01 - La Malfoy Home
Per chi ha commentato
l’ultimo mio parto, “La Check List”, ancora non
finirò mai di ringraziarvi a sufficienza per aver, alla fine,
riso delle mie disgrazie.
A chi si appresta, invece, a cliccare su questo primo capitolo di questa nuova storia, do il mio personale benvenuto nel calli-club
– non capisco perché solo Lumacorno possa avere un club
tutto suo u_u – sperando di poter allietare i vostri
venerdì con altre avventure della mia coppia preferita.
La Dramione.
So che avevo detto che avrei
pubblicato venerdì scorso ma naturalmente, quando ti fai un
programma nella mente, spunta sempre fuori qualcosa che te lo manda
“a sgualdrine”.
Domando scusa.
In questa storia troverete una
trama, forse, già vista – anzi, molto più che
certamente – ma ho voluto dare un’ennesima versione –
la mia – alla precitata trama.
Mi troverete, come sempre, in fondo al capitolo, con i miei soliti scherzetti, le mie solite battute e i miei soliti spoiler.
Spero sia cosa gradita.
callistas
Alla Lilly di questa storia
che è esistita davvero,
che con i suoi modi di fare
mi ha permesso di essere
dove mi trovo ora
e la persona che sono ora.
Non esisteranno altri cagnolini all’infuori di te.
I meteorologi lo avevano
annunciato ancora a inizio Agosto ma lei, così come
l’intera popolazione mondiale, non ci aveva creduto o
meglio… non aveva voluto crederci.
Insomma, era assurda solo
l’ipotesi!: vivere di trenta gradi fino al trentuno di Agosto,
per poi finire a soli tre gradi il primo di Settembre. Insomma…
un vero e proprio brusco calo delle temperature!
Nessuno ci voleva credere,
perché il sole era così luminoso e caldo: come sarebbe
stata possibile una simile parabola discendente del clima?
Incredibile o meno, assurdo o no,
vero o falso, la notte tra il trentuno di Agosto e il primo di
Settembre, la popolazione di Londra – e quella mondiale –
solitamente abituata a dormire in mutande, dovette alzarsi nel cuore
della notte per prendere dall’armadio il piumone invernale.
Era il quattro di Settembre, un giorno come tanti.
Si era lavata, vestita, sfamata e poi era partita per dirigersi sul posto di lavoro.
Le piaceva l’azienda per la quale lavorava.
Era una struttura interamente a
vetri oscurati tendenti all’argento; gli interni erano arredati
da pregiati marmi, fontane dalle quali uscivano delicati fiotti
d’acqua, un immenso acquario che ospitava pesci tropicali,
rinomati per la loro delicatezza – e costo – e piante
così rigogliose da sembrare di trovarsi in una foresta tropicale.
I piani erano serviti da quattro ascensori, uno per ogni punto cardinale, che conducevano ai vari settori dell’azienda.
Era davvero un bel posto.
Chi vi metteva piede la prima
volta aveva l’impressione di trovarsi nella casa di qualche
riccone, anziché in un’azienda di piani cucina e
arredamenti.
La sua postazione era al piano terra, perfettamente allineata alla porta d’ingresso, e semicircolare.
D’estate non c’era
male, perché le arrivava una piacevole brezza tiepida che
profumava di sole e caldo ma d’inverno… d’inverno le
arrivavano dritte in faccia vere e proprie mitragliate di aria
ghiacciata. Per quest’unico motivo, aveva chiesto il permesso di
comprare una stufetta da mettere sotto la scrivania che le tenesse in
caldo le gambe.
Il centralino dava l’impressione di essere il bancone della reception di un hotel.
Le piaceva perché la
scrivania era molto spaziosa e il computer di ultima generazione aveva
uno schermo molto grande, decisamente fuori standard, rispetto ai
modelli in commercio.
Era un computer che il direttore
aveva fatto espressamente creare da una ditta americana e che era
costato una fortuna. In azienda ne esistevano pochi: uno era quello per
il centralino, perché il direttore aveva scelto di non
installare una macchina per il fax ma di far arrivare quel tipo di
comunicazione direttamente sul pc per ridurre i costi della carta e
rispettare maggiormente l’ambiente; un altro di quei
“televisori” era nell’ufficio del titolare, e
l’ultimo in Sala Foto.
Posò le cuffiette sulla
scrivania e controllando che non vi fosse nessuno nei paraggi, si
stiracchiò le membra indolenzite, con tanto di gemito
soddisfatto.
Erano due ore che se ne stava
seduta sulla sedia girevole a rispondere al telefono e a smistare i fax
e le E-Mail che le arrivavano.
Adesso urgeva una pausa.
Schiacciò in sequenza un
paio di pulsanti che le permisero di deviare le chiamate al telefono di
una collega, precedentemente avvisata. In questo modo le chiamate non
andavano perse e le ramanzine evitate.
Prese la sua chiavetta e si
diresse al distributore automatico delle bevande. Una buona cioccolata
calda, in quel momento, era un suo inalienabile diritto.
Era un’ottima dipendente per il lavoro che le era stato assegnato.
Molti ritenevano che stare al
centralino fosse un lavoro da poveracci, per chi non era
sufficientemente intelligente per altre mansioni. Lei però non
la pensava così. In fondo… da chi passavano le chiamate?
Chi le smistava? A chi si rivolgevano i rappresentanti delle altre
società quando avevano bisogno di un’informazione? Di
sicuro non a Babbo Natale ma a lei. Il suo lavoro era molto importante
e, sinceramente, compativa chi lo sottovalutava.
Nonostante avesse le competenze
per ben altri incarichi, aveva capito che in ogni posto presso il quale
aveva iniziato un rapporto di collaborazione – quello era il suo
terzo lavoro – aveva sempre iniziato dalla gavetta; un modo del
titolare per comprendere il livello di umiltà di un dipendente.
Schiacciò il pulsante della
cioccolata e poi poté finalmente scaldarsi: sentire quel liquido
semidenso scenderle nella gola e scaldare ogni parte con cui entrava in
contatto, era qualcosa di assolutamente indescrivibile.
Si accertò di non essere
vista da nessuno, guardando prima a destra e poi a sinistra del
corridoio. Tirò fuori il piede dalla scarpa – una
decolleté tacco sette – e mosse le dita dei piedi,
compresse tra di loro. Trovò un immediato beneficio. Fece lo
stesso per l’altro piede e poi… poi dovette tornare al
lavoro, dove rimise le sue cuffiette.
“Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso aiutarla?”
Tic tac – tic tac – tic tac – tic tac
Le lancette della sveglia segnavano silenziosamente i secondi.
Uno, due, tre, sedici… ventidue… quarantaquattro…
Sessanta.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNN
Hermione ci impiegò un
po’ per capire che il cicalino che stava suonando era la sveglia
e non la campanella della scuola e che si trovava sul suo materasso a
casa e non su un materassino gonfiabile ai Caraibi.
Sconcertata e, sì,
leggermente delusa, per essere stata sbalzata così
all’improvviso alla realtà, la ragazza aprì
svogliatamente un occhio, districò dal groviglio di lenzuola un
braccio e spense la sveglia, beandosi dell’immediato silenzio che
era tornato. Si raggomitolò in posizione fetale, cercando di
racimolare dentro di sé più caldo possibile, in vista
della solita giornata passata davanti alla solita porta che si apriva solitamente ogni cinque minuti.
Sbadigliò sonoramente,
facendo bella mostra di una dentatura sana e curata. Uscì dal
letto e infilò le ciabatte che suo padre le aveva regalato
l’anno prima per il suo compleanno e le veniva da piangere se
pensava che tra non molto avrebbe festeggiato un altro anno passato.
Un altro compleanno.
“Ventotto
anni…” – constatò la ragazza. –
“… sono prossima alla pensione.” –
ironizzò, poiché le mancavano ancora molti, molti, molti,
molti, molti anni.
Scacciò infastidita quei
pensieri che avevano solo il potere di rovinarle la giornata e si
preparò per affrontare al meglio il lavoro. Giusto per abituarsi
a quello che le sarebbe toccato in ufficio, Hermione aprì le
finestre prendendosi la prima mitragliata del giorno.
“Ma perché fa
così freddo d’inverno?” – brontolò,
mentre con le braccia incrociate per riscaldarsi si dirigeva in cucina
per una buona e sana colazione.
Mancò poco che si
schiantasse a terra. Si aggrappò, grazie alla dea bendata, alla
sedia e imprecò a bassa voce.
“Lilly! Vuoi farmi fuori?”
Lilly, una deliziosa cuccioletta
di Yorkshire, si accucciò a terra, udito il tono minaccioso
della padrona che non resistette oltre, e si mise a ridere. A volte
sembrava che la capisse veramente.
“Coraggio… vieni qui…” – disse Hermione, accucciandosi.
Lilly, ancora sospettosa, iniziò ad avvicinarsi a passo di leopardo e ciò fece morir dal ridere la ragazza.
“Che scemotta! Dai vieni!”
E quando il tono non più
bellicoso della sua padrona divenne un ricordo, la cagnetta
zampettò allegramente verso di lei, in attesa della sua razione
mattutina di biscotti. Hermione la prese in braccio e le
accarezzò il pancino, effusione che non sdegnò affatto.
Si diresse alla finestra e l’aprì, permettendo al suo
cucciolo di fare quattro passi e respirare aria nuova.
Intanto che il cane faceva i suoi
bisogni in giardino, Hermione si preparò la colazione e in
attesa che il caffè salisse, tornò in camera e la
sistemò. Chiuse la finestra e andò in bagno per una bella
doccia per iniziare bene la giornata. Indossò
l’accappatoio e andò in cucina, dove il caffè era
bello che pronto e aspettava di unirsi con il latte. Mischiò il
tutto, lasciando che un intenso aroma di caffè-latte si
spandesse per tutta la cucina. Aspettò che si raffreddasse e
intanto tornò in camera per vestirsi.
E poi finalmente fu in grado di mettersi a tavola e consumare il suo pasto.
Lilly intanto le stava scavando una fossa sulla gamba, in cerca di attenzioni ma soprattutto…
“Seee, seee, eccoti il biscotto… scavatrice!”
Accontentata come ogni mattina, Lilly prese il suo biscottino e andò a sgranocchiarselo in cuccia.
Quando ebbe finito, Hermione mise tutto nel lavabo e andò a lavarsi i denti e finalmente uscì di casa.
“Ciao Lillina! Fai la brava!” – esclamò Hermione, chiudendosi dietro la porta.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Hermione. Posso aiutarla? Certo, un secondo solo.” –
attimi di attesa. – “Barbara?, ho Peter Sandler che chiede
di te, posso passartelo?”
“Sì, certo.”
“Ok.” – un tasto e la chiamata venne smistata.
Erano appena le nove e mezzo di
quel mattino e sentiva che niente poteva rovinarle quella giornata di
quel bellissimo giorno che era il venerdì. Nemmeno…
Una folata di vento…
Tutto tranne…
… la porta volutamente lasciata aperta…
… lei.
Guardò l’ora sul suo
computer e alzò per un momento gli occhi al cielo, maledicendo
quelli che lo abitavano per averle dato modo di ricordare quanto lunga potesse essere una giornata di lavoro.
Ma non si scoraggiò.
Indossò il suo miglior sorriso finto e salutò educatamente.
“Buon giorno, signorina
Parkinson. Come sta?” – chiese Hermione, cortese più
per educazione che per reale interesse nel conoscere la risposta alla
sua domanda.
“Meglio di te,
sicuramente.” – rispose la maleducata, per poi passare
oltre senza degnare di uno sguardo quell’umile plebea.
Hermione mantenne il sorriso
finché non la vide sparire all’interno
dell’ascensore, avvolta, o meglio, strizzata, nel suo vestito di
Armani di almeno tre taglie più piccole del normale.
Quando le porte si chiusero e la
sua odiosa faccia da carlino non fu più visibile, Hermione
uscì come un toro dalla sua postazione e andò a sbattere chiudere la porta, imprecando contro la maleducazione di certa gente.
“Cazzo chiude le porte con la telecinesi a casa sua, quella?” – soffiò irosa.
Se c’era una cosa che
proprio non digeriva, era la maleducazione. Ma lasciò cadere
tutto il nervosismo. Ingrossarsi la bile per certa gente non ne valeva
proprio la pena.
Si risedette al proprio posto e inspirò varie volte per calmarsi.
“Malfoy Home buon giorno,
sono Hermione. Posso aiutarla? Sì, attenda un attimo. Becky?,
posso passarti Hilton della Byuliks?”
Mentre camminava sul suo tacco dieci, Pansy pensò che la giornata non poteva iniziare in modo migliore. Quella Grenfer
le stava proprio antipatica! Faceva tanto la santarellina, ma lei aveva
visto perfettamente il sorriso che rivolgeva al suo fidanzato quando
doveva passargli le comunicazioni.
Sembrava dire “prendimi,
sono qui per te”! Peccato che non avesse capito che ciò
che era di Pansy Parkinson, rimaneva a Pansy Parkinson.
“Amore, ciao!” – squittì la donna, entrando in ufficio senza bussare.
L’uomo si girò e le
sorrise furbescamente, ma le intimò il silenzio con la mano. Era
al telefono con un socio in affari.
“… sì,
sì certamente. Allora ci vediamo. Saluti.” –
riagganciò il telefono sulla forcella. – “Buon
giorno, principessa…” – salutò lui, alzandosi
per baciarla.
“Come va?”
“Al solito.” – alias “le azioni continuano a salire, il mio portafoglio anche e anche una parte di me quando ti vede.”
La donna sorrise.
“Mi fa piacere. Sono contenta per te.” – alias “per me, così almeno potrò continuare a spendere i tuoi soldi.”
“Non ti ho trovata a letto, stamattina. Dov’eri?” – s’informò l’uomo.
“Scusami, ma sono dovuta uscire presto stamattina perché mia sorella voleva vedermi con urgenza.”
“Qualcosa di grave?” – s’informò lui. – “Posso fare qualcosa?”
La donna abbassò lo sguardo, facendosi immediatamente seria.
“Pansy?”
“No, niente…” – disse lei con aria sconsolata.
Allora lui le prese il mento tra le mani e la obbligò a guardarlo in faccia.
“Pansy?” – insistette lui.
Ma lei non lo lasciò fare.
“Amore, ti prego… me la gestisco io questa cosa. Hai altro a cui pensare.”
“Pansy tra poco ci sposeremo. Se non mi fai partecipe dei tuoi problemi, come posso aiutarti?”
Pansy lo guardò e sorrise grata per quelle parole.
“Io… è che non ne voglio approfittare. Tutto qui.” – disse lei con falsa premura.
E se invece di guardarla con la
“testa penzolante” l’avesse guardata con quella
attaccata sulla testa se ne sarebbe accorto pure lui.
“Tranquilla… è per la boutique?”
“S-sì…”
“Che problemi ci sono?”
“Io… io davvero non
lo so!” – esclamò Pansy, frustrata. –
“Mia sorella ha fatto tutto, ha portato la documentazione
necessaria, ha fornito le credenziali dei nostri genitori e le tue,
visto che mi avevi dato il permesso…”
A quelle parole, l’uomo si
sentì potente. Amava quando le persone chiedevano il suo
consenso prima di fare qualsiasi cosa.
“Ma?”
“Ma quello
dell’agenzia ha detto che se non gli pagava un extra, non le
permetterà di aprire la boutique! E mia sorella ci tiene
così tanto…”
“Chiamiamo la polizia e…”
“Draco no!” –
esclamò Pansy terrorizzata. – “No! Sai meglio di me
come vanno queste cose: se si sparge in giro la voce che mia sorella ha
avuto a che fare con la legge, non riuscirà mai far acquisire
prestigio al suo negozio.” – lo implorò lei.
“Sì, certo, capisco. Allora, quanto vuole questo tizio?”
“Ecco lo sapevo! Vuoi sempre risolvermeli tu i problemi!” – s’impuntò lei.
“Se posso, ne sarò ben lieto, però…” – disse lui quasi infastidito.
“Co-cosa?”
“Sai che c’è il
pegno da pagare…” – e detto in quel modo,
c’era un unico significato possibile.
Pansy lo capì
immediatamente e non si tirò di certo indietro. Accettò
con patriottico sacrificio quel compromesso.
“Chiedimi tutto
quello che vuoi…” – soffiò lei, prima di
appropriarsi della sua bocca, come per rimarcarne la proprietà.
Calli-corner:
A dire il vero, dovevo fermarmi
come Prologo a “Malfoy Home buongiorno sono Hermione. Posso
aiutarla?”, ma il mio fin troppo generoso cu…ore mi ha chiesto di non fare la stronza.
Non dal primo capitolo, almeno…
Allora, i personaggi principali sono questi, salvo poi apparirne altri durante lo svolgimento.
Hermione lavora per Malfoy come
segretaria d’azienda, Pansy è la fidanzata –
stronza-barra-troia-barra-bastarda – di Draco e Draco…
beh, si sa che un uomo solitamente ragiona con un’altra testa e
Hermione questo lo capirà molto presto.
Al solito… spoiler!
“Mi hanno molto colpito le sue esperienze professionali in ambito amministrativo.”
“Lieta.” – rispose Hermione, pacatamente.
“Sarebbe un vero
peccato se non potesse dar loro un’opportunità per venire
a galla. Così come sarebbe un vero peccato dover finire a
lavorare in magazzino, non trova?”
Ed ecco, un piccolo assaggio di Draco.
Che dire… a venerdì prossimo!
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