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Titolo: Coraggio, Protezione e Fiducia
Personaggi: Evangeline, Beltaine, Razuma, Altri
Pairing: Nessuno
Rating: Verde - Giallo
Genere: Light Drama
Avvertimenti: Pre-FF e Pre-Movie
Note: L'infanzia di Eve e l'incontro con Bel.
Una gran folla, tutto il villaggio radunato in un solo luogo per la
grande festa. Bambini e adulti che ridevano e ballavano ed esultavano
per l’arrivo della Primavera.
Ad un tratto i bracieri al centro dello spiazzo si accesero di un magico fuoco amaranto.
-Deirdre?- chiese una bambina alla ragazza accanto a sé –Come fanno i bracieri ad accendersi da soli?-
La ragazza sorrise –La Dea manda la sua benedizione ad ogni
villaggio e accampamento che creda in lei e li abbia preparati per
avere la sua protezione. Sa sempre quando qualcuno si affida a lei e lo
protegge-
-Coma fa il fuoco a proteggere? Il fuoco brucia le cose- osservò
la bambina, con gli occhi nocciola che fissavano l’altra con
curiosità.
-Oh, Maeve! Il fuoco della Dea è magico! Brucia solo ciò
che lei vuole sia bruciato, mentre per chi passa attraverso i bracieri
durante la sua festa diventa un potente talismano contro il male-
La minore prese per la mano l’altra trascinandola verso i
bracieri –Allora dobbiamo andare subito! Andiamo! Andiamo!- la
esortò.
Deirdre rise, ringraziando la Dea mentre passavano attraverso i bracieri e pregandola di proteggere la sorellina.
Tra gli adulti cominciava a serpeggiare la voce di una guerra lontana, ai confini di villaggi distanti miglia e miglia.
§§§
La voce della guerra era diventata più insistente con gli anni,
ma aveva sempre il sentore di qualcosa di distante, qualcosa di
così lontano che le due sorelle cominciavano a pensare fosse
infondata.
Quando però Flann, il promesso di Deirdre, era stato chiamato
come gli altri uomini tra cui loro padre a combattere, allora avevano
cominciato a preoccuparsi.
La festa di Primavera, però, si era svolta senza problemi solo
pochi giorni prima e Deirdre aveva pregato la Dea di proteggerli.
Maeve, che adesso aveva dodici anni, era diventata fiduciosa nella Dea
quanto lei, pur cercando ancora di capire come facesse ad accendere i
bracieri magici.
-Dovrò chiederglielo un giorno, sai?- disse la ragazzina, mentre la sorella le legava i lunghi capelli castani.
-Cosa e a chi, Maeve?- chiese Deirdre, divertita.
-Alla Dea. Come fa ad accendere tutti i bracieri insieme- affermò Maeve.
Deirdre rise –Se avrai la fortuna di incontrarla, dovrai davvero
farlo. Ma dovrai stare attenta a come le parli, dicono che sia una
donna molto…-
Maeve non avrebbe mai saputo cosa dicesse la gente della Dea,
perché rumori misti a grida cominciarono a circolare per il
villaggio.
Entrambe corsero a sbirciare la ragione di quel trambusto da dietro una
tenda, ma nulla avrebbe potuto prepararle allo spettacolo orribile che
per molto tempo sarebbe rimasto impresso negli occhi di Maeve.
Il caos era ovunque, mentre uomini in armature argentee e stoffa rossa
uccidevano senza pietà ogni abitante del villaggio che capitasse
loro a tiro.
Sopra di loro, sospesa a mezz’aria, la sagoma di una donna dagli occhi rosso acceso e scarmigliati capelli scuri.
Una Vila.
Deirdre costrinse Maeve a rientrare. La ragazzina era troppo spaventata
per allontanarsi da sola e Deirdre dovette scuoterla –Maeve,
guardami!- le ingiunse –Dobbiamo andarcene, subito-
La ragazzina annuì, mentre la sorella la spingeva verso la
finestrella che dava sulla foresta e la aiutava a scavalcarla, per poi
seguirla.
Ad un tratto una trave della casa in fiamme accanto alla quale stavano
passando cadde loro davanti, sbarrando loro la strada. Deirdre si
guardò rapidamente intorno, intravedendo un passaggio che
portava direttamente alla foresta, troppo stretto per lei, ma
abbastanza largo per la sua minuta sorellina.
Il rumore sempre più vicino dei cavalli e del fragore del
metallo le diedero solo il tempo di sussurrare poche frasi –Vai,
Maeve, corri nel bosco e non fermarti. Non guardare mai indietro,
qualunque cosa accada-
-E tu?- chiese la bambina con gli occhi pieni di paura.
-Ti raggiungerò, se posso, ma tu devi andare. Sii veloce e segui
i sentieri nascosti- le diede un bacio sulla fronte, prima di
sussurrare –La Dea ti proteggerà, abbi fiducia in lei e
sii coraggiosa. Ti voglio bene-
Aveva gli occhi pieni di lacrime, Maeve, mentre la abbracciava, prima
di correre via, verso il folto della foresta, lasciandosi alle spalle
il clangore del villaggio messo a ferro e fuoco.
§§§
Due giorni.
Aveva trascorso due giorni in fuga, seguendo prima i sentieri meno
battuti, poi ignorandoli completamente. Nutrendosi di quello che
conosceva come commestibile, ignorando il resto, per quanto migliore
potesse sembrarle.
Conosceva quella foresta solo fino ad un certo punto, oltre il quale non si era mai spinta.
Ora aveva superato di molto quel confine, spinta da un istinto che andava oltre l’autoconservazione.
Aveva scoperto di essere tornata indietro, ad un certo punto, solo dopo
si era accorta di non essere incappata per errore in un accampamento
nemico.
Non conosceva la direzione che stava prendendo non essendosi mai
allontanata troppo dal suo villaggio, ma qualcosa la spingeva a
proseguire.
In cuor suo, incrollabile, la fiducia nella protezione della Dea.
Certo, doveva essere molto occupata, lo sapeva bene, ma avrebbe trovato
il modo di aiutarla.
Dopotutto se riusciva ad accendere i bracieri senza nemmeno essere
nelle vicinanze, sapeva di certo come aiutare chi aveva bisogno di lei.
Si sciacquò il viso per togliere le tracce di sonno e terriccio
e quando alzò lo sguardo si trovò davanti una sorpresa.
Davanti a lei, leggero come una piuma e trasparente come l’acqua, c’era un fuoco fatuo di un vivace color amaranto.
Maeve lo guardò per qualche attimo, incerta. Allungò le dita, ma le ritrasse subito.
Era del colore delle fiamme della Dea, ma era giusto toccarlo?
E se la Dea si fosse offesa?
Fu il fuoco a decidere per lei, venendo incontro alla manina tesa a metà.
Fiamme innocue la avvolsero e quando sparirono Maeve era in un luogo completamente diverso.
§§§
Beltaine sospirò, mentre le fiamme amaranto le lambivano
delicatamente la pelle, risalendo e fondendosi coi suoi capelli, fino a
sparire.
Era stanca, tremendamente provata da quell’incessante battaglia.
La guerra coi romani era divampata come un incendio in un mare
d’erba secca, fomentato dalla follia di Gubitak Razuma.
Quella donna aveva incentivato la furia conquistatrice dei romani,
obbligando i celti - il suo adorato popolo prediletto - a fuggire, a
combattere, a sacrificarsi. Erano tantissime piccole tribù
contro la valanga inarrestabile ed organizzata di romani.
Il cuore le si strinse nel petto, mentre si passava una mano tra i capelli con un moto di disperazione.
Amava il suo popolo, anche se sapeva che la sconfitta era inevitabile.
Poteva soltanto fare il possibile per salvare più celti
riuscisse, oltre che fermare o almeno arginare l’influsso della
Follia.
Sovrappensiero, attraversò la radura che circondava la sua
adorata casa, coperta dalle fronde degli alberi marginali al prato. La
luce del sole filtrava tra quelle fronde, creando giochi d’ombre
verdi e azzurre sulla facciata della cascina e donandole un aspetto
quasi magico.
Beltaine sorrise, sentendo il cuore più leggero.
Era a casa e, con lei, molti celti erano tornati nelle loro case.
Con ancora il sorriso sulle labbra, aprì la porta
d’ingresso - mai chiusa a chiave grazie alla fiducia riposta nel
cerchio magico degli elfi e gli incantesimi difensivi ad esso
applicati- e si bloccò di colpo, stupefatta.
Di fronte a lei, una bambina dai lunghi capelli crespi e scarmigliati
sedeva su uno sgabello della cucina, intenta ad abbuffarsi di biscotti.
I suoi biscotti ai frutti di bosco.
Beltaine strinse gli occhi, sentendo l’irritazione crescerle nel
petto. Irritazione soffocata per tutta la lunga giornata irta di
battaglie, alimentata dalla stanchezza e da quello spettacolo
assolutamente inimmaginabile a casa sua.
Che diavolo ci faceva una bambina umana in casa sua, nella sua cucina, seduta sul suo sgabello e con in mano i suoi biscotti?
La bambina parve accorgersi dello sguardo infuocato di Beltaine
perché sollevò gli occhi dalla sua merenda e fissò
la Dea furente.
- Quelli sono i miei biscotti preferiti! - sbottò Bel,
raggiungendola con poche veloci falcate e strappandole di mano la
scatola - Chi sei e cosa diavolo ci fai qui? - domandò con voce
autoritaria.
La bambina la guardò con aria colpevole, ma non abbassò
lo sguardo –Mi dispiace è che sono la cosa più
buona che mangio da giorni. In realtà sono la cosa più
buona che abbia mai mangiato, ma…- la bambina esitò un
attimo –Il mio nome è Maeve. Io pensavo che il fuoco mi
avesse portata qui per aiutarmi. Io…- sembrava spaesata.
Beltaine la fissò, l’irritazione lievemente diminuita a causa del complimento ai biscotti.
- Certo che sono i più buoni che tu abbia mai mangiato -
sbuffò con tono scontroso, occhieggiando la scatola vuota a
metà - Il fuoco? - ripeté, distogliendo completamente
l’attenzione dai dolciumi - Che tipo di fuoco? - indagò,
guardinga.
Non era possibile che il fuoco di Razuma avesse trasportato in quella
radura quella bambina all’apparenza innocua. Se anche fosse, i
cerchi protettivi avrebbero dovuto tenerla alla larga da lì,
anche se era certa che la Follia non conoscesse quel posto.
Che fosse stato uno dei suoi fuochi fatui a portarla lì?
La cosa era strana sotto molti punti di vista. I fuochi fatui si
manifestavano solo ai suoi credenti - cosa che la bambina sembrava
essere apparentemente -, ma solo a coloro con la fiducia più
incrollabile in lei, solo coloro che non sapeva come definire se non
“speciali”.
E solo coloro che erano in grave pericolo.
-Il fuocherello volante, quello di quel colore speciale, come il fuoco
dei bracieri della festa di Primavera- spiegò la bambina
–Come i suoi capelli- aggiunse poi, notandone la tonalità.
Beltaine si accigliò, studiando meglio la bambina.
Erano stati quindi i suoi fuochi fatui a portarla lì? Eppure
quei fuochi, insieme all’incantesimo di protezione che induceva
ogni credente a dirigersi al luogo più sicuro per lui,
l’avevano portata lì.
Era davvero strano.
La bambina, d’altronde, poteva anche star mentendo. Erano infidi i bambini, Beltaine ne era pienamente convinta.
- Da dove vieni? - indagò, mentalmente rievocando gli ultimi
villaggi attaccati dai romani. - Raccontami come hai trovato il fuoco
fatuo - ordinò, prendendo un altro sgabello e sedendosi di
fronte alla bambina per poterla studiare meglio.
-Da un villaggio al confine con la foresta di Nudd. È stato
attaccato quattro giorni fa dagli uomini con le armature brillanti e la
Vila con gli occhi rossi- aggiunse, con un brivido al ricordo del volto
crudele e spiritato della donna.
A quelle parole Beltaine s’infiammò, balzando in piedi con un urlo furente.
- Gubitak Razuma! - esclamò, mentre le fiamme divamparono dai
suoi capelli. Lingue di fuoco amaranto schioccarono con rabbia
nell’aria di fronte a Maeve che fissava la Dea con occhi
sbarrati, sconvolti.
Beltaine incrociò lo sguardo della bambina, leggendo la fiducia
incrollabile in lei. Sapeva che la Dea della Primavera avrebbe protetto
ogni suo credente.
Si calmò, le fiamme si placarono tornando a fondersi coi suoi capelli.
- Come sei giunta fin qui? - domandò, cercando di mitigare il tono ancora leggermente irritato.
–Quando sono arrivati Deirdre mi ha detto di scappare e io sono
andata nella foresta e dopo due giorni è stato il fuoco a
trovare me. Mi ha toccato la mano e quando ho riaperto gli occhi ero
qui- si guardò la manina, come per cercare di capire se fuoco
fosse ancora lì ad avvalorare la sua storia, ma ovviamente non
ce n’era segno.
Quindi il fuoco non l’aveva portata lì per volere di
Beltaine? Cominciò a sentirsi in colpa, temendo di aver
sbagliato ad entrare in quella casa.
-Mi dispiace di aver preso le sue cose, ma ero davvero molto affamata e spaventata-
Beltaine si risedette, studiando a sua volta la mano della bambina,
dove non c’era ovviamente nessun segno visibile di quel contatto.
Contatto, però, che la Dea poteva vedere bene, grazie ai
rimasugli di magia invisibile sulle piccole dita della bambina.
Fissò di nuovo Maeve negli occhi, leggendo ancora una volta la fiducia verso di lei.
Sospirò, sentendosi ancora più stanca. Doveva liberarsi
di quella bambina il più presto possibile e fare una bella
dormita.
- Sapresti dirmi dove potrebbero essere i tuoi genitori o qualche tuo
parente? - indagò, addolcendo il tono autoritario - Ti
accompagnerò da loro -
La piccola scosse il capo. Non aveva idea di dove potesse essere
Deirdre e men che meno suo padre, partito mesi prima per la guerra e di
cui non aveva notizie. Cominciò a giocare con le dita,
torcendole come faceva sempre quand’era nervosa, mentre lo
spiegava a Beltaine.
La Dea s’incupì ascoltando le parole di Maeve. Altri
uomini mandati a morire, altre morti innocenti e bambini abbandonati a
loro stessi. Beltaine non sopportava particolarmente i bambini, coi
loro capricci e urla acute, ma amava ogni suo credente, qualsiasi
età avesse.
Osservò la bambina che, ad occhi bassi, si torceva le dita.
E ora, cosa faccio con lei? Si domandò, sentendo la stanchezza
gravarle sulle spalle. Lei non era la persona adatta per badare ad una
bambina, sia perché non sapeva come trattarla che a causa del
pericolo a cui sarebbe stata esposta dato che Beltaine passava il tempo
a combattere.
Si passò una mano davanti al viso, riflettendo.
-Potrei stare qui?- suggerì Maeve –Solo un pochino. Non
sarei di disturbo. Deirdre dice sempre che sono la bambina più
tranquilla di tutto il villaggio. Così tranquilla da sembrare
finta, dice lei- aggiunse, speranzosa –E posso fare le cose di
casa e rendermi utile. Non voglio essere di peso- concluse con molta
maturità.
Beltaine spalancò gli occhi, sconvolta.
- Oh, no - sbottò istintivamente, poi incrociò lo sguardo
della bambina - E va bene - sospirò, passandosi una mano davanti
al viso - Puoi stare fino a domani, ma non devi fare il minimo rumore
né disturbarmi in alcun modo - ordinò, alzandosi dalla
sedia- E non mangiare i miei biscotti - aggiunse, sicura che non le
avrebbe dato ascolto.
Maeve annuì contenta, pur con un’ombra di preoccupazione
sul fondo delle iridi nocciola –Sarò buonissima, promesso-
E lo sarebbe stata.
§§§
Beltaine si bloccò a metà scala, col piede sospeso in
aria. Dall’angolo opposto alla cucina scrutò di sotto, in
precario equilibrio.
La casa, in disordine a causa dell’incuria in cui verteva per
l’assenza della Dea impegnata in guerra, era stata riordinata da
cima a fondo. Un fuoco caldo e rassicurante scoppiettava nel camino di
pietra, illuminando la sala e scacciando l’oscurità della
notte che tentava d’insinuarsi dalle finestre. Vicino al camino,
avvolta da una delle tante coperte che prima erano buttate in giro per
la casa, c’era Maeve, che dormiva beatamente accoccolata sullo
spesso tappeto a motivi celtici.
Gli occhi di Beltaine s’addolcirono, mentre scendeva le scale che
portavano al piano superiore e alla sua stanza da letto.
S’avvicinò alla piccola, controllando nel contempo la
casa, mai stata così ordinata da tanto tempo. Con un sorriso le
rimboccò meglio le coperte, scuotendo poi il capo quando si rese
conto del gesto che aveva fatto.
Fortunatamente la bambina non se n’era accorta.
Lanciò un’ultima occhiata alla bambina, chiedendosi
cos’avrebbe potuto farne di lei e dicendosi che avrebbe trovato
una soluzione. Uscì di casa silenziosamente, chiamata a gran
voce dalle vittime della guerra.
§§§
Alla fine Beltaine aveva dovuto arrendersi al fatto che non avrebbe
potuto sbarazzarsi della bambina in nessun modo. Non che le dispiacesse
avere la casa in ordine anche quando non aveva voglia di sistemarla, ma
per principio non sopportava i bambini in generale.
Maeve però non era stata affatto fastidiosa come avrebbe pensato
e soprattutto non aveva più toccato i biscotti senza prima
chiederle il permesso.
Però alla ragazzina era rimasto un tarlo che non aveva ancora avuto occasione di chiarire.
Ora che erano entrate, più o meno, in confidenza poteva anche azzardarsi a chiedere.
-Sono i Fuochi Fatui ad accendere i bracieri, vero?- chiese di punto in bianco.
Beltaine, intenta a ricucire uno strappo del suo mantello causato da un
taglio di spada, alzò gli occhi e la fissò intensamente.
- Certo - rispose, sollevando la stoffa rossa e studiandola con un
cipiglio concentrato - Siete voi a chiamarli, con la vostra fede in me
- spiegò, sorridendo compiaciuta.
Si alzò, sistemandosi il mantello sulle spalle e guardandosi
intorno alla ricerca della sua spada. La vide, appoggiata allo stipite
della porta, col fodero macchiato di sangue rappreso.
- Dannati romani e dannata Ves - borbottò tra sé e sé.
-Chi è Ves?- chiese curiosa la ragazzina, alzando gli occhi
sull’arma nelle mani della dea. Si era abituata in fretta a
vedere le armi in giro, ma non altrettanto a vederle macchiate di
sangue. Dopo un po’ si era convinta che l’unico problema
che effettivamente le dava la vista degli abiti imbrattati di rosso era
il fatto che non riuscisse a far andare via il liquido dai tessuti
senza lasciare degli orrendi aloni.
Che era un po’ il motivo per cui le stava cucendo una camicia nuova per rimpiazzare una delle vecchie.
- Vesta, Dea del Focolare Romano - ribatté Beltaine con voce
atona - Nonché mia sorella - aggiunse, storcendo il naso. Tra
lei e la sorella le cose non andavano per niente bene, soprattutto
perché era il popolo di Vesta a star combattendo ed uccidendo il
suo adorato popolo dei celti.
-Quindi le divinità sono tutte imparentate?- chiese Maeve,
incerta. Non capiva come fosse possibile che una divinità
celtica potesse essere sorella di una romana.
-Beh, quasi - rispose, scollando le spalle - In verità siamo
sempre noi, ma ogni popolo ci chiama in maniera diversa e in maniera
diversa si affida a noi - spiegò, facendo una pausa per trovare
le parole giuste con cui spiegarlo alla bambina - Quasi tutte noi
divinità siamo nati in Grecia, ma ci siamo spostati man mano
verso gli insediamenti degli umani, che col tempo hanno cominciato a
chiamarci in modi diversi. E ognuno di noi ha i suoi preferiti -
indicò Maeve con un mezzo sorriso - Per me sono i celti, come
te, mentre per Vesta sono i romani - aggiunse, poi tornò seria
- Comunque solo noi “maggiori” siamo figli di Madre
Natura e di Chronos. Poi ci sono gli altri, quelli con origini diverse
dalle nostre come gli Elfi Silvani, le fate e le Villi- concluse,
incupendosi al pensiero di Razuma.
Maeve restò in silenzio riflessivo per un po’, assimilando
le informazioni con espressione cupa, prima di parlare –Quindi
lei è tua sorella, ma preferite popoli diversi? Sembra un
po’ strano- asserì.
Beltaine si riscosse, incenerendola con lo sguardo.
- Perché sarebbe strano? - indagò, infastidita. –
Per te sarebbe meglio che io preferissi i Romani e lasciassi morire
sotto le lame delle loro spade tutti i Celti? –
-Non intendevo questo- rispose Maeve, ormai abituata agli scatti della
Dea - È che da come parli sembra quasi che abbiate litigato e
non dovrebbe essere così perché siete sorelle e dovreste
stare dalla stessa parte- disse cupa –Io e Deirdre cercavamo di
non litigare mai, perché come sorelle dovevamo sempre
proteggerci e sostenerci a vicenda. Soprattutto dopo che la mamma
è morta. Litigare fa solo male qui- si toccò il petto in
corrispondenza del cuore, cercando di non pensare a quale sorte potesse
aver avuto l’amata sorella. Le aveva detto di non piangere e non
l’avrebbe fatto, ma questo non le impediva di stare male.
–Se l’avessi ancora con me non ci litigherei mai, mai
più. Nemmeno per le cose più stupide- asserì.
Beltaine distolse lo sguardo per evitare che la bambina si accorgesse
dell’espressione triste che le aveva attraversato gli occhi.
- Devo andare - sbottò con voce dura, voltandole le spalle ed avviandosi verso la porta.
Si fermò con la mano sulla maniglia, dispiaciuta di essere stata
così brusca con quella che, in fondo, era ancora una bambina.
- Non si può sempre evitare le liti - borbottò,
stringendo la maniglia con forza - Non quando nascono dalla morte di
innocenti. Sei troppo piccola per capire queste cose. Solo
un’umana mortale - sospirò - Non hai idea di quanto faccia
male -
Spalancò la porta d’ingresso, pronta a sparire dentro un fuoco fatuo.
-Anche se un taglio fa male adesso non significa che farà male
sempre- le ricordò Maeve –Però le ferite vanno
aiutate a guarire, prima che sia troppo tardi. E allora fa davvero
tanto, tanto più male - finì con un sussurro.
Beltaine non si voltò, si limitò a stringere le labbra,
ben consapevole del piccolo peso che la bambina si portava dentro.
- Lo so -
Poi sparì, avvolta dal suo fuoco amaranto, diretta verso l’ennesima battaglia.
§§§
Passò del tempo. Cinque anni, per essere precisi.
Per un’immortale come Beltaine era un battito di ciglia, ma per
Maeve era tempo della propria vita umana che le stava scivolando dalle
dita senza freno e senza obiettivo.
Nel frattempo le guerre celtiche si stavano chiudendo velocemente, la
decadenza dell’Impero Romano incalzava e il Cristianesimo
prendeva piede tra gli umani, allontanandoli dalla fede nelle
divinità che si indebolivano ogni giorno.
Fu questo, forse, a convincere Beltaine e Vesta a riconciliarsi. Ma
forse entrambe lo desideravano troppo perché questo non
accadesse.
I Secoli Bui si erano avvicinati strisciando, la gente si avviava verso un baratro di paura e incertezza mai vista prima.
Madre Natura aveva preso i suoi provvedimenti per mantenere un minimo
di equilibrio, istituendo i Custodi, creature con il compito di guidare
le nuove generazioni verso il coraggio e la fiducia. Avevano sembianze
legate alla nuova religione, quelle degli angeli.
Fu tramite Beltaine che Maeve ne venne a conoscenza e prese la sua decisione.
Anche lei voleva fare qualcosa di concreto per aiutare gli altri.
E così provò e riuscì ad entrare nel novero dei futuri Custodi.
Dovette rinunciare alla sua esistenza umana e al suo nome, ma sapeva di
aver trovato il fulcro della sua esistenza, ed era tutto ciò che
contava.
Così si aprì la sua nuova vita come Evangeline.
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