Apocalisse
Poteva sembrare una giornata
qualunque, quella: il vento soffiava scuotendo le chiome degli alberi cresciuti
a prepotenza fra i palazzi, due gatti si rincorrevano sotto il timido solo autunnale
con il pelo fulvo e scombussolato e la coda dritta rivolta al cielo e qualche
uccellino solitario cantava chiuso in una gabbia. Ma
quella non era una giornata normale, e per capirlo sarebbe bastato alzare gli
occhi al cielo: un cielo color porpora.
In mezzo ai palazzi si ergeva un enorme
edificio grigio perla, tanto alto che il vertice era coperto dalle nuvole e ne era impossibile scorgere la cima. Aveva tutte le finestre
sbarrate da cui luci bianchissime riuscivano a malapena a filtrare e un silenzio
denso e cupo aleggiava nell’aria. Tutte tranne una. Buio, vociare ininterrotto,
persiane spalancate…oltre il frastuono di una voce
acuta e fastidiosa si insinuava un lieve scrosciare d’acqua, mentre un dolce
profumo di mele riempiva tutto l’appartamento; l’unica flebile luce proveniva
dallo schermo del televisore acceso, ricamando sui muri prismi bluastri.
“ Un enorme asteroide si abbatterà sulla Terra fra meno di sei giorni…
”
Il giornalista parlava
freneticamente, con il gomito appoggiato allo scintillante “TG” sulla destra
dello schermo, mentre dietro di lui l’immagine di un enorme asteroide lasciava
posto a volti di persone spaventate. Sulla sinistra, in lettere color pece,
brillava il titolo del servizio: Armageddon. Poi un
campanello trillò, in qualche punto della casa, e lo scrosciare d’acqua si interruppe improvvisamente.
“ La fine è vicina! Gli angeli neri scenderanno sulla terra e…”
Lo schermo diventò
improvvisamente nero, cancellando l’immagine dell’uomo che stava parlando
davanti ai microfoni, e la stanza fu di nuovo avvolta nel buio. “Che parlino sul serio o che sia un espediente per attirare
l’attenzione, non mi riguarda. Ho cose più importanti a cui pensare.”
New York… la città più grande del
mondo. Per quanto tu possa cercare non ne troverai una
uguale: patria di fuggiaschi, emarginati, artisti, criminali, uomini di affari,
pazzi omicidi… e anche di gente comune… ma l’elenco non si può certo fermare
qui. Ma in NY c’era un piccolo distretto, il n°13, in
cui qualcuno aveva giurato di lavorare. Fino alla fine del mondo o cos’altro.
La giovane tolse il dito dal
pulsante di accensione mentre, leggere, le gocce
d’acqua le attraversavano il corpo, infrangendosi sul pavimento e mischiandosi
con la cenere, caduta dalla sigaretta quasi spenta. Nell’appartamento cadde il
silenzio.
-
6 giorni alla fine del mondo
La ragazza camminava eretta, passo lungo e testa alta, attraversando la città per
recarsi nel luogo del delitto. Dietro di lei una folla di gente impazzita si
affollava contro le porte di un supermercato. “A cosa servirà mai una scorta di
zucchero se ci cadrà addosso un meteorite grande come
il Texas?” Ma proseguì sulla sua strada accelerando il passo: era in ritardo.
Poteva sembrare strano che una ragazza come lei, non eccessivamente brutta e
con un discreto carattere, si preoccupasse solo di andare al lavoro,
soprattutto ora che mancavano sei giorni alla fine del mondo, ma non se ne
curava. Forse non l’allettava l’idea di aspettare, chiusa in casa o persa in
qualche party di chissà quale tipo, e neanche di girare per la città come
indemoniata fra gli indemoniati, litigando per comprare prodotti che non le sarebbero più serviti. O, più
semplicemente, forse non aveva altro che quello, il suo lavoro. Intanto, dietro
di lei, le persone iniziavano a litigare, i bambini a correre in mezzo alle
strade, senza nessun controllo, e un uomo ammantato di nero camminava tenendo
fra le mani un cartello: Ecco
l’Apocalisse.
Arrivata all’appartamento che era
la sua destinazione non si sorprese di non vedere ne
transenne ne macchine della polizia, e neanche del fatto che a venirle incontro
fu soltanto un vecchio poliziotto con la sigaretta stretta in bocca. “È qui?”
“È qui. Ma cosa credi di poter fare?” senza rispondere sorpassò
l’uomo e varcò la soglia.
Se qualcuno, in
quel momento, fosse passato di fronte a quella villetta, non vi avrebbe trovato
niente di strano: il giardino era ben curato, con l’erba fresca e corta, la
facciata candida ed i vetri leggermente sfumati di verde pastello. Chi mai
avrebbe immaginato che in quella casa c’era un morto?
La giacca era imbrattata di sangue, la
cravatta lacerata da un fendente arrivato dritto al cuore e gli occhi
spalancati in un espressione esterrefatta, quasi
meravigliata. In bella vista stavano nove tagli: un macellaio. Nove colpi, tutti in punti vitali: un macellaio che sapeva il fatto
suo. Uno stramaledetto professionista. In un altro momento sarebbe certo
corsa fuori dall’appartamento, con un fazzoletto
premuto sulla bocca, lasciando i suoi colleghi a sbrigare le solite faccende,
ma ora non poteva: l’unico collega era lei. Si guardò intorno, quasi con
disperazione, cercando il fatidico biglietto, finché lo vide, appoggiato in un
angolo della stanza. È giunta
l’Apocalisse. Come al solito, non vi avrebbe trovato
nessun impronta digitale. Inutile segno distintivo di un
serial killer che da poco più di un mese infettava la città con i suoi
cadaveri, abbandonando sempre la stessa frase su un biglietto. Ma il vero problema era che il suo modus operandi non era mai lo stesso, e
per la polizia era impossibile arrivare a tracciarne un profilo psicologico. Perché, nella polizia, era di questo che lei si occupava,
ormai da più di dieci anni, ed era chiaro e luminoso che, con quel semplice
biglietto, non sarebbe arrivata a capo di niente.
-
5 giorni alla fine del mondo
Altra mattina autunnale dal cielo
sempre più porpora, anche negli animi più scettici si era introdotto il dubbio
che forse la fine del mondo era vicina, e il panico iniziava a dilagare per le strade.
Solo una persona se ne stava seduta su un davanzale, osservando distrattamente
ciò che accadeva intorno, troppo occupata a lottare con il suo orgoglio:
ritrovare l’assassino era ormai questione di principio, quello la stava
prendendo in giro, giocando al gatto e al topo.
La televisione lo chiamava Apocalisse e ne
dava notizia pressoché ogni mezzora, anche se ormai nessuno guardava più la TV
se non i pochi ottimisti che speravano di sentire notizia di un cambiamento di rotta dell’asteroide. Apocalisse era dunque un killer,
uno del peggior tipo: un pazzo in grado di agire da savio, eliminando tutte le
possibili tracce. Normalmente, dietro ad un simile individuo, si sarebbe
sguinzagliato tutto il 13° distretto e lei sarebbe
stata solo l’ultima ruota del carro, ne avrebbe dato una semplice descrizione
psicologica. Ora invece era sola, l’unica in grado di catturarlo, cinque giorni
prima della fine del mondo.
Sospirando si portò una sigaretta alla
bocca, giurando che lo avrebbe preso prima della fine. Testimone ne fu un cielo
sempre più triste.
-
4 giorni alla fine del mondo
Altro
giorno, altro cadavere. Apocalisse non si smentiva e non voleva saperne di
abbandonarsi
in un angolo ed aspettare tranquillo la fine del mondo. Ora
le vittime erano arrivate a dodici. Troppo poche,
sicuramente, per farlo considerare uno dei più grandi killer, ma troppo tante
per potergli permettere di passarla liscia. Dodici
vittime… niente male per un solo mese di lavoro… il vecchio era dietro di lei
quando si voltò di scatto: “Fra quanto arrivano quelli della scientifica?” “Non
arriveranno mai…” restarono in silenzio parecchi minuti, poi lei, sospirando,
disse: “Bene…” e stringendo i pugni voltò le spalle al vecchio.
La sala era bianca e illuminata a giorno
nonostante fosse già mezzanotte inoltrata. Tre giorni alla fine del mondo.
Aspirò una boccata di fumo e accese il
registratore.
“Donna di razza ariana, circa trentenne, capelli chiari e occhi azzurri.
Presenta ferite da taglio al collo e al ventre. Dodici colpi totali. Ha le
unghie rotte, i vestiti lacerati in più punti, e graffi lungo il viso ed il
corpo: probabilmente ha cercato di difendersi. Analizzando i pezzi di pelle
ritrovati sotto le unghie forse si riuscirebbe ad arrivare a scoprire
l’identità di Apocalisse.” Ma non c’erano più medici
nel settore “scientifica” del tredicesimo distretto e per l’analisi del DNA ci
sarebbero voluti almeno cinque giorni. Non c’era più tempo e
Apocalisse, questo, lo sapeva. Della sigaretta era rimasto solo il
filtro, ma la ragazza continuò imperterrita ad
aspirare, spalancando la porta con un pugno e uscendo all’aria aperta. Il cielo
era ancora più scuro di come se lo ricordava.
Fame, Morte, Guerra e Pestilenza, i
quattro cavalieri dell’Apocalisse di lì a meno di tre
giorni avrebbero distrutto il mondo. Nessuno sarebbe sopravvissuto,
nemmeno quel bastardo di un killer. Ma
allora perché preoccuparsi tanto, perché seguire l’orgoglio e non rintanarsi
nella sua calda poltrona, aspettando la fine con una sigaretta in bocca? Però, se ci pensava bene, mancavano tre giorni. Quanta gente
sarebbe potuta essere uccisa da Apocalisse, in tutto quel tempo? Poteva
permettere quello, poteva permettere che quel bastardo criminale vivesse fino
alla fine?
Spense la sigaretta buttandola con un
gesto stizzito a terra, avviandosi verso casa. Non era ancora momento di
arrendersi.
-
1 giorno alla fine del mondo
Il cielo era ormai rosso, come se le
nuvole si fossero improvvisamente incendiate. Tre giorni di ricerca sprecati,
Apocalisse non aveva più ucciso nessuno, e lei brancolava nel buio. Gli uomini
erano pronti per darsi l’ultimo amorevole e fraterno saluto: colpi di pistola
riecheggiavano per le strade, incontri di pugilato fra estranei improvvisati al
momento con come spettatori bambini dagli sguardi spiritati. L’ultimo pacifico
giorno dell’uomo. Forse l’Apocalisse avrebbe trovato poche persone, ancora in
vita. Un impiegato si avventava contro un gruppo di cinesi, nel tentativo di
impossessarsi di una lattina di birra. L’ultima.
Soccombette solo dopo averne malmenati un paio; una vecchia picchiava una
bambina, forse sua nipote, e quella, per tutta risposta, sferrava calci contro
una gamba zoppicante; in un vicolo una donna veniva
assalita da un barbone armato di coltello. Fendenti ampi, precisi… troppo precisi
per un assassino dell’ultima ora. “E se…” si chiese la
donna. Ma quante possibilità c’erano, una su un
miliardo? Ma che importanza aveva, infondo, a quel
punto? Mancavano due ore alla fine di tutto… il barbone si accorse di lei e la
guardò sorpreso, poi capì. E sorrise.
Puntò la pistola, ma non sparò,
lasciandolo fuggire: lo voleva vivo. Attraversarono mezza città, correndo come
forsennati, i loro aritmici passi che si udivano nei vicoli vuoti, lui davanti,
sorridendo in modo quasi strafottente, lei dietro, con la pistola stretta in
pugno e un solo pensiero nella testa: raggiungere quel bastardo. E ci riuscì, finalmente, quando imboccarono un vicolo cieco.
Capolinea. “Come ti chiami?” la sua voce era fredda, strascicata, bassa. Lo
sapeva chi era, come non poteva, lo cercava da un mese, ormai. Ma voleva sentirle, quelle parole. La pistola era fissa
contro la fronte dell’uomo. “Mi conosci
bene, la televisione ha parlato tanto di me.” Ne
sembrava compiaciuto “Mi chiamano Apocalisse, ma non
lo sono. L’Apocalisse è quella che sta arrivando, io non sono..”
“Non mi importa quello che non sei, voglio sapere
quello che sei. E io in te non vedo che un pazzo assassino che ama ammazzare la
gente.” “Un pazzo? Forse… ma non vedi? Questa è
l’Apocalisse, i quattro neri cavalieri sono già intorno a noi, non senti il
loro respiro sul tuo collo? Io sono solo il poeta delle loro gesta.” “Be’… le tue poesie fanno schifo.”
Mancavano dieci minuti, alla fine di
tutto, e loro se ne stavano lì, uno di fronte all’altra, mentre nel cielo già
si scorgeva una macchia scura e si sentivano le prime urla. “Visto? è arrivato. Ho aspettato fino ad oggi, ma ne
è valsa la pena: finalmente il giorno è arrivato.” La
ragazza sorrise, masticando la sigaretta ormai spenta. “Già, il giorno è
giunto. E ce lo meritiamo tutto, dal primo grido
all’ultimo cadavere. Ma sai qual è la cosa più
divertente?” L’uomo la guardò interrogativo. “Che tu
non lo vedrai.”
Il colpo partì: veloce, preciso e
inesorabile, esattamente nel punto in cui la ragazza aveva mirato. L’uomo non
si accorse neanche che il suo sogno era stato stroncato al suo culmine, perché
si accasciò a terra. Senza vita.
-
1 minuto alla fine del mondo
Le nuvole
coprivano il palazzo grigio perla, sotto il cielo infuocato; gli uomini correvano,
le donne urlavano e in tutte le strade vi era solo
violenza, come se l’uomo avesse dimenticato i principi dell’amore e della
fratellanza. Si scorgevano, in alcuni vicoli bui, quattro ombre affiancate che
galoppavano in uno scalpitio di zoccoli dorati, urla
infernali e lance acuminate.
Se, in tutto quel
caos, qualcuno avesse alzato gli occhi, superando la coltre di nuvole, avrebbe
scorto una figura eretta in cima al palazzo color perla, con una sigaretta in
bocca. Forse nessuno saprà mai che era una psicologa
del tredicesimo distretto, che non aveva mai mancato un giorno di lavoro in
tutta la sua carriera, che voleva smettere di fumare. Ma
ormai in quelle cose non vi era più importanza. E così, mentre pezzi di asteroide varcavano l’atmosfera, la ragazza guardò in
basso, verso la pazzia delle strade, e alzò il dito medio. Nel suo ultimo
saluto al mondo.
Thanx
Forse qualche
d’uno ha letto il breve fumetto da cui ho preso la storia, perché mi sono
limitata a tradurre in prosa un bellissimo episodio di Recchioni, credo si chiami. Comunque, ci sono anche
aggiunte…
Quanti lo hanno
letto?
Alla prossima *
Mamey *