Galetto fu il fumetto...
I
personaggi di questa storia non mi appartengono, ma sono stati creati
da Mia Ikumi e Reiko Yoshida. La storia è stata scritta senza
nessuno scopo di lucro.
Dopo una bella sosta, in cui mi sono dedicata a battaglie, mostri e
vampiri, ho ritrovato l'ispirazione per questa fantastica coppia! :)
L'idea è nata da una cosa che mi è capitata, in cui
c'entrava un fumetto, per l'appunto. Non è stato galeotto, ma
ancora oggi ci ripenso con un sorriso. Ho pensato di poterla adattare
al carattere di Ryan e Strawberry e così...
è nata questa shot!
Spero vi piaccia, buona lettura!
P.S.: Ho trovato alcune difficoltà ad ingranare la marcia, spero di non esser andata OOC.
Galeotto fu il fumetto...
Se ne stava tutta ingobbita sulla sabbia, chiedendosi per
l’ennesima volta perché avesse accettato di andare in
vacanza coi propri genitori.
Da quando era
successo quel fatto si era sempre sentita a disagio tra gli altri e
mostrare la propria pelle nuda non la entusiasmava più di tanto.
Ricordava perfettamente le reazioni delle persone.
L’unico lato positivo era che la località in cui si
trovavano era molto bella. Okinawa era una delle mete balneari
preferite dai giapponesi e Strawberry non faticava ad immaginare il
perché: spiagge di fine sabbia bianca e mare cristallino.
Sospirando
lanciò un’occhiata ad un gruppo di ragazzi intenti a
giocare a ping pong su un tavolino assolutamente improvvisato. Rise
notando la reazione di uno dei giocatori e poi tornò a guardare
il mare.
Avrebbe tanto voluto fare il bagno, ma c’erano onde troppo alte per lei.
“Se solo mamma e papà non fossero impegnati in una delle loro stupide riunioni.”, pensò abbattuta.
Le avrebbe fatto piacere passare del tempo con loro ma, a quanto pareva, non poteva avere nemmeno quello.
Stanca
di starsene seduta senza far nulla, si alzò e decise di
incamminarsi lungo il bagnasciuga. Le avrebbe sicuramente fatto bene
allenare i muscoli delle gambe.
Fece scivolare
il cellulare ed il portafogli nelle tasche degli shorts e poi
controllò che la fasciatura fosse ancora ben salda.
-Perfetta.- mormorò prima di avviarsi.
Si
allontanò di qualche centinaio di metri dall’ombrellone,
ma bastò per farla rimanere l’unica persona su quel tratto
di spiaggia. Si era inoltrata tra gli scogli ed era sbucata in una
piccola baia. Si guardò intorno, perplessa e si chiese se
sarebbe stata in grado di tornare indietro.
Fece per
ritornare sui propri passi quando, con la coda dell’occhio, colse
un movimento. Voltò la testa di scatto ed individuò
un’onda bella grande.
Sulla
sua cresta stava volando un ragazzo dai capelli biondi. Indossava una
muta che gli arrivava poco sopra il ginocchio e lasciava scoperte anche
le braccia.
Non sembrava
avere sangue nipponico, ma non fu quello ad attirare l’attenzione
della rossa. Lo sconosciuto si muoveva con grande fluidità,
sfruttando i muscoli delle proprie gambe ed i movimenti di bacino per
guidare la tavola.
Le sue
dita accarezzarono il ventre dell’onda quando vi scivolò
all’interno e le parve di vederlo sorridere, inebriato dalle
sensazioni che gli dava l’aria salmastra sulla pelle.
Improvvisamente
perse aderenza e sparì tra la schiuma, mentre la tavola da surf
schizzava verso l’alto come un proiettile.
-Oh Kami!- esclamò Strawberry, spaventata.
Senza pensarci
due volte si avviò il più velocemente possibile verso
riva, cercando d’individuare il giovane surfista per capire se
stesse bene.
Lui
sbucò poco dopo, tossicchiando e scuotendo la testa. Si
guardò intorno, confuso e poi controllò di avere ancora
la tavola assicurata alla cavigliera.
Sollevato,
mosse un passo verso il bagnasciuga, ma barcollò pericolosamente
in avanti, dando modo alla ragazza di notare la brutta ferita che aveva
alla tempia.
-Ehi, ti sei
ferito!- lo raggiunse sciaguattando e lo afferrò per un braccio,
preoccupata. Il sangue gli colava lungo il viso, perdendosi tra le
increspature dell’acqua.
-Non è niente.- le disse, cercando di liberarsi.
Lei scosse la
testa. –No, devi curarla.- insistette, riuscendo a fargli
guadagnare la terra ferma. Tentò di farlo sedere per poter
controllare la gravità del taglio, ma lui non glielo permise.
–Insomma, fammi vedere!- sbottò.
-Non ce
n’è bisogno: le ferite alla testa sanguinano molto. Ma non
è grave.- replicò con tono indisponente.
-Be’,
scusa se volevo rendermi utile!- si mise le mani sui fianchi, piccata.
Ma chi si credeva di essere?! Lei si stava semplicemente preoccupando
che potesse avere una commozione, non voleva flirtare!
Il biondo le scoccò un’occhiataccia. –Nessuno te l’ha chiesto.
-D’accordo!
Allora arrangiati e sistema da solo questa ferita che…- la voce
le morì in gola. Si ritrovò ad osservarsi le dita,
sporche di sangue. Doveva aver toccato la ferita senza rendersene
conto. -… quanto sangue…!
La vide
impallidire di colpo e temette stesse per svenire. Allungò una
mano per afferrarla nel momento esatto in cui le si rovesciarono gli
occhi. Sostenne il suo peso e la fece adagiare sulla sabbia.
-Fortuna che
dovevi aiutarmi con la ferita.- commentò, ironico. Le mise due
dita sulla giugulare per controllare il battito e poi recuperò
un po’ di acqua salmastra per farla riprendere. La tenne nella
mano a coppa e, dopo essersi preso un attimo per osservare quelle buffe
codine rosse, gliela versò sul viso. –Svegliati.
Strawberry riaprì gli occhi con un singulto e poi balzò a sedere. –Cos’è successo?!
-Sei svenuta, cara la mia crocerossina.- le fece notare.
Lei lo
squadrò da capo a piedi e poi assottigliò gli occhi.
–Vedo che stai bene: devi avere la testa dura. Spero ti venga un
bel bernoccolo, buona giornata!- si alzò rapidamente e prese a
marciare verso l’uscita della baia.
Camminò il più velocemente possibile, arrabbiata per
com’era stata trattata. Non si capacitava
dell’ingratitudine di quello stupido, spocchioso, saccente
ragazzo dai meravigliosi e penetranti occhi azzurri.
***
-Sono in ritardo!!- esclamò, precipitandosi giù per le scale.
Rischiò d’inciampare
negli ultimi gradini. -Strawberry, fai attenzione!- la
rimproverò sua madre, comparendo dalla cucina.
–Perché non riesci mai a svegliarti in orario?-
sospirò subito dopo.
La figlia non rispose ed
uscì di casa dopo aver infilato le scarpe. Per quel giorno
avrebbe saltato la colazione, cosa che succedeva abbastanza spesso
durante il periodo scolastico.
Si avviò di corsa,
nel tentativo di recuperare il tempo perso nel mondo dei sogni. Come
quasi tutte le mattine arrivò in aula col fiatone, ma
nell’esatto istante in cui suonò la campanella.
Sospirando grata per essere riuscita a scamparla anche quella volta, Strawberry prese posto al proprio banco.
Era passata solamente una settimana dalla ripresa delle lezioni e già non ne poteva più.
-Strawberry, ehi!- si sentì chiamare.
Si voltò ed incontrò
i sorrisi di Mimi e Megan, le sue fidate compagne. –Ciao
ragazze.- salutò, agitando velocemente la mano.
-Anche oggi in ritardo, eh? Ma come ci riesci?- le chiese la bionda, ridacchiando.
-Sono un caso patologico.- disse a sua discolpa, facendole ridere di gusto.
Megan lanciò
un’occhiata alla porta scorrevole ed intravide la sagoma del
professore di storia. –Sta arrivando il prof. Oh, a proposito,
devi finire di raccontarci la storia del surfista! Ieri siamo state
interrotte.- le fece notare.
L’amica fece appena in tempo a dire sì che il rappresentante invitò tutti ad alzarsi e fare l’inchino.
Riprendendo posto sulla sedia, la
rossa avvertì uno strano fastidio alla caviglia. Si portò
la mano alla fasciatura, sperando non fosse nulla di grave.
Si era stirata il tendine
d’Achille prima della pausa estiva, durante l’ora di
ginnastica. Per fortuna non doveva essere operata, ma il medico le
aveva detto di prestare comunque attenzione e di non sforzarlo.
“Solo io potevo farmi male in modo così stupido.”, si disse, seguendo distrattamente la spiegazione.
Le uniche a non ridere
dell’accaduto erano state le sue amiche, mentre la classe si era
rotolata a terra, le lacrime agli occhi. Si era arrabbiata, ovviamente
e si era fatta accompagnare in infermeria.
Fortunatamente l’episodio era stato dimenticato in fretta e nessuno ormai la prendeva in giro.
Tornò a concentrarsi sulla
lavagna quando intercettò un’occhiataccia del professore e
smise di rimuginare su cose passate.
-E così me ne sono andata,
dopo avergli detto che era un cafone.- terminò il suo racconto e
staccò un pezzetto della barretta al cioccolato che aveva in
mano.
Appena suonata la ricreazione, Mimi
e Megan l’avevano trascinata fuori dall’aula, vicino alle
finestre del corridoio.
Spirava un leggero venticello ed era piacevole lasciarlo giocare coi capelli.
-Scusami… quindi questo ragazzo non ti ha neanche ringraziata?- chiese Mimi, perplessa.
Lei scosse con forza il capo,
sentendo la rabbia tornare al solo pensiero. –No, anzi! Mi ha
detto che non aveva bisogno d’aiuto e mi ha offesa quando sono
svenuta!- replicò, stringendo la mano a pugno con fervore.
-Per colpa del sangue, giusto?- chiese conferma la bionda.
-Esattamente.- confermò. –Sapete che non lo sopporto.- aggiunse rabbrividendo.
-Be’, ma che faccia
aveva…?- le chiese Megan. Era stata abbastanza vaga su
quell’aspetto e loro erano curiose.
Strawberry finse di spremersi le
meningi, ma in verità ricordava perfettamente come fosse quel
maleducato. Fece per rispondere quando l’occhio le cadde sul
giardino interno della scuola e lo vide. –E’ lui!-
esclamò, indicandolo.
-Dove?!- si precipitarono entrambe alle finestra.
La rossa puntò il dito nella sua direzione, agitata come non mai. Perché era nel cortile della sua scuola?
Mimi spalancò gli occhi. –E’ lui il ragazzo di cui ci hai parlato? Oh Kami!- esclamò, eccitata.
-Perché sei così su
di giri?- le domandò, perplessa. D’accordo, era un bel
ragazzo, ma era anche estremamente maleducato. Non capiva perché
dovesse agitarsi a quel modo.
-E’ uno studente del primo
anno. La sua media è la più alta del liceo!- le
spiegò, incredula di fronte alla sua ignoranza.
Sia Strawberry che Megan la
fissarono con tanto d’occhi. –Sarebbe il tanto decantato
Shirogane?- la bionda fu la prima a riprendersi e tornò a
guardare di sotto. –Caspita!
-Esattamente. Mi stupisce che non ne foste al corrente.
-Be’, a quanto dicono sta
spesso sulle sue.- commentò la rossa, osservandolo. Anche in
quel momento, infatti, se ne stava seduto a leggere, in completa
solitudine. Le faceva strano pensare di aver incontrato un suo compagno
di scuola (anche se di due anni più vecchio) e non essersene
resa conto.
Viveva proprio tra le nuvole, come le rimproverava spesso suo padre.
-Potrebbe essere l’inizio di
una bellissima storia d’amore!- Megan battè le mani,
entusiasta e Mimi si aggregò.
Al che l’amica le
fissò e scoppiò a ridere. –Ma non ci penso
proprio!- rifiutò e, per avvalorare le proprie parole, diede le
spalle al giardino.
-Ma che diavolo…?
Lasciò sospese le dita sulla
tastiera, fissando incredulo lo schermo. Stava visitando il blog della
scuola per cercare informazioni in merito ad un progetto che stava
seguendo, quando l’aveva visto.
Se ne stava tra gli
aggiornamenti recenti ed era stato caricato dalla ragazza che gestiva
la sezione fotografica. La domanda che gli si formò nella mente
era perché?
Sperava vivamente di essersi sbagliato, ma quello… quello era decisamente lui.
-Chi è che si diverte a dare sfogo alla propria fantasia?- si chiese, cercando di trovare un indizio.
Non trovò nulla e i suoi
occhi continuavano a tornare imperterriti su quei disegni. Erano stati
realizzati con uno stile abbastanza ricercato, molto più simili
ai manga giapponesi che ai comics occidentali. La cosa che più
lo sconvolgeva, al di là dell’abilità
dell’artista, era il soggetto.
La pagina in formato a4
rappresentava un episodio della sua estate, trattato in maniera
abbastanza comica, ma assolutamente fedele. Qualcuno doveva aver
cantato ed ecco il risultato: la pagina di un fumetto schiaffata in
bella mostra sul blog scolastico.
-Ti pentirai di questa trovata.- promise, chiudendo con uno scatto lo schermo del portatile.
Si distese a letto e si ripromise di scambiare due paroline con la colpevole non appena arrivato a scuola.
Quel giorno si era ripromessa di svegliarsi presto.
Aveva puntato tre sveglie ed era
andata a dormire presto. Doveva assolutamente parlare con Mimi e le
aveva ordinato di farsi trovare davanti al cancello scolastico prima
dell’inizio delle lezioni.
Voleva delle spiegazioni e spiegazioni avrebbe avuto. Esaurienti.
Mangiò in gran fretta la sua
ciotola di riso, salutò i suoi genitori ed uscì di casa.
I coniugi Momomiya rimasero a fissarsi interdetti, prevedendo la fine
del mondo entro poche ore.
Tenne un passo sostenuto ed in poco
ecco davanti a lei la strada alberata che conduceva al liceo. Ben
presto individuò anche Mimi, appoggiata ad una delle colonne
della cancellata, intenta a torturarsi le mani.
-Mimi, eccoti qui! Ora spiegami cos’hai combinato!- l’apostrofò, saltando a piè pari i saluti.
La ragazza fece per rispondere, ma
una persona si avvicinò loro con fare deciso. –Ehi, rossa,
ho bisogno di parlarti.
Le due si voltarono e, trovandosi davanti proprio Shirogane, sgranarono gli occhi.
-Ah… ehm… se… se è per…- iniziò Strawberry, senza sapere cosa dire.
Da dove diavolo era spuntato?
Mimi pensò bene di
approfittare della situazione e sgattaiolare via. Avrebbe preso due
piccioni con una fava: Strawberry avrebbe parlato con Ryan e sarebbe
scampata alla ramanzina.
-Non è colpa mia, è
stata…- la rossa si voltò per indicare l’amica, ma
non trovò più nessuno. “Non dirmi che è
scappata! Mimi, traditrice!”, pensò, sconvolta.
-Non dare la colpa agli assenti. So che sei stata tu: chi altri poteva saperlo?- la interruppe.
-Io non so disegnare.- si difese.
Il biondo incrociò le
braccia. –D’accordo, te lo sei fatto fare da qualcuno. Ma
la cosa non cambia.- replicò.
La ragazza iniziò ad
irritarsi, vedendosi accusare per cose che non aveva commesso.
–Senti un po’, la smetti di parlare come se sapessi tutto?-
sbottò.
-Fino a prova contraria c’eravamo solo io e te, in quella baia.- le ricordò, senza scomporsi minimamente.
-Sì, ma io non avrei mai pubblicato una cosa del genere!
Sollevò un sopracciglio,
divertito. –Ah no? Non è una scusa per attaccare bottone?-
chiese, strafottente. Non sapeva perché, ma vederla arrabbiata
gli piaceva tantissimo: le si arrossavano incredibilmente le guance ed
iniziava a gesticolare.
Gli ricordava una gattina stizzita.
-Cosa?! E perché mai dovrei
voler attaccar bottone con te?- la sua voce salì di diverse
ottave. Se andava avanti così rischiava di perforargli i
timpani. Fece per parlare, ma lei glielo impedì. –Non sei
proprio il mio tipo.- chiarì.
-Lungi da me volerlo essere.-
replicò allargando le braccia. “Proprio un
peperino.”, si ritrovò a pensare.
-Questa conversazione mi conferma
sempre di più quanto tu sia maleducato e spocchioso.-
sibilò Strawberry, stringendo le mani a pugno.
-Piano con le parole. Io non ti ho
offesa.- le fece notare. Ora era lui a sentirsi infastidito: va bene
punzecchiare e rispondere a noto, ma le offese gratuite non gli
piacevano.
Lei ammutolì, mordendosi
l’interno della guancia. Fece per scusarsi e riformulare la
frase, ma si ritrovarono in mezzo all’orda di studenti in arrivo.
Vennero separati e, per qualche
istante, la giovane lo perse di vista. Quando si ritrovarono nuovamente
faccia a faccia, lui le disse:-Vedi di non pubblicare altro. La mia
vita scolastica mi piace così com’è, ossia
tranquilla. E vorrei rimanesse tale.
Le lanciò un’occhiata penetrante coi suoi occhi azzurri e poi si allontanò, perdendosi nel flusso.
Strawberry restò a fissare
la sua schiena come uno stoccafisso, iniziando ad odiare profondamente
gli stranieri con gli occhi chiari ed i capelli biondi.
Per tutto il resto della giornata fu di cattivo umore e, a peggiorare ulteriormente le cose, Mimi sembrava sparita.
Ogni volta che poteva parlarle senza essere rimproverata da un qualsivoglia professore, lei si dileguava.
Megan cercò di chetarla, ma
lei le assicurò che voleva solo parlare con lei. Non le avrebbe
fatto male. Non molto almeno.
Quando fu ora di tornare a casa,
tentò ancora una volta di intercettare l’amica, ma questa
volta fu la pioggia ad intralciarla.
Dato che non aveva con sé un
ombrello dovette dargliela vinta e correre a casa, prima di ritrovarsi
zuppa come un pulcino.
Erano passate due settimane
dalla pubblicazione della prima pagina del fumetto e da allora, ad
intervalli alterni, se n’erano aggiunte altre.
I disegni di Mimi (perché
Strawberry era sicurissima fosse opera sua) avevano riscosso talmente
tanto successo che la pubblicazione era diventata un appuntamento
attesissimo da buona parte della scuola.
Il motivo?
Le successive pagine raccontavano
tutti i battibecchi tra la rossa ed il biondo, dovuti sempre e comunque
a quella pubblicazione in corso d’opera. I due aggiungevano del
loro, dandosi contro come cane e gatto e questo dava spunti incredibili
alla disegnatrice misteriosa.
Se si aggiungeva il fatto che, tra
i commenti, erano iniziate ad apparire le prime scommesse circa la
conclusione di quello strano rapporto, era normale che Strawberry
stesse per dare di matto.
Trovava sempre qualcuno che
le faceva battutine alle spalle oppure che si congratulava per come
aveva risposto a Shirogane nella pagina pubblicata il giorno precedente.
Credevano tutti che tra loro stesse
nascendo del tenero, quando l’unica cosa che desideravano era
cancellare il fumetto dal web. Ed ignorarsi per il resto della loro
permanenza in quel grande edificio che era la scuola.
Nonostante fosse arrabbiata con
Mimi per quel tiro mancino, non l’aveva denunciata a Shirogane,
per paura che lui potesse prendersela con lei. Lei sapeva gestirlo,
bene o male, mentre la sua amica sarebbe stata distrutta.
Ryan, da parte sua, aveva
più volte dimostrato la propria insofferenza. Ma non aveva
potuto far altro che mettere a tacere gli scommettitori con sguardi
glaciali e commenti ancora più freddi.
Sembrava quasi che i due fossero
una coppia di attori, sempre sotto le luci dei riflettori per vedere
quale sarebbe stata la loro successiva mossa.
Era stancante e lo era ancora di più arrabbiarsi e litigare tra di loro.
A riprova di quanto quel periodo
fosse diventato stressante, Strawberry si ritrovò a correre
verso la scuola anche quella mattina. A differenza delle altre,
però, era in ritardo mostruoso e avrebbe sicuramente perso la
prima ora.
“Ti prego, ti prego!”, pregò tra sé che il cancello fosse ancora aperto.
Svoltò l’angolo e si
trovò davanti l’ingresso. Il bidello stava tirando la
pesante cancellata per poter chiudere il passaggio.
-Aspetti!- gli urlò.
Accelerò per un ultimo
scatto e passò nel piccolo spazio rimasto, piegandosi subito
dopo in due per riprendere fiato.
-Sempre in ritardo, eh?- la
rimproverò l’uomo. Lei non gli rispose, troppo impegnata a
prendere grosse boccate d’aria. –Vai in classe, muoviti.-
la esortò allontanandosi.
Lo ignorò e lo lasciò
tornare alle proprie mansioni. Quando fu sicura di non sentire
più il cuore rimbombarle nelle orecchie, si raddrizzò e
si diede una sistemata.
Osservò il grande orologio ed ebbe la conferma di essere definitivamente in ritardo.
“Tanto vale prendersela comoda, a questo punto.”, si disse, incamminandosi.
Mentre attraversava il cortile,
scorse una delle classi delle superiori intenta a far ginnastica. Non
li invidiava proprio: fare educazione fisica alle prime ore di lezione
era massacrante, soprattutto d’inverno.
Stava continuando ad
avanzare quando riconobbe una delle figure maschili. Si bloccò,
sgranando gli occhi ed osservò Shirogane eseguire alcuni
allungamenti a terra.
Restò a fissarlo per diversi istanti, imbambolata e poi scattò di colpo verso l’ingresso della scuola.
Non l’avesse mai fatto!
Sentì il muscolo del
polpaccio destro allungarsi e qualcosa tendersi fino allo spasimo.
Subito dopo lanciò un urlo e crollò a terra, tenendosi la
caviglia.
“Il tendine!”,
pensò subito, terrorizzata. Aveva quasi finito la
riabilitazione, non poteva essersi infortunata di nuovo! E per un
motivo così stupido, poi.
Stava osservando alcuni compagni eseguire in modo errato gli esercizi, quando sentì un urlo.
Voltò la testa di scatto e
vide una ragazza accovacciata a terra. Da come si teneva la caviglia
suppose dovesse essersi fatta seriamente male.
Senza pensarci due volte si alzò e si allontanò dal campo, non visto dal professore.
Si avvicinò rapidamente e notò la chioma rossa.
Gli sfuggì un sorriso, ma
tornò subito a farsi preoccupato notando la stretta spasmodica
sulla caviglia. –Ehi, fammi vedere.- esordì.
Lei non gli diede retta, troppo impegnata ad inveire contro se stessa e la sua goffaggine.
-Strawberry.- le posò una mano sulla spalla.
Lei allora si voltò di scatto e lo fissò, sgranando gli occhi color cioccolato. –Tu!
Non si scompose. –Sì, io. Cos’è successo?
-Non sono affari tuoi.- tagliò corto, tornando a concentrarsi sulla fasciatura che aveva al piede destro.
-Ti sei presa una storta?- le
chiese. Per quanto potesse trovarla fastidiosa e chiassosa, non
l’avrebbe abbandonata a se stessa. Non in quell’occasione.
“Perché Ryan?
Perché, tra tutti, proprio lui?”, si chiese. Come gli
spiegava che si era nuovamente stirata il tendine cercando di evitarsi
di guardarlo? L’avrebbe presa per cretina, come minimo.
-Strawberry, se è una cosa
seria potrebbe anche peggiorare. Dobbiamo arginare il danno.- le fece
presente, tentando di non sollevarla come un sacco e portarla in
infermeria. Avrebbe potuto mordergli una spalla nel tentativo di farsi
mettere giù. –Andiamo, su.
-Non riesco ad alzarmi…- fu
costretta ad ammettere. Aveva due grossi lacrimoni impigliati tra le
ciglia e stava tentando di ricacciarli indietro. Il piede pulsava come
se fosse finito in una tagliola e non sembrava voler smettere.
L’americano si abbassò
alla sua altezza e la costrinse a guardarlo negli occhi. –Per
cos’è la fasciatura?
-Per il tendine.- confessò,
deglutendo a vuoto. Si trovavano a pochi centimetri di distanza e lei
sentiva le guance caldissime.
Senza una parola, Ryan la sollevò di peso e si diresse di gran carriera verso la porta a due battenti della scuola.
-C-che fai? Mettimi giù!- si agitò lei. Come previsto.
-Dobbiamo metterci subito su del
ghiaccio, se no dovrai ricominciare tutto daccapo.- la zittì. La
vide lanciargli un’occhiata sconvolta e poi annuire, remissiva.
–Brava, gattina.- si lasciò sfuggire.
In risposta ottenne un pugno sulla spalla. –Non prenderti troppe libertà.- gli disse, guardandolo storto.
Sollevò un angolo della
bocca, divertito e poi raggiunse l’infermeria. Si guardò
attorno, cercando l’addetta, ma non la vide da nessuna parte.
Sospirando, appoggiò
Strawberry sul letto più vicino alla porta e le disse di stare
ferma mentre lui cercava l’occorrente per la medicazione.
Tornò con una confezione di
ghiaccio istantaneo ed una confezione di pastiglie, di cui Strawberry
non riuscì a leggere il nome.
-Cosa vuoi fare?- gli chiese, vedendolo avvicinarsi.
-Secondo te? Mettere il ghiaccio
sul tendine.- le spiegò con tono ironico. Lei lo guardò
male, afferrando di malagrazia la piccola confezione. Si
inginocchiò davanti al letto e la guardò. –Allunga
la gamba.
Anche se pur riluttante,
obbedì. Cercò di toglierle scarpa e calzino il più
delicatamente possibile, per evitare ulteriori traumi al tendine
stirato.
Le fece appoggiare la parte
anteriore del piede sulla propria gamba e, lentamente, svolse la
fasciatura. Notò che non aveva cerotti antinfiammatori, quindi
la fase di guarigione era in stato avanzato.
Maneggiò con cura la
caviglia, arrivando a tastarle la parte lesa. Per poco Strawberry non
balzò giù dal letto, tant’era il dolore.
-Scusami.- le disse. Afferrò
il ghiaccio, lo spezzò e glielo appoggiò contro la pelle.
La vide rilassare leggermente i muscoli delle spalle. –Meglio?
Annuì lentamente. –Grazie…- mormorò.
-Qual era stata la diagnosi?- le
domandò. Non voleva causare più danni di quanti
già non ne avesse fatti lei.
-Semplice stiramento.- rispose, reggendo il sacchetto.
-D’accordo. Aspettiamo il tempo necessario e poi ti metterò i cerotti.- disse solo.
La rossa arrossì.
–Rimani qui?!- quasi soffocò con la propria saliva, nel
tentativo di deglutire. Lui annuì, fissandola stranito.
–Ma posso fare da sola!
-Certo: puoi rischiare di peggiore
la situazione. Sei una pasticciona cronica e non voglio averti sulla
coscienza.- replicò, schernendola.
In risposta la ragazza gonfiò le guance, piccata. –Sei proprio stronzo!
-Lo prenderò come un
complimento.- sollevò un angolo della bocca, osservando con
occhio clinico la parte posteriore della caviglia. –Senti qualche
miglioramento?- s’informò dopo un po’.
-No. Ora ho mal di stomaco.- fece lei, sincera.
-Come?- Ryan la guardò negli occhi, perplesso. Cosa c’entrava lo stomaco?
-Discutere con te mi fa
attorcigliare le budella.- si spiegò, continuando a mantenere
quell’espressione da criceto arrabbiato.
Ridacchiò, divertito. –Be’, non si può dire che ti sia indifferente.- commentò.
“Ha riso.”,
pensò lei. Era già capitato che si mettesse a
ridacchiare, durante i loro battibecchi, ma lo aveva sempre fatto con
sarcasmo. Quella, invece, era una risata spontanea. E Strawberry si
ritrovò ad apprezzarla più di quanto avrebbe mai
immaginato.
Trascorsero i successivi dieci
minuti in un silenzio teso, rotto ogni tanto dal ragazzo per chiederle
come stesse e se il ghiaccio le stava bruciando la pelle.
Ad un certo punto, avvertì
un leggero pizzicore attorno all’area anestetizzata e capì
che era il momento di togliere il ghiaccio.
Posò il sacchetto sul letto, ormai sciolto e guardò il suo infermiere improvvisato.
-Devi sdraiarti sul letto, se no mi sarà difficile applicare i cerotti.- le disse.
Lo guardò scettica. –Ma sei sicuro di quello che stai facendo?- gli chiese, assolutamente poco propensa a fidarsi.
-Mio padre era uno scienziato. Ho
studiato tutti i suoi libri sull’anatomia umana e sui diversi
tipi di danni a cui può andar incontro il nostro corpo. Non
morirai, tranquilla.- spiegò. “E poi non voglio farti
un’operazione a cuore aperto.”, aggiunse tra sé.
-E come mai non sei già
laureato, genio?- lo punzecchiò, distendendosi lentamente.
Quando fece pressione sul piede dovette trattenere una smorfia.
Ryan esitò.
–Imprevisti.- disse solo. La voce gli uscì un po’
meno forte di quello che voleva, ma si accontentò. Parlare della
sua infanzia lo metteva sempre a disagio, considerando quello che era
successo quando aveva dieci anni.
Strawberry capì di aver toccato un tasto dolente e se ne dispiacque.
-Devo sistemarti, così non
posso lavorare e rischierei di farti male.- l’avvertì.
Dopo un attimo d’esitazione la vide annuire. Allora
l’afferrò per i fianchi e fece scorrere il suo corpo
minuto sul materasso, fino a farle mettere i piedi oltre il bordo.
Lei non disse niente, ma giurò di aver visto la pelle del suo viso imporporarsi.
Prese il primo cerotto e lo
sistemò sul polpaccio, poi ne recuperò altri due e,
attentamente, li fece convergere sul tendine, sistemandoli a v.
La sua paziente non si mosse, limitandosi solo a qualche breve contrazione dei muscoli.
Una volta finito, si chinò su di lei e le sussurrò all’orecchio:-Adesso puoi sederti.
La rossa alzò di scatto la
testa, rischiando di colpirlo, e i due si ritrovarono ad un soffio
l’uno dall’altra. I loro occhi riflettevano le loro
immagini e i loro respiri si mescolarono.
Improvvisamente entrambi sentirono la gola secca e un impellente bisogno di deglutire. Oppure di colmare quella distanza.
Il primo ad allontanarsi fu Ryan. Le dedicò un sorrisetto e le lasciò il suo spazio.
-Muoviamoci, su. Il prof potrebbe
chiedersi dove sia finito.- disse, tentando di stemperare
l’imbarazzo. Lei annuì, confusa ed in poco si
ritrovò con la fasciatura rifatta.
-Non posso tornare in classe così.- osservò. Le sarebbe stato impossibile appoggiare il piede per qualche ora.
-Manda un messaggio alle tue amiche
e dì loro di avvertire il tuo professore. Ora devo andare.- e
con quello lui si congedò.
Una volta fuori si attardò vicino alla porta, sorridendo tra sé. Aveva una strana sensazione di euforia addosso.
Quella sera, Strawberry dovette fare il bagno nella vasca.
Stare con la gamba infortunata di fuori la faceva sentire stupida, ma sapeva che non doveva bagnare la medicazione.
Una volta rimasta sola,
aveva avvertito Mimi e Megan ed aveva aspettato il ritorno
dell’infermiera. Una volta arrivata, quella aveva controllato
l’operato di Ryan e si era congratulata per l’intervento
tempestivo.
Mentre ripensava al dolore provato
non molte ore prima, le tornò in mente il suo quasi bacio col
biondo. Al solo pensiero arrossì, nascondendo il viso
sott’acqua.
“Ma cosa vado a pensare?”, si chiese.
Restò in ammollo per un
altro po’ e poi chiamò la madre per farsi aiutare. Una
volta vestita e comodamente sistemata sul letto, aprì il
portatile per controllare gli aggiornamenti del blog scolastico.
Notò l’aggiornamento della sezione fotografica e vi cliccò sopra.
Si aprì un’altra
pagina di fumetto, ma questa aveva qualcosa di diverso. In primo luogo
c’era un titolo scritto a caratteri cubitali: APPUNTAMENTO
ROMANTICO IN INFERMERIA?, recitava il testo.
Secondo, i disegni erano figli di un’altra mano. Quello non era lo stile di Mimi, assolutamente.
Questo significava che qualcuno li
aveva visti e si era divertito a portare avanti l’ormai
tradizionale appuntamento giornaliero.
Si portò le mani alla bocca,
già temendo il peggio. Scorse le immagini, ma si rese ben presto
conto che la scena delineata con l’inchiostro iniziava da quando
Ryan le aveva applicato i cerotti.
La situazione era stata assolutamente fraintesa!
Fece per lasciare un commento non
troppo gentile all’autore del misfatto, quando il suo cellulare
prese a squillare. Rispose senza nemmeno guardare chi fosse il
chiamante.
-Strawberry, sono io.- disse la voce dall’altra parte.
-Mimi?!- staccò il telefono
dall’orecchio per controllare che fosse veramente lei. Non le
parlava da tantissimo, ovvero dalla prima pubblicazione del fumetto.
-Sì, sono io. Scusa se ti ho
evitata, in questo periodo… ma avevo l’impressione che tu
ce l’avessi con me.- le disse. Impressione corretta.
–Comunque, ti ho chiamata per dirti che io non c’entro
niente con l’ultima pagina del fumetto, lo giuro!
Sospirando, la rossa disse:-Lo so. Non è la tua mano.
Ci fu una pausa. –Oh. L’avevi capito? Meno male. Hai idea di chi possa essere l’autore?
-No.- ammise, scuotendo la testa. –Qualcuno che è capitato lì per caso e ha frainteso tutto, comunque.
-Quindi non è come sembra?- fece l’altra.
-No! Assolutamente! Mi stava aiutando col tendine!- replicò, arrossendo.
-Be’… però vi siete avvicinati…- provò a buttar lì la ragazza dagli occhi azzurri.
-Prima che mi ricordi tutte le cose
poco carine che volevo dirti, è meglio se stacco. Buonanotte, a
domani.- e detto questo mise giù.
Lanciò un’ultima occhiata al pc e poi lo spense, sospirando. –Prevedo altri guai…- sussurrò.
-E questo da dove diavolo esce? Non è la stessa disegnatrice.- si chiese, perplesso ed infastidito.
Era stata pubblicata un’altra
pagina, ma c’era qualcosa di diverso. A parte
l’insinuazione non troppo velata che lui e Strawberry avessero
compiuto chissà che cosa in infermeria, ovvio.
-Oh, un’altra pagina?- Kyle,
il suo tutore e migliore amico, gli si fermò alle spalle.
Abbassò gli occhiali sul naso e scrutò lo schermo,
curioso. –Mhm… c’è qualcosa che devi dirmi,
Ryan?
-Assolutamente no!- smentì.
Il moro lo fissò, pensieroso. –Eppure mi sembri irritato sul serio, non come le altre volte.- gli fece notare.
L’americano si voltò a guardarlo. –Certo che lo sono! Si sono inventati le cose!- sbottò.
-Vuoi dire che si sono inventati i fatti? Tu e lei non eravate in infermeria?- cercò di capire, perplesso.
-No… cioè, sì.
Ma non era un incontro romantico, era per necessità. Strawberry
si era appena stirata il tendine d’Achille.- spiegò,
gesticolando. Quando si arrabbiava finiva con usare molto di più
la mimica corporea.
-Oh… e sta bene, adesso?-
s’informò, preoccupato. Negli ultimi tempi, la ragazza dai
codini rossi era stata molto spesso oggetto dei discorsi del suo amico.
All’inizio ne aveva parlato in termini non troppo positivi, poi
il suo tono era cambiato e aveva iniziato a fingere di trovarla
antipatica.
Sospettava che gli piacesse battibeccare con lei, che non aspettasse altro.
-Sì, spero di sì.
L’ho trattata subito.- rispose, abbassando il tono di voce.
–Comunque, qui c’è bisogno di una risposta chiara ed
esauriente.- aggiunse.
-Ossia?
-Ossia mi aiuterai a far capire alla scuola come sono andati veramente i fatti.- gli disse, guardandolo dritto negli occhi.
Kyle sorrise. –Posso
aggiungere una dichiarazione velata per la tua Strawberry? Mi sembra
ora di confessare, ormai.- lo prese in giro. Ryan arrossì di
botto, colto di sorpresa e borbottò qualcosa. –Lo prendo
come un sì.
Quel giorno le sembrava di essere fissata da un po’ troppe persone.
Era arrivata tardi come suo solito, ma era riuscita a sgattaiolare in aula prima della professoressa d’inglese.
Non appena si era seduta, gli occhi di tutti si erano puntati su di lei.
A disagio, si era guardata
intorno e poi aveva abbassato gli occhi, estremamente imbarazzata. A
ricreazione la cosa si era ripetuta e così per il resto della
giornata.
Stava tornando a casa con Mimi e
Megan (sì, aveva perdonato all’amica lo scherzo del
fumetto), quando finì per sbottare:-Ma perché tutti mi
fissano?
Le due si scambiarono un’occhiata, poi la guardarono. –Davvero non lo sai?- le chiese Megan.
Lei scosse la testa.
-Aspetta.- le disse Mimi. Estrasse
il cellulare ed entrò nel sito del blog. Cercò quello che
le serviva e poi girò il telefono verso Strawberry, dandole modo
di guardare. –Ecco perché.
La rossa si chinò per osservare meglio e vide un’altra pagina del fumetto.
Anche questa non apparteneva alla
produzione dell’amica fidata, fotografa ufficiale della scuola,
ma non assomigliava nemmeno a quella della sera prima.
Osservò i disegni uno per uno, il tratto deciso e decisamente più maschile.
-Oh.- riuscì a dire, arrossendo fino alla punta dei capelli.
-Se fossi in te, andrei a chiedere chiarimenti.- le suggerì la bionda, ridacchiando per la sua espressione.
-Credete?
Annuirono, convinte. –Oh sì. Noi andiamo, poi facci sapere.
Le guardò allontanarsi e poi
ripensò a quello che aveva visto: la pagina raccontava del suo
infortunio, ma lei era stata raffigurata come una gattina decisamente
permalosa.
Non si vedeva mai il viso della persona che la aiutava, ma era quasi sicura di sapere chi fosse.
Si guardò intorno e poi decise di raggiungere la panchina su cui l’aveva visto spesso.
Evitò di correre, dato che
non voleva dover dire definitivamente ciao al suo tendine e raggiunse
con calma il cortile interno.
Quando svoltò l’angolo, individuò subito i suoi capelli biondi.
Si avvicinò cercando di non farsi scoprire.
-Finalmente ce l’hai fatta. Iniziavo a sospettare di dover aspettare qui tutta notte.- esordì lui.
“Sempre gentile.”, pensò, piccata. –Vuoi già litigare?- chiese, pronta a dar battaglia.
Lui si voltò, inchiodandola
coi suoi occhi chiari. Appoggiò il libro che stava leggendo
sulla panchina. –No. Hai visto il fumetto?
A quelle parole, Strawberry tornò ad arrossire. –Sì…- ammise.
-E non ti avvicini perché
hai paura che ti mangi?- la punzecchiò, ridacchiando subito
dopo. Lei allora fece il giro e gli si piazzò esattamente
davanti. –Oh, grazie. Temevo volessi farmi venire il torcicollo.
-Perché l’hai fatto?- chiese.
-Be’, tecnicamente non
l’ho fatto io. Non so disegnare.- rispose. Voleva farla
innervosire e vederla perdere le staffe.
Sbuffò. –Hai capito il senso. Perché hai risposto con quei disegni?
-Volevo chiarire le cose.
-Ritraendomi come una gattina?- chiese, perplessa.
-Ma tu sei una gattina. Anche adesso, stai tirando fuori le unghie.- le fece notare, divertito. Gli brillavano gli occhi.
Se possibile, la ragazza
arrossì ancora di più. –Il… il misterioso
salvatore saresti tu?- chiese conferma. Iniziava a non capire
più niente e si sentiva destabilizzata. Il suo stomaco si era
attorcigliato.
-Ci sono altre persone con cui
litighi tutti i santi giorni e arruffi il pelo?- sorrise, divertito dal
suo stato d’agitazione.
-Ryan.- piagnucolò allora lei. –Cosa stai cercando di dirmi?
Abbassò lo sguardo sulle
proprie mani, cercando di convincersi ancora una volta che non si stava
comportando da stupido. –Be’… vorrei continuare a
litigare con te. Mi piace troppo vederti arrossire di rabbia.-
confessò, lanciandole un’occhiata da dietro i ciuffi di
capelli biondi.
-Ti piace litigare con me?- fece lei, perplessa.
Annuì. –A te no?
Fece per rispondere, ma poi si
trattenne. In effetti, da quando si erano incontrati la prima volta,
discutere con lui le era diventato molto più facile. Peggio,
aspettava quei battibecchi e li gustava fino a fondo, divertendosi.
“Oh, Kami! Sto impazzendo? Mi
piace litigare con una persona e ne sono felice?!”, si chiese,
sconvolta. –A-anche a me piace litigare con te…- fu
costretta ad ammettere.
Sul viso di Ryan si aprì un
bellissimo sorriso. Si alzò e le si avvicinò,
sovrastandola con la sua altezza. –Bene. Allora dopo questo
litigheremo di brutto.- sussurrò.
Le prese il viso tra le mani e si
coprì la sua bocca con la propria. Attese che lei realizzasse la
cosa e poi le diede un leggero morsetto, facendole dischiudere le
labbra.
Strawberry non poté fare a
meno di aggrapparsi alla sua divisa ed arrossire. Ma non si
staccò e lo lasciò fare, assaporando il contatto col suo
corpo.
Quando finalmente Ryan si fu
scostato, dandole modo di respirare, lo guardò con tanto
d’occhi. –Come ti sei permesso?!- scoppiò, dandogli
un pugno in pieno petto.
Senza poterselo impedire rise, rise forte.
Era contento e doveva tutto ad uno stupido fumetto.
Vedendolo così allegro e
rilassato, Strawberry abbandonò le intenzioni bellicose e si
unì alla risata, guardandolo.
-Domani avranno una bella sorpresa…- commentò il ragazzo.
-Vuoi fare un’altra pagina?!- chiese, preoccupata.
-No… voglio aspettarti al
cancello ed accompagnarti in aula.- replicò, perplesso. Lo
credeva così stupido da vantarsi della buona riuscita
dell’impresa su internet?
-Oh. Da domani?- chiese stupidamente lei.
-Be’, farlo oggi mi sembra difficile, ormai.- le fece notare, divertito dalla sua espressione.
Strawberry esitò. –E se arrivo in ritardo?
-Non arriverai in ritardo.- le assicurò.
-Ah sì? Come fai a dirlo?- chiese, scettica. Era praticamente impossibile farla arrivare puntuale a scuola.
Ryan le avvolse la vita con un
braccio, attirandola a sé. –Ti darò un incentivo.-
sussurrò, posandole un tenero bacio sulle labbra.
La vide arrossire di nuovo e si
rese conto che anche quel tipo di rossore gli piaceva molto. A dir la
verità, gli piaceva lei.
-Sarò puntuale, promesso!- disse Strawberry.
Rise. –Brava, gattina. Credo che domani avrà inizio una nuova tradizione.
-Ossia?
Sciolse l’abbraccio e la fece sedere con sé sulla panchina. –Galeotto fu il fumetto…
Al che risero entrambi, contenti di essere lì.
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