Rieccomi
qua!
Come avevo detto, torno con una fanfiction su un gruppo
appartentemente quasi sconosciuto in questa sezione. I McFly!
Conoscete? A
parte qualcuna di voi, sicuramente la stragrande
maggioranza non li avrà nemmeno mai sentiti nominare.
Piccola bio: sono
inglesi, età 23-21 anni, simpatici e
deficienti. Per chi è fan come me, sono semplicemente i
McFly.
Stile musicale:
avete presente i Tokio Hotel? Tutt'altra cosa XD (ed
anche meglio... ma questa è un'altra storia XD)
Voglio presentarveli! Questi sono i Mcfly!
E' la mia foto preferita che ho di loro (pochissime) ma ne ho anche una
in versione... più seria...
XD
Adesso ve li presento uno ad uno:
Tom
Fletcher: cantante e chitarrista, se sentite una
loro canzone è quello con la vocetta nasale e un po'
stridula! Ma è tanto dolce, con quella sua bazzetta
prominente XD
Danny
Jones: altro cantante e altro chitarrista.... non
fatevi ingannare dal suo bel faccino, è quello con la voce
dura, da rocker... già mi viene caldo a pensarci... tra i
quattro, è il mio preferito, indubbiamente, anche se nulla
tolgo agli altri!
Dougie
Poynter: il piciulo del gruppo! Bassista, stupidino,
tanto dolce a vederlo!
Harry
Judd: batterista, begli occhi XD secondo me ha la
faccia da stronzetto...
Tanto per farvi capire che i McFly non sono i Tokio Hotel su cui ho
scritto tanto (ci corre un abisso immenso), vi linko alcuni video,
sperando che vi appassionino perchè son veramente ganzi!
(che termine antiquato...)
I
video deficienti
(perchè son davvero deficienti questi qua):
Fatta questa dovuta premessa, passo alla prossima.
Questa storia è un esperimento, una prova, mi sono detta
"Voglio provare a spaziare oltre i Tokio Hotel" e visto che questi
quattro dementi mi stanno anche più simpatici dei crucchi,
mi sono buttata. Non li conosco bene caratterialmente, quindi ho dato
una mia interpretazione al loro modo di essere. Se ci fosse qualcuno
che li conosce meglio di me e storce il naso, chiedo venia!
E chiedo pardon anche per la banalità delle evoluzioni
future della trama... ancora non sono arrivata alla fase: incastriamo
la vita di uno di loro con un libro di fantasia che mi ha segnato la
vita XD ad ogni modo, spero che vi interesserà. E se
farà schifo ditemelo, perchè tanto ne son
già sicura!
Ah! Altra cosa! I dialoghi tra " e " riportati in corsivo sono in
italiano. Scusate, ma piuttosto che ripetere ogni volta in quale lingua
si parlano i personaggi, sono arrivata a questa squallida e
banalissima conclusione. (ve l'ho detto, è un esperimento
nato male)
Ecco, fine delle ramanzine, adesso si passa ai fatti!!!
1. A
Pregnant
Man
Uscì,
sbattendo involontariamente contro un signore in un cappotto verde
oliva e
cappello del medesimo colore.
“Fai attenzione!”,
sbottò l’uomo, “Dove
guardi quando cammini?”
Dal
tono di voce che quell’uomo aveva usato capì che,
oltre che essere molto incazzato,
sicuramente gli aveva posto una domanda…
Ma
lui era inglese al cento per cento, d’origine purosangue,
stallone di paese
monarchico… e non conosceva la lingua dell’altro.
Non parlava nessuna lingua
tranne l’inglese. Ah!, voulez vous
coucher avec moi era sufficiente per poter dire di conoscere
anche il
francese. Quindi, anche se sicuramente quella era stata una domanda
retorica,
non seppe cosa rispondere.
“Ops…
uhm… mi scusi…”, borbottò
poi, lasciandolo perdere.
Camminò,
coprendosi la gola con una spessa sciarpa nera, senza una meta precisa.
Aveva
solo fame, doveva riempirsi lo stomaco con qualche cosa, qualsiasi
cosa commestibile,
ed era quindi in cerca di
un luogo dove poter fare colazione.
Si
era alzato prestissimo per i suoi solito orari, ma non aveva molto
tempo da
perdere. Gli altri tre erano rimasti in hotel, nelle loro camere, forse
avrebbero dormito fino alle quattro del pomeriggio ma lui, anche se
aveva dei
solchi giganteschi sotto gli occhi, arati alla perfezione dai continui
spostamenti, si era costretto a svegliarsi.
Non
ne aveva mai parlato veramente, ma aveva una certa passione per quel
posto, per
quella città. Per gli altri, era solo una delle tante altre
in cui dovevano
suonare… e ad essere sincero anche per lui. Non era
interessato tanto alla
storia, ai quadri, alle statue o al panorama, ma al fatto che, da
piccolo,
c’era già stato in vacanza e voleva vedere se
tutto era ancora come se lo
ricordava.
Quando
gli avevano chiesto perché voleva anticipare
l’arrivo in quella città ad una
settimana prima il giorno del concerto, costringendo tutta il quartetto
a
piantarsi in quell’hotel, aveva detto: perché
sono famoso e me lo posso permettere! Aveva poi tirato fuori
un sorriso
sornione ed avevano capito che la sua non era una pretesa da star della
musica,
ma solo una richiesta per lui speciale.
E
poi gli altri erano voluti rimanere per forza bloccati per altrettanto
tempo a
Parigi, solo per visitare a fondo il quartiere del Mouline
Rouge, quindi glielo concessero senza troppe storie. Lui,
che non aveva potuto godere a fondo
di quella vacanza francese, aveva chiesto la sua rivincita.
Erano
verso la fine del tour promozionale del loro nuovo quarto album, durato
sei
mesi, che li aveva portati a suonare in quegli ultimi giorni anche in
posti
dove non erano mai stati. Non che avessero l’intenzione, con
quegli shows, di
allargare la loro platea. Più che altro quelle date erano
state fissate, così
come era successo per l’esibizione che ci sarebbe stata di
lì a pochi giorni, grazie
ai fans sparsi qua e là in tutta Europa, che si erano uniti
grazie a petizioni
per internet.
Non
era necessario che si nascondesse molto, lì non era come in
Inghilterra, dove
tutti avevano memorizzato nella loro mente ogni singolo tratto del suo
viso. Potevano
dirsi ancora del tutto sconosciuti. Oltretutto, i loro video non
giravano sulle
loro televisioni nazionali, quindi si sentiva abbastanza tranquillo.
Prese
i Rayban che teneva nella tasca del suo piumino verdognolo e li
indossò, per
paura di spaventare qualche fanciulla autoctona con il suo viso stanco.
Si
passò una mano tra i capelli biondastri spettinati e si
intrufolò in una
mandria di tedeschi, cercando di farsi strada tra di loro.
Voleva
trovare un localino di suo gusto, ma non sapeva dove cercarlo. Ma
soprattutto
non sapeva nemmeno se esistesse veramente qualcosa che lo
soddisfacesse. Voleva
qualcosa di piccolo, di informale, dove una simpatica cameriera
indigena gli
avrebbe potuto servire…
Fish
and Chips!
Sì,
aveva deciso, voleva rovinarsi il fegato con una porzione di fish and
chips di
prima mattina, alle nove. Solo che era scettico sulla
possibilità di trovare un
posto che glieli cucinasse a modo.
In
Italia…
A
Firenze…
All’ombra
del Duomo, si trovò a pensare: ma
dove
cazzo li vado a cercare i fish and chips in Italia?
Si
sentiva come una donna incinta. Doveva mangiarli, altrimenti suo figlio
sarebbe
nato con una voglia di fish and chips sulla faccia. Già lo
impensieriva il
fatto che avrebbe sicuramente ereditato la fastidiosa zeppola che lo
tormentava
da sempre equesto era un ‘handicap’ che includeva
prese per il culo per tutta
la vita.
Afferrò
per un braccio un ragazzo che gli passò vicino.
“Scusami,
parli inglese?”, gli domandò.
Quello
lo guardò.
“Sì.”,
disse, con aria titubante.
“Sai
dove posso mangiare i fish and chips?”, gli chiese.
Questo
si strinse nelle spalle e si allontanò.
Era
ovvio.
Lo
chiese ad altre cinquanta persone, sembrava uno psicopatico, tanto che
dovette
desistere: spesso
aveva trovato un
poliziotto a guardarlo con aria sospetta…
Doveva
ricordarselo: mai farsi venire la voglia
di fish and chips in Italia.
Non
gli interessavano le bontà culinarie che la città
poteva offrirgli perché, come
un bambino viziato, si era fissato con quel piatto tipico inglese. E voleva mangiarlo.
Tornò
sui suoi passi, affranto e incazzato come poche altre volte.
Voleva
mangiare fish and chips!
Camminava
a testa bassa, imbronciato, tornava verso l’hotel. Ripercorse
la stessa strada
che aveva fatto all’infruttuosa andata ma, dopo poco, si
trovò a chiedersi dove
fosse. Si stava trovando in mezzo a bancarelle e turisti con i
portafogli in
mano, certamente da tutt’altra parte della città
rispetto all’ubicazione del
suo hotel…
Ma
cacchio!
Non
era capace nemmeno di ricordarsi le strade! Era il caso di domandare
informazioni,
ma intorno a sé tutti erano turisti come lui…
forse, però, se si aggirava fuori
da quel concentrato di spendaccioni e venditori, avrebbe trovato
qualche
indigeno del luogo…
Sbucato
in un vicolo, vide un’insegna. E nella sua mente
ripiombò il ricordo dei fish
and chips.
“Bingo!”,
esclamò ad alta voce, impaurendo una vecchiettina che, nelle
sue vicinanze,
stava portando fuori il cane a fare i suoi bisogni.
Con
occhi luccicanti, ringraziò il culo sfacciato che nella sua
vita lo aveva
sempre riempito di buone opportunità come quella.
Guardò
l’insegna del locale. ‘Strictly
English’
E
cosa potevano dargli da mangiare in un posto come quello, se non fish
and chips,
pudding e compagnia bella?
Entrò
dentro, rincuorato dal dolce calore emanato dal riscaldamento e si
guardò
intorno. A dispetto di ciò che recitava l’insegna,
quello pareva una tavola
calda americana degli anni cinquanta sessanta. Era stato catapultato in
un Happy Days italo-inglese per
caso?
Poi,
gli venne da pensare ai suoi musi
ispiratori, i Beach Boys: ce li vedeva bene a passare il loro tempo in
un
locale del genere e si mise l’anima dubbiosa in pace.
Non
era molto affollato, ma comunque diverse persone occupavano i tavoli
rettangolari, contornati da poltroncine gialle a forma di cavallo, che
occupavano almeno tre quarti delle pareti del locale. Aretha Franklin
gorgheggiava la sua celeberrima Think
e notò sorridendo una donna sulla quarantina, bionda e molto
giovanile, al di
là del lungo bancone lucido, che stava preparando un
espresso canticchiando le
parole del ritornello. Poi
vide un
ragazzo sbucare dalla finestrella sul muro vicino a lei: si scambiarono
quattro
parole e lei si allontanò, sostituita dopo qualche secondo
da quello stesso
ragazzo… più che un ragazzo era una montagna di
muscoli. Aveva due spalle che
erano almeno il doppio delle proprie…
Era
meglio spostare la sua attenzione altrove, piuttosto che innervosirlo
con il
suo sguardo incuriosito.
Il
menu stava inerte sul tavolo su cu si era seduto e lo prese, mettendosi
a
spulciare la lista. A parte qualche incursione della cucina italiana,
era tutta
roba tipicamente inglese: dal pudding al thè, dai muffins
alla crema di
piselli, ma non si soffermò molto su queste voci. Con occhio
di lince individuò
presto i fish and chips tanto desiderati.
“Pronti per ordinare?”,
gli domandò una
squillante voce italiana.
“Ehm…
inglese?”, le chiese, quasi con ovvietà.
“Oh,
sì, certamente!”, fece la ragazza, dandosi una
pacca sulla fronte, “Allora,
cosa vuoi ordinare?”
Eccolo,
il momento più bello della sua giornata.
“Fish
and chips!”, disse, con orgoglio, “E the alla
pesca.”
La
ragazza lo guardò perplessa, poi si annotò tutto
sul suo taccuino.
“In
prospettiva di ulcera forante, eh?”, ironizzò poi,
stringendo il blocco note al
petto.
“Sai,
in Inghilterra quando nasciamo ci regalano un posto in lista per i
trapianti di
fegato.”, le rispose, sulla stessa scia.
“Tra
dieci minuti sarà tutto pronto!”, rispose lei,
dopo che la sua risata si fu
esaurita.
E
si allontanò, con la sua preziosa ordinazione.
Lanciò
qualche occhiata in giro. Vecchi vinili al muro, fotografie di moto
d’epoca,
una vecchia radio sopra un tavolinetto, colori pastello ovunque. Nel
pieno
degli anni sessanta!
Poi,
l’occhio cadde su un juke box. A vederlo, quello doveva
essere proprio un reperto
di antiquariato, non si sarebbe stupito se dentro ci avesse trovato dei
vecchi
45 giri! Si frugò nelle tasche, in cerca di qualche euro e
lo trovò tra un paio
di sterline e un pence. Si avvicinò alla macchina e si mise
in cerca di una
canzone di suo piacimento.
…
no, non era possibile…
Non ci poteva credere…
E dire che pensava che nei juke box ci potessero
essere solo i dischi di Johnny Cash o di Barry White! Adesso
lì, in mezzo a
tanti altri, c’era proprio Motion
in the
Ocean, il loro terzo album! Wow, anche i McFly erano entrati
a far parte
degli artisti da juke box.
Ora potevano anche ritirarsi, andare in pensione.
Inserì cinquanta centesimi di euro nella
macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette
alcuni
pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little
Joanna’, suonò a basso volume nel
locale.
Sì, da quel momento in poi sarebbe stata proprio
una bella giornata: era in Italia, a Firenze, una città
bellissima. Stava per
mangiare fish and chips, nel juke box c’era un loro cd e
nell’aria ascoltava la
canzone che aveva scritto per la sua ragazza di sempre, Giovanna. Nome
per
altro italiano! Beh, poteva essere più fortunato di
così?
Tornò al suo tavolo e, nel giro di pochi minuti,
gli fu servito il suo the e il suo piatto.
“Grazie!”, disse con entusiasmo alla ragazza che
aveva preso l’ordine e che lo stava servendo in quel momento.
“Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei,
“Mi piacciono molto i McFly!”
Rise sornione.
Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva
davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per
chiedergli un autografo e…
“Piacciono anche
a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei,
sorridendogli.
No…
La sua vita stava lentamente peggiorando.
Lei non lo stava riconoscendo… Forse doveva
togliersi gli occhiali da sole, lei lo avrebbe capito che si stava
trovando
davanti Tom Fletcher, chirattista-pianista-voce dei McFly.
Li prese per l’asta destra e li levò dagli occhi.
“Sai che suoneranno in città? Sicuramente
sarò in
prima fila a cantare a squarciagola.”, disse lei, senza
degnarlo di uno
sguardo.
Altra correzione, la sua vita stava velocemente
peggiorando.
Mica voleva per forza che lei si stendesse ai suoi
piedi implorandolo per una prestazione sessuale fugace
–richiesta che per altro
non avrebbe acconsentito di soddisfare, era un ragazzo deficiente ma
fedele- però…
Insomma! Un po’ d’amor proprio ce l’aveva
anche lui! Poteva capire che in
Italia erano tutto sommato sconosciuti ma questa ragazza si stava
dimostrando
essere una loro fan!
Meglio lasciar perdere, non voleva farsi venire il
malumore e odiava comportarsi da diva.
“Sai che anche io mi chiamo Joanna come la
canzone?”, disse poi la ragazza, annuendo.
“Davvero?”, le fece, lievemente disinteressato,
mentre
mangiava il primo boccone di fish, “Ma tu non sei
italiana?”
“Sì, italianissima.”, disse lei,
annuendo, “A mia
madre piaceva il nome
Giovanna, a mio
padre la versione in inglese… e per fortuna ha vinto
lui!”
“Jo! C’è
un’ordinazione pronta per
te!”, si
sentì chiamare la ragazza.
“Un momento!”,
fece lei, che poi tornò a lui, “Beh, è
stato un piacere conoscerti!”
“Tom.”, le disse, porgendole la mano.
Ma lei niente. Proprio doveva essere cieca come
Mister Magoo per non riconoscerlo.
Pazienza, disse a malincuore.
Poi un pensiero gli stuzzicò la testa… un tipico McFly-pensiero: idiota, stupido, il
solito scherzo da prete. La riprese prima che si voltasse per tornare
al suo
lavoro.
“Questi fish and chips sono fantastici! Non appena
i miei amici si sveglieranno, li porterò a mangiare
qui!”, le disse, con la
bocca impastata tra una patata fritta e un pezzo di pesce.
Era poco elegante parlare con la bocca piena, ma
lui era inglese e queste cose si perdonavano sempre ai britannici come
lui.
“Beh, allora vi aspetto, ci conto!”, disse la
ragazza, sorridendo felice.
Chissà che faccia avrebbe fatto trovandoseli in piena
formazione davanti agli occhi! Che simpatica ragazza, pensò
Tom, concentrandosi
poi sulla sua colazione. Un po’ scema, ma simpatica.
Quei fish and chips erano davvero fenomenali,
sembravano importati direttamente dall’Inghilterra, da quel
locale vicino a
casa sua, appena svoltato l’angolo. Sicuramente, il
proprietario di questo ‘Strictly
English’ era inglese, non
c’era dubbio, solo i suoi connazionali sapevano fare il fish
and chips così
buoni.
Per sua stessa volontà, il piatto finì prima che
lui fosse sazio e ne rimase alquanto deluso. Solo allora si
dedicò al suo the
alla pesca e, dopo il primo sorso, si pentì amaramente di
quella scelta. Ma che
idiota che era stato!
Come si poteva mangiare fish and chips e metterci
dietro il the alla pesca?
Era una scelta tipica di Tom
Fletcher.
E lui chi era?
Tom Fletcher!
Annodò
i capelli biondi su se stessi e li fermò
come sempre con una grossa pinza color lilla.
“E’ pronto il tavolo sette?”, chiese
Joanna,
affacciandosi alla finestrella della cucina, dalla quale passavano le
ordinazioni
ed i piatti pronti.
“Momento!”, disse una voce maschile.
“Andiamo! Sei in ritardo!”, esortò il
ragazzo in
camice bianco, che stava preparando quello che gli era stato richiesto.
“Palle di sorella…”, borbottò
il cosiddetto cuoco.
“E non ti puoi nemmeno liberare di me!”,
esclamò
lei sorridendogli sfacciatamente, con la lingua fuori dalle labbra.
Il ragazzo sbuffò, asciugandosi il lieve sudore con
il polso, preparando un altro sano hamburger con insalata e patate
fritte. Dette
un’occhiata al piatto: era tutto regolare, niente fuori posto.
“Tieni! Sanguisuga!”, disse alla sorella cameriera,
che prese il piatto e lo portò al tavolo. Aveva trenta
secondi liberi, prima di
dover tornare su una nuova ordinazione.
Appoggiò i gomiti sulla soglia di marmo della finestrella
e, a pungi serrati, vi mise la testa sopra, guardando la sua piccola
sorella
prendere un’ordinazione, sorridente.
Lui lavorava lì da tempo ormai, stimava un paio di
anni, forse anche tre. Lei solo da pochi mesi, ma si era adattata bene.
Erano
molto diversi, sia nell’aspetto fisico che nel comportamento:
lui era un tipo
molto sportivo ed atletico; Jo era goffa e impacciata. Lei imparava le
cose al
volo, lui aveva bisogno di pratica. Lui cucinava, lei bruciava le
pentole. Lei
gli rifaceva il letto, lui puliva il bagno. Lui era spesso impulsivo,
lei era
tutto sommato docile. Lui sapeva giocare di squadra, lei era piuttosto
una
giocatrice solitaria.
Vivevano insieme e la convivenza non era per niente
facile, ma piuttosto che starsene ancora dai loro genitori, avrebbero
preferito
vivere sotto un ponte… Entrambi, avevano avuto dei validi
motivi per fare le
valige ed andarsene e nessuno dei due aveva mai criticato
l’altro per questo.
Dal suo canto, aveva lasciato gli studi dopo il
diploma: non era mai stato interessato diventare tanto acculturato, era
un tipo
pratico che voleva dedicarsi semplicemente a tre cose nella sua vita:
lavoro,
sport e amici… E donne, uno dei pilastri portanti della sua
voglia di
indipendenza. Ma era meglio non riflettere molto su questo
argomento…
Si era diplomato in una scuola che suonava come
liceo scientifico, ma non ne era molto sicuro. Forse aveva passato gli
anni
perché fisicamente faceva paura ai professori… E
poi un giorno, mentre
camminava per Firenze, aveva trovato appeso alla porta dello Strictly English il cartello ‘Cercasi cuoco’.
Aveva pensato:
Perché no? La pasta in bianco e la frittata le so fare
abbastanza bene.
Ed era stato assunto. Il cuoco che lo aveva
preceduto gli aveva insegnato i trucchi del mestiere e si era
appassionato. Così,
era riuscito a trovare un lavoro che lo soddisfaceva, che sapeva fare
con cura
e costanza, che lo pagava sommariamente molto bene e che lo liberava
dalle cinque
di sera in poi, quando poteva dedicarsi al…
Un piatto posato poco gentilmente sulla soglia lo
distolse dai suoi pensieri.
“Miki! Due muffins al cioccolato!”,
strombettò
Joanna, sventolandogli un’ordinazione sul naso.
“Palle di sorella…”, le
ripetè, prendendola ed
accartocciandola.
Lui, tra quelle quattro mura e quei sei fornelli,
era il padrone.
Lei, al di fuori della cucina, era la padrona della
sala.
Entrambi, a casa, padroni dell’appartamento. E giù
a prendersi sempre a cornate! Erano fratelli e questo era quello che si
supponeva che i fratelli facessero sempre: litigare. Ma
nessuno di loro si era mai lamentato di
questo, soprattutto perché dopo cinque minuti di male parole
si chiedevano
sempre scusa.
Sì, i fratelli erano fatti per litigare, ma anche
per volersi bene…
E poi avevano i loro bei grattacapi quotidiani per
potersi prendere troppo sul serio quando tornavano a casa!
Più che discussioni
furibonde, i loro erano semplici pretesti per sfogarsi…
Ecco, anche i muffin al cioccolato erano pronti.
Spruzzò sul piatto, per smorzare un po’ lo scuro
del dolce con il bianco
pallido della porcellana, un filo di sciroppo al cioccolato, creando
dei
cerchietti simpatici. Prontamente, non appena appoggiò i due
piatti sul ripiano
di marmo le mani veloci di Jo li presero e li portarono a destinazione.
Altri minti di pausa.
“Arianna, ti dispiace se da oggi in poi anticipo la
fine della giornata un quarto d’ora prima? Domani parto per
la partita…”, le
chiese, trovandola come sempre vicino alla macchinetta del
caffè a mangiarsi le
unghie per la voglia di fumare, “Se faccio sempre tardi agli
allenamenti mi
cacciano dalla squadra… magari inizio prima alla
mattina...”
“Sì, Michele, va bene.”, rispose lei,
frettolosamente.
Arianna era la proprietaria dello Strictly
English.
Era una simpatica donna sulla sua quarantina, un po’ troppo
bionda e forse anche
un po’ troppo giovanile, ma era una brava donna con le palle.
Una che sa che
cosa vuol dire lavorare, pensava Michele, e che era anche capace di far
girare
le scatole ai propri dipendenti.
“Dai, vai
a
fumare, prendo io il tuo posto.”, le disse, sorridendole.
La donna si illuminò a festa. Bastava però molto
poco per farla contenta. Soprattutto, era sufficiente poterle
permettere di
allontanarsi dalla sua solita postazione, dietro al bancone del bar,
per farla
fumare. Malediceva sempre quel ministro della salute che aveva vietato
il fumo
nei luoghi pubblici!
“L’ho sempre saputo che dietro ai tuoi muscoli
c’è
un cuore d’oro!”, gli fece, scomparendo in una
nuvola, appunto, di fumo.
Michele uscì dalla cucina togliendosi il camice
bianco sporco e si mise dietro al bancone a guardare i clienti. Era
febbraio,
il locale era praticamente quasi vuoto, ma comunque lì
dentro sembrava di
essere in tutt’altra nazione. Non era un genio nelle lingue,
ma sapeva che
quella parlata dalle quattro bionde al tavolo cinque erano sicuramente
svedesi.
“Stai sbavando.”, lo riprese Jo, dandogli un
piccolo colpo con i fianchi, “E poi sono tutte lesbiche,
secondo me.”
“Meglio!”, esclamò Miki, strusciandosi
le mani.
“Fratello pervertito.”, borbottò Jo,
“Placati gli
ormoni con questa ordinazione.”
Miki sbuffò, prendendo il foglietto. Lesse e
strabuzzò gli occhi.
“Fish and chips alle nove di mattina?!?”,
esclamò,
“Addirittura con the alla pesca! Ma chi è
l’imbecille che si mangia queste
cose?”
Jo sorrise complice e glielo indicò con un cenno
della testa.
Era un ragazzo con i capelli innaturalmente biondi,
tenuti su a mò di cresta, che se ne stava pacificamente al
suo tavolo, alla
sinistra del locale. Picchiettava le dita sul tavolo e pareva
fischiettare a
tempo di musica.
‘Little Joanna’
dei McFly, un gruppo inglese che piaceva molto a Jo, stava infatti
risuonando
nell’aria calda del locale.
“Per caso ti ha chiesto come ti chiami e, per
provarci, ti ha messo questa canzone sdolcinata?”, le fece,
perplesso.
“Zitto scemo!”, lo riprese Jo,
“L’ha messa prima di
saperlo!”
“Mh…”, fece, rigirandosi il foglietto
tra le mani.
“E non essere sempre geloso del fatto che i McFly abbiano
scritto una canzone per me!”, continuò Joanna,
“Mentre ai Michele come te non
dedicano mai niente!”
“Ma per piacere…”, le rispose, tornando
verso la
cucina, “Stai al bancone, Arianna è fuori a
fumare.”
Lanciò una nuova occhiata al ragazzo, in tralice.
Tipo strano, si disse, con quei capelli alla
candeggina.
Eppure…
Lo fissò intensamente, come se quel gesto potesse
dare una risposta alla domanda che aveva in testa. Lo aveva
già visto prima?
No, si disse, era solo una cazzata.
Era un turista come tutti gli altri.
Eccoci
qua! Fine
del primo capitolo, introduzione dei miei due personaggi, Joanna e il
fratellone Miki, e di Tom Fletcher, il mento del gruppo (più
che la mente).
Ringrazio tutti quelli che leggeranno questa storia, sia quelle che mi
hanno promesso di farlo (so chi siete... XD) sia quelle che saranno
semplicemente attirate da una novità. Credo infatti di
essere la vera prima a pubblicare qua su di loro! E se non lo sono...
piaceroni comunque!
Cosa
importantissima che stavo dimenticando!!! Ecco qualche foto della
Joanna che ho in mente: Joanna1 e Joanna2
Questa ragazza
è realmente esistente, si chiama Joanna Newsom ed
è una musicista. Spero non sia un reato usare la sua faccia
per uno dei miei personaggi! Altrimenti, rimuovo ogni fotografia. La
sua immagine non è usata a scopo di lucro e Joanna Newsom
non mi appartiene.
Il
titolo della storia è ispirato alla loro primissima canzone:
Five colours in her hair... no scopo di lucro!
That
wierdo
with four guys in her hair...
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