Cap2
Dolce Flirt ~
Shadows
Capitolo Due.
Nuovo mondo.
Mi resi presto conto di non essere il tipo di persona che la notte esce
a divertirsi. Vagai per le solite vie arrivando nei pressi del Liceo.
Mi resi conto allora di quanto la mia fuga fosse stupida e di quanto io
fossi triste a pensare di scappare dai miei soliti schemi
comportamentali. Avevo fatto senza pensarci la strada che percorrevo
ogni giorno. Passo per passo, sempre la stessa. Come potevo credere di
poter essere una persona diversa, anche solo per una notte?
Mi diressi verso l'ingresso. Ormai, che differenza faceva entrare o
meno? La scuola era chiusa ma, chissà, restare forse nel suo
cortile mi avrebbe forse aiutato a riflettere su ciò che avrei
dovuto fare una volta tornato a casa. E quale posto migliore del Dolce
Amoris che tanto mi rappresenta?
Non avevo mai visto il cortile così buio. I lampioni
illuminavano la strada ma solo pochi raggi di luce andavano a
rischiarare ciò che stava dentro le mura del liceo. Mi
sembrò tutto così suggestivo, così misterioso. Una
faccia della scuola che non avevo mai visto né preso in
considerazione. Mi avvicinai sempre più al portone
dell'ingresso. I vetri davano una perfetta visione del corridoio
principale completamente buio. Sembrava una galleria infinita in cui
sembrava così facile perdersi. Mi fermai arrestando i miei
passi. I sassolini della ghiaia sotto ai miei piedi smisero di
scricchiolare. E solo allora, quando mi ritrovai nel bel mezzo del
cortile, mi accorsi che qualcun altro stava camminando in silenzio. Mi
girai più volte senza però vedere nessuno. Chi mai stava
arrivando?
Una mano mi tappò la bocca e due braccia muscolose mi cinsero
una spalla e il ventre. Venni trascinato velocemente oltre la famosa
panchina. Nonostante l'agitazione ed una paura senza pari riuscii a
vedere chiaramente le bruciature sul legno. Erano addirittura
più di prima. Stupido Castiel!,
pensai. La mia mente andò a lui, realizzando che il voler essere
come il rosso mi aveva trascinato in quest'orribile situazione. Il
cuore mi saltava nel petto e ogni mio movimento per tentare di
liberarmi sembrava vano. Le mie dita si aggrappavano alle braccia del
mio aggressore e cercavano di liberarmi senza riuscirci. Volevo gridare
aiuto ma la mia bocca tappata non faceva che emettere mugolii soffocati
che non avrebbero attirato nessuno che non fosse abbastanza vicino da
sentirmi e, a quel punto, anche vedermi. Tutto ciò che stavo
facendo mi sembrava così inutile ma l'idea di venir rapito o
peggio senza ch'io avessi fatto nulla per difendermi mi sembrava ancora
peggiore. I miei piedi continuavano a muoversi. Indietreggiavo pur
senza volerlo per paura di cadere. Se fossi finito in una posizione
ancor più svantaggiosa sarebbe stata la fine. Tutto ciò
che dovevo fare era resistere più che potevo. La mia intenzione
era quella, fino a che non mi ritrovai davvero per terra. Successe
tutto in un secondo. La gamba del mio rapitore insinuò in mezzo
alle mie e, avvinghiandosi stranamente alla mia destra, riuscì a
farmi perdere il contatto con il terreno. Fu poi facile per lui far
pressione sulle mie spalle e ribaltarmi all'indietro. Mi ritrovai con
la schiena a terra dopo un urto tutto sommato attutito dalle braccia
dell'altro che subito mi sovrastò. Oddio, che diamine vuole fare?! Nella
mia mente si affollarono immagini di telefilm polizieschi che avevo
visto negli ultimi mesi e tutte riguardavano giovani donne stuprate e
poi uccise barbaramente. Anch'io sarei diventato una di quelle vittime?
L'idea di pensare a me come ad una ragazza in difficoltà fu
tremendamente umiliante ma nulla poteva superare le lacrime che stavano
inondando i miei occhi. Strinsi le palpebre per trattenere le lacrime
che sentivo scorrere sulle ciglia. Una sola riuscì a scappare,
percorrendo parte della guancia e poi giù, verso il terreno,
passando di poco sotto all'orecchio.
«Fa silenzio,
dannazione!» fu un sussurro. Riconobbi al volo la voce di Castiel
e, riaprendo gli occhi, constatai che effettivamente il ragazzo disteso
sopra di me si trattava proprio di lui. Il respiro affannato
cominciò a calmarsi e lo stesso fece il mio cuore, rassicurato
dall'idea che nessuno stava cercando di violentarmi. Ma che stava
succedendo? Ancora non riuscivo a capire. Cercai di alzarmi facendo
leva sui gomiti ma la grande mano di Castiel s'abbatté sulla mia
fronte, ricacciando la mia testa contro il terreno freddo e spoglio del
cortile.
«Vieni fuori! So che sei qui!». Una voce che non riconobbi cominciò ad urlare non lontano da noi quelle due frasi. «Non
ti farò del male!». Castiel mi fece segno di tacere.
Sembrava così calmo ma il mio volto, così vicino al suo,
percepiva il respiro irregolare. Quell'uomo che dalla voce sembrava
più maturo di noi stava cercando proprio lui. Ma perché? E, soprattutto, come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?
Restammo immobili per chissà quanto tempo. Io a braccia aperte a
pieno contatto con il terreno. Lo sguardo rivolto al cielo nella
speranza di trovare una risposta a tutto ciò che la mia mente
pretendeva di sapere. Castiel, accucciato sopra di me, a guardare la
figura maschile non ben definita che andava in giro per il cortile alla
sua ricerca. Se prima volevo essere una persona diversa da me stesso,
ora mi mancava molto la mia routine. A quell'ora sarei stato certamente
a letto a leggermi un libro, fresco della doccia che ogni sera facevo
dopo cena. Il mio rituale rilassante era ciò che preferivo della
giornata, quando mi fissavo sugli avvenimenti passati durante le ore
precedenti e ripensavo a ciò che avrei dovuto fare il giorno
dopo. La solitudine della mia stanza, sotto sotto, mi mancava
parecchio. Certo, era preferibile ai capelli e i vestiti pieni di
terra, al sudore della giornata ancora attaccato alla pelle, sotto alla
camicia e alla cravatta che erano il mio simbolo. Perso
nell'immensità di un cielo che non aveva confini se non gli
alberi sopra la mia testa e il limitato cono ottico della mia visuale
che non riusciva a contenere tutto l'infinito della visione che la
notte mi stava donando.
«Se n'è andato».
Quanto tempo aveva passato attaccato a me? Quando si staccò
sentii improvvisamente il freddo pungente della sera ormai scesa. Si
mise velocemente in piedi, scrollandosi di dosso della terra che
probabilmente non aveva, dal momento che mi aveva usato come tappetino.
E da quel momento mi sembrò di sparire di nuovo dalla sua vista.
Allora perché mi aveva portato lì con lui? Cos'aveva
pensato che stessi facendo o che avrei potuto fare? Non ebbi mai quella
risposta.
Senza degnarmi di uno sguardo mi voltò le spalle e fece per
andarsene con le mani in tasca quando lo richiamai. La prima volta si
fermò solamente; solo dopo la terza mi mostrò di nuovo il
suo viso, questa volta con un'espressione più accigliata in
volto.
«Chi era quello? » gli chiesi. «Non sono affari tuoi» rispose.
Certo, non mi aveva detto niente ma il solo fatto che mi avesse detto
qualcosa mi aveva aperto una parte di Castiel. Perché si
comportava a quel modo? Perché continuava ad esercitare questo
strano fascino su di me, nonostante tutto ciò che mi aveva
fatto? Guardai la sua schiena allontanarsi con una cadenza regolare.
Tanti pensieri affollarono la mia testa ma erano troppo confusi per
essere messi a fuoco, soprattutto dal momento che ero appena uscito da
una vera e propria aggressione in piena notte. Cercai di rimettermi in
piedi e nel farlo appoggiai il palmo della mano su un piccolo
cilindretto che sembrava di carta. Deboluccio, visto che sotto il mio
peso si era schiacciato. Lo portai con me, seguendo Castiel. Avevo
bisogno di una fonte di luce per capire che cosa fosse e immerso
nell'oscurità com'ero non capivo certo che cosa fosse.
Controllai le tasche constatando che quelle poche cose che avevo con me
si trovavano ancora dove le avevo lasciate. Ergo, il cilindretto non
era mio. Sembrava fatto di tanti pezzi di carta. Al tatto si muovevano
come un piccolo ventaglio e solo allora cominciai a realizzare cosa
fosse. Ne ebbi la conferma quando, al centro del cortile, trovai
Castiel con una mano tesa. Non mi ero accorto che si fosse fermato
proprio lì.
«È mio»
disse. Fu allora che misi a fuoco il rotolino di banconote che avevo in
mano. Il colore uniforme mi fece intendere che tra le mani avevo almeno
cinquemila euro. Ed erano di Castiel.
Continuai a spostare lo sguardo dal denaro al ragazzo che, ansioso, smaniava per riaverlo. «Allora?!»
fece, irritato. Aggrottai le sopracciglia alla sua richiesta.
Ovviamente i soldi erano i suoi. O, a ben pensarci, dell'uomo che
l'aveva seguito. Miei non erano di sicuro ma la consapevolezza che
fossero nelle mie mani mi suggeriva l'idea folle di tenermeli.
«Perché dovrei?
Chi mi dice che siano tuoi?». Vidi il suo sguardo arroventarsi e
i suoi occhi assottigliarsi per scagliarmi sguardi minacciosi.
«Segretario» disse minaccioso cercando di incutermi timore
o cercando di sottomettermi com'era sempre riuscito a fare. Ma questa
volta c'era in ballo qualcosa di un pochino più grande.
Leggermente più grande, come ad esempio un crimine.
«Dove li hai presi?» dissi, calmo, alzando la mazzetta
arrotolata a fianco della testa. La mano di Castiel, tesa in avanti, si
strinse a pugno tornando a fianco di tutto il corpo.
«Non sono affari tuoi» ripeté, convinto. Allora
abbassai il rotolino di contanti andando a nasconderlo alla sua vista,
dietro al mio corpo per infilarmelo nella tasca posteriore dei
pantaloni.
«Vuol dire che cercherò l'uomo di prima per chiedergli la
sua versione dei fatti». Il volto del rosso, alla luce dei
lampioni, sembrò sbiancarsi. A quanto pareva, doveva aver paura
dell'uomo entrato nel cortile.
«Non osare, Nathaniel!» alzò il tono di voce
scandendo con rabbia le sillabe del mio nome. Fu un colpo. Non lo avevo
mai sentito pronunciare il mio nome.
«Li hai rubati?» gli chiesi in tutta serietà. Lui
sbuffò stizzito, come se gli avessi chiesto se fosse innamorato
di mia sorella.
«Certo che no» rispose secco. Questo era tutto ciò
che mi bastava. A malincuore tirai fuori i soldi dalla tasca e, ancor
prima che lui capisse le mie intenzioni, glieli avevo già
lanciati. Li prese al volo con entrambe le mani. Impagabile fu
l'espressione sul suo volto; come se avesse visto un evento
inspiegabile: non si aspettava certo che glieli avrei restituiti tanto
facilmente. Certo, l'idea di tenermeli mi aveva tentato ma non erano
miei e quei soldi, rubati o no, nelle mie mani avrebbero potuto
insospettire qualcuno e rendermi un criminale di chissà quale
leva per altri.
Imbarazzato e, anche se non l'avrebbe mai ammesso, grato per il gesto
che avevo appena compiuto, Castiel balbettò un Grazie non molto
convinto. Si mise subito i soldi in tasca, al sicuro e per pochi
istanti si fermò prima di andarsene definitivamente. Lo guardai
fissarmi stranito mentre mi grattavo la testa indeciso sul da farsi per
quella sera. Cominciò a calcarsi nella testa l'idea di
tornarmene a casa, stanco delle emozioni fin troppo intense vissute
nemmeno in un'ora di fuga.
«Che ci fai
qui?» mi chiese ad un tratto. Il tono di voce insolitamente
tranquillo e pacato che mai avevo sentito quando si rivolgeva a me. Mi
stava trattando come una persona -a suo dire- normale? E che avrei dovuto dirgli? Alzai le spalle lasciandogli intendere che il motivo non era niente di che.
«Sono scappato di casa» dissi poco convinto della cosa. «Per stanotte»
specificai vedendo i suoi occhi sbarrarsi come se avessi detto
chissà quale bestemmia. Era così strano per lui e, in
effetti, anche per me credere ch'io avessi fatto qualcosa dagli schemi.
Dai miei schemi.
Lo sentii uscirsene con una piccola risata. Il volto rilassato e
l'espressione del cattivo ragazzo completamente distrutta. Sembrava
divertirsi davvero per ciò che avevo detto o, chissà,
magari per via dei suoi pensieri. Alzò una mano e con due dita
mi fece segno di avvicinarsi. Mentre tutto il suo essere si ricomponeva
dalla risata incontrollata che lo aveva attraversato cominciò ad
avviarsi verso la strada.
«Se non hai un posto dove tornare vieni con me. Per stanotte».
Lo seguii in silenzio verso le vie della città. Il suo passo
veloce e l'andatura sicura mi lasciarono intendere che il posto in cui
mi stava portando gli era molto familiare. Probabilmente casa sua. Ma,
leggendo i dossier, mi era capitato d'imbattermi nell'indirizzo del suo
appartamento e ricordai che si trovasse non molto lontano dalla scuola,
quindi non poteva certo trattarsi di quello: ormai ci eravamo
allontanati troppo e le vie che stavamo percorrendo stavano lentamente
diventando sempre più strette e meno illuminate. Cominciai a
preoccuparmi quando un uomo dall'aspetto poco affidabile e con una
giacca logora lo salutò e Castiel ricambiò con un cenno
della testa.
Ci fermammo davanti ad un locale che non avevo mai visto prima. La
strada poco affollata non era certo una garanzia ma chiunque passasse
di lì si fermava per entrare in quel posto. Lo scrutai da cima a
fondo cercando di farmi un'idea del posto. I mattoncini visibili gli
conferivano un'aria rustica, con l'edera che cresceva sul lato destro e
parte della facciata. Entrammo e potei constatare che il pub in cui ci
trovavamo aveva un'atmosfera molto irlandese. La birra scorreva a fiumi
dal lungo balcone di legno nero ai tavoli sparsi per tutto il locale.
Una cameriera agitò le braccia in aria salutando animatamente
Castiel. Lui si limitò ad alzare una mano ed abbozzare un
sorriso. Poi si rivolse al barista intento ad asciugare dei bicchieri
di vetro e a riporli su un vasto ripiano alle sue spalle.
«Oggi siamo in due» disse. Quello sorrise e gli fece cenno
di andare verso la sua destra. Castiel disegnò un semicerchio in
aria con la mano e si diresse verso una porta dall'altra parte della
stanza, ormai esperto. Doveva essere un cliente abituale. Bussò
due volte.
«Sono io». La porta gli venne subito aperta da un uomo
sulla trentina dalla pelle bruciata dal sole e due grandi occhiali da
sole. Castiel trafficò con la tasca in cui aveva messo il denaro
e ne estrasse qualche banconota.
«C'è uno nuovo» disse con un tono più basso,
forse sperando di non farsi sentire da me. L'altro uomo mi
squadrò da capo a piedi più volte poi guardò
Castiel che ancora teneva alzate tra indice e medio i soldi. Questi
annuì e li prese facendogli un cenno d'assenso. Poteva entrare e
io con lui. Notando il mio sguardo confuso mi rivolse uno dei suoi
sorrisetti con cui spesso prende in giro la nuova arrivata.
«Dai. Stanotte offro io».
Scendemmo una rampa di scale e, verso la metà, cominciò a
sentirsi un flebile rumore di musica molto ritmata ed elettronica.
Avvicinandoci ad una grande porta di metallo che sembrava parecchio
spessa e robusta la musica continuava a crescere diventando sempre
più fastidiosa e pressante. Quando Castiel aprì la porta
fu addirittura peggio. Venni investito da due note ripetute alla nausea
e da luci stroboscopiche che inizialmente mi accecarono. Fu quasi uno
shock entrare in qualcosa del genere.
Davanti a me si aprì una distesa di tavolini placcati di finto
legno e di divanetti in velluto rosso. Un ambiente raffinato, per
l'arredo. Sì, si sarebbe anche potuto dire un locale carino se
non fosse stato per i pali sparsi un po' ovunque e delle donne che ci
ballavano appiccicate. Uno strip club?!
Una donna in abiti piuttosto succinti ci raggiunse. Aveva un trucco c e
molto pesante. La sua enorme scollatura ci venne incontro ma si
fermò dal rosso e, dandogli un bacio sulla guancia, gli diede il
bentornato per poi andarsene a servire dei drink che per qualche strano
motivo non avevo messo subito a fuoco.
Sentii una mano sulla spalla e, girandomi, vidi Castiel che mi sorrideva soddisfatto.
«Benvenuto nel mio mondo» mi disse.
Già. Questo posto non mi apparteneva. Era il mondo di Castiel
che, per una sera, aveva aperto i battenti anche al sottoscritto.
Quello sarebbe stato, per una notte, un Nuovo Mondo.
Sapete, l'ultima parte
mi ha fatto un po' pensare ad una storia ormai cancellata di Euphoria.
Chissà, forse è arrivato il momento di vedere
com'è dall'altra parte di un bordello -anche se il mio,
tecnicamente, non lo è.
Questa, come già sapete, è la seconda parte di quello che
era il primo capitolo. Spero che così vi sia stato davvero molto
meno faticoso arrivare alla fine.
Mi dispiaceva cancellare la parte su Euphoria quindi quella l'ho lasciata ma spostandola da questa parte per ovvi motivi.
Con il terzo capitolo spero di fare meno danni!
Volemosebbene!
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