Buio e
freddo.
Filota
non sentiva, non vedeva, non percepiva nient’altro.
La sua
mente era vuota, come se una fitta nebbia l’avesse invasa all’improvviso
oscurando tutto: tutti i pensieri, le sensazioni, e persino i
ricordi.
Il
generale tentò disperatamente di rimanere lucido, di respingere il dolore e la
paura che lo invadevano a ondate; ecco, era quella la nebbia, una pallida nebbia
di terrore.
“Chi
sono gli altri?” domandò una voce, che sembrava venire da molto
lontano.
Gli
altri… I congiurati. Doveva confessare i loro nomi, ma stette in
silenzio.
Un
lampo di dolore guizzò attraverso il corpo del giovane: ormai non vedeva più
nulla, ma la sensazione era ancora peggiore. Corpi sudati intorno al suo,
fruste, coltelli, e poi quell’odore nauseabondo: il sangue, che sapeva essere
suo.
“Ti
conviene parlare” disse una seconda voce. “Se parli il dolore
finirà”
Il
dolore finirà… Era
come rivedere l’oasi di Siwa dopo l’estenuante marcia nel deserto. Era una
promessa di gioia e di pace. Filota però non tentennò, non esitò
nemmeno.
Raccolse
tutto il fiato che riuscì a trovare e si mise a ridere, di una risata soffocata,
terribile, disperata. Ma una risata vera, finalmente, dopo tanto
tempo.
“Alessandro
vuole che parli?” chiese sprezzante, con la voce spezzata dalle lunghe ore di
tortura. “Per sentirmi dovrà raggiungermi nell’Ade!”
Altro
dolore, più forte.
E
questa volta Filota urlò. Stava passando la soglia del dolore, sapeva che non
avrebbe potuto resistere a lungo. Desiderò di morire
subito.
E poi
gli venne in mente, chiara e precisa, come se la stesse vivendo per la seconda
volta, una discussione avuta con suo padre Parmenione molto tempo
prima.
“Leonida
mi dice che sei un ottimo allievo, figlio mio… Sono davvero fiero di
te”
Un
impeto di orgoglio lo scosse, e il generale si raddrizzò sul palo a cui era
legato, sopportando senza un gemito un altro colpo.
“Diventerò il più grande generale della Macedonia, padre, te
lo prometto! E in quel giorno, sì, sarai davvero fiero di
me"
“I
nomi!” gridò qualcuno dal buio. Filota non si riscosse dai suoi pensieri, anzi,
si estraniò ancora di più dalla realtà per quei brevi secondi. Era talmente
immerso nel ricordo del padre che quasi non sentiva più dolore.
“Ricorda sempre, Filota: l’importante non è quello che un
uomo fa. L’importante è quello che un uomo è"
Un sorriso simile a una smorfia si dipinse sul volto stanco
e provato del giovane macedone, in fondo poco più che un ragazzo, mentre rivoli
di sangue gli scorrevano implacabili dalle numerose
ferite.
Cosa ho fatto?