nemica. Ritengo che la mia vita non valga poi così molto,
contrariamente a quanto mi hanno insegnato.
Ho
provato a cambiare la mia situazione, ad abbracciare il mio destino e
tentare di scriverlo a modo mio, direttamente, senza che nessuno
intralciasse la mia strada, fatta di sogni, desideri, ambizioni e il
cielo sa cos'altro.
Inutile
dire che non ci sono riuscita, altrimenti non sarei qui, a meditare
su cose che non dovrei nemmeno pensare, o più precisamente,
cose che
una ragazza come me, che ha tutto dalla vita – sempre secondo
chi
non mi conosce – non dovrebbe nemmeno lontanamente percepire
nell'anticamera del cervello.
“Ascend
may you find no resistance
Know
that you made such a difference
All
you leave behind will live to the end
The
cycle of suffering goes on
But
memories of you stay strong
Someday
I too will fly and find you again”.
Mando
giù due compresse senza bere dell'acqua, deglutendo
direttamente il
tutto. Inclino il collo all'indietro, compiendo un'estensione del
collo e di riflesso del capo; un gesto secco, deciso, che termino
mordendomi le labbra, lasciando che sanguino un po' dall'interno.
Ripenso
con un malsano piacere al fatto che non sono l'unica a cui piace
torturare in questo modo le mie labbra, e, proseguendo sull'onda di
questi pensieri, ricordo ancora meglio di quanto io mi sia persa tra
le braccia dell'uomo che amo, alcune ore fa, dopo essere corsa a
perdifiato a casa sua, cercando un contatto che non mi è
stato
negato, un abbraccio, un bacio, altre lacrime versate sul suo petto
per essere poi cullata dalla sua voce e dal calore di tutto il suo
essere.
«Troveremo
una soluzione a tutto» mi ha detto così,
fiducioso, speranzoso e
assolutamente convinto, molto di più di me, e dire che
solitamente
si dice che io sia la più... tosta
tra i due.
Emetto
un lungo sospiro, basso e greve, quando una voce mi fa trasalire.
«Allora,
Paloma, esci dal bagno o pensi ancora di voler fare delle
cazzate?»
Il
suo sguardo duro e severo è lì, fisso e
concentrato sui miei occhi
in un modo che non avevo mai notato rivolto a me.
È
appollaiato sull'imposta della finestra del bagno. I suoi occhi
azzurri saettano di qua e di là, non allontanandosi mai
dalla mia
figura, quando mi rendo conto di essere avvolta soltanto da un
asciugamano grande, avevo intenzione di fare una doccia, cosa che,
ovviamente, ora non è più possibile.
Continua...
L'angolo di Layla.
Salve a tutti,
sarò brevissima.
Pubblicherò
il secondo capitolo di questa storia che ho frammentato entro la fine
della settimana. Tutto ciò che succederà dopo
troverà una spiegazione e lì le mie note saranno
lunghette.
Spero possa piacervi.
Un bacione,
Barbara.
|