una vita sulle punte

di cold_fire
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Prologo
La musica di Yann Tiersen inonda la stanza sulle note di comptine d’un autre été – l’après-midi. E uno… e due… e tre… e quattro… e cinque… e sei… e sette… e otto… e via! Inizia la danza. La coreografia parte, le mie compagne iniziano a ballare ed io con loro. Due minuti e mezzo dopo siamo nei camerini che ci cambiamo veloci per la prossima coreografia, a soli quattro minuti di distanza. Veloci torniamo invisibili dietro le quinte e di nuovo la musica, il conto del tempo… e la danza.
Agitata come tutte prima di iniziare lo spettacolo. Sono nervosa, con la paura di sbagliare e il cuore a mille. Non so come faccio. Ormai la danza è la mia ancora di salvezza, la mia vita, la mia unica possibilità di salvarmi. Ballare per me è una cosa naturale e innaturale al tempo stesso. Naturale perché secondo me tutto era una danza, il mondo intero si muoveva a passo di danza. Innaturale perché non veniva dalla mia natura, non veniva da me, non veniva nemmeno dal mio cuore. Veniva da una stazione di controllo esterna e sconosciuta al mio cervello. Non ero io a comandare la mia danza. La musica partiva ed io ballavo, semplicemente ballavo. Era tutto così normale…
Di nuovo in attesa che l’altra coreografia inizi mi agito ma, appena la musica inizia, mi rilasso e finisco nel mio mondo, ballo e gli altri mi guardano, sto ballando, tutti sono stupiti e sul palco ci sono solo io che ballo.
La coreografia finisce proprio com’era iniziata, in un attimo. Io di solito ballo con gli occhi chiusi. Non che per cinque minuti me ne stia con gli occhi sbarrati, ovvio. Solo che a volte mi piace chiudere gli occhi per sentire il vento sulla mia pelle intanto che giro in una piroetta. Ascolto ogni singolo respiro di ogni singola persona tra il pubblico, ascolto il battito del mio cuore che non va troppo veloce, cosa naturale quando si è agitate. Non va troppo veloce perché io non sono agitata. È solo ballare. Poi in un attimo apro gli occhi e guardo. Guardo le persone (almeno cinquecento) che sono lì e che probabilmente non mi vedono ballare. Nel mio gruppo di danza classica siamo in sei, è ovvio che non guardino solo me. Non sono mai stata altezzosa, come non ho mai pensato di essere chissà quale fenomeno della danza. In mezzo ad altre cinque persone che ballano la mia stessa coreografia, mentre io ballo nel loro stesso modo è ovvio che non abbiano gli occhi solo per me. E avanti così. Inizia, finisce, inizia, finisce, inizia e finisce di nuovo. Come è complicata la danza. Ti sembra di poter ballare all’infinito ma devi per forza importi un limite. È strano… come se in una fabbrica di caramelle un adulto dice a un bambino che può fare tutto quello che vuole, ma il bambino vuole solo star seduto e aspettare che il tempo passi.
Adesso è il momento dei saluti finali. Il saggio è quasi finito. Come ci è stato spiegato a lezione iniziamo. Pliè, relevè, port de bras, jetè, jetè, gran jetè e pliè, corsetta, inchino, piroetta in sequenza, una per volta, a mo’ di canone, di nuovo inchino, spaccata, torno su, piroetta, pliè e corro via. Un'unica sequenza… come la mia vita. Dopo la morte di mia madre niente aveva più avuto un senso. Mi ricordo ancora quella sera. Avevo dodici anni…
 
 
Cari lettori, vi ringrazio di aver letto questa mia storia, e spero che vi sia piaciuta. Non preoccupatevi se magari il prologo vi sarà sembrato corto o troppo scadente… migliorerà, ve lo prometto, giuro che farò di tutto per farvi piacere la mia storia e accetterò ogni singolo consiglio abbiate in mente di darmi. Recensite in tanti e vi starò ad ascoltare con la massima attenzione.
Grazie mille e un bacione da SuperSavo <3 <3 <3

 




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