I WILL
Si fermò
un istante. La fronte corrugata in un’espressione assorta,
mentre con lo sguardo abbracciava tutta la stanza per tentare di capire se aveva
dimenticato qualcosa.
“Non
andare”
La voce
di Hermione era poco più di un sussurro, ma sembrò perforare l’aria immobile
della camera con la sua intensità.
Ron si
voltò verso di lei lentamente, strofinandosi una guancia ruvida di barba con le
dita. La strega era appoggiata allo stipite della porta, a pochi passi da lui,
ma non gli era mai sembrata così distante. Così lontana.
Si
schiarì la gola, passandosi una mano tra i capelli rossi e distogliendo lo
sguardo.
“Devo”
rispose laconicamente, piegandosi sulle ginocchia per richiudere il borsone.
Sapeva che quel momento sarebbe giunto. E sapeva che
non sarebbe stato facile per nessuno dei due.
“Perché tu? Perché ti sei offerto proprio
tu?”
Ron fissò una macchia d’umidità sul
muro al di sopra del letto. Non voleva guardarla negli
occhi. Aveva paura di leggervi la stessa sofferenza, la stessa ansia, la stessa accusa che traboccavano dalla sua
voce. Inspirò profondamente, mordendosi l’interno della guancia
nervosamente.
“Perchè
non ne hai discusso prima con me? Perché…”
La voce
di Hermione si ruppe improvvisamente, minacciando di sfociare in un doloroso
pianto. Ron vide le sue gambe avvicinarsi e fermarsi di fianco a lui. Non osava
alzare di più la testa per guardarla in viso. Sapeva che se avesse visto la sua
espressione in quel momento non sarebbe più riuscito a partire, ma per una volta
in vita sua voleva portare a termine quello che si era prefissato senza
titubanze o tentennamenti. Abbassò il capo, stringendo la fibbia del borsone
fino a farsi diventare bianche le nocche delle mani. I tendini dell’avambraccio
erano tesi sotto la pelle chiara, costellata solo da qualche lentiggine.
“Sei il
solito impulsivo, Ron. Perché ti sei offerto di tua
spontanea volontà? Perché non ti fermi a ragionare
prima di parlare? Perché devi sempre seguire l’impulso del
momento?”
“è questo
che credi?” sbottò lui con la voce così distorta dalla rabbia da risultare irriconoscibile.
Scattò in
piedi, rovesciando nella foga la sedia appena dietro di lui, che rovinò a terra
con un gran fracasso. Sentiva il cuore pompare nel suo petto a velocità doppia
rispetto al normale e un pungente bruciore salirgli alle guance per la rabbia.
Ignorò le lacrime che luccicavano negli occhi di Hermione e le voltò le spalle.
Avrebbe voluto trovare qualcosa da poter osservare fuori
dalla finestra, ma tutti i vetri erano stati da tempo sostituiti con
delle assi, per la loro sicurezza. Era claustrofobico rimanere segregati in
quella stanzina con le finestre sbarrate e le accuse di Hermione che
riecheggiavano tra le pareti spoglie. Si appoggiò con le mani chiuse a pugno
alla scrivania, curvando le spalle in avanti e inspirando
profondamente.
“Dovevo
immaginarlo…” mormorò più a sé stesso che alla ragazza
“il vecchio Ron non pensa prima di parlare. Lui agisce assecondando l’istinto.
Beh , ho una notizia per te, Hermione” continuò,
fronteggiandola direttamente “ne avevamo già parlato un po’ di tempo fa…Silente,
Lupin ed io. E anche loro si sono dichiarati d’accordo.
La riunione di questa notte non è stata altro che una formalità. Era già stato
tutto deciso”
Hermione
aprì e richiuse la bocca un paio di volte, sbattendo le
palpebre, come se fosse intontita per un brutto colpo appena ricevuto. Il suo
viso perse ancora colore, diventando di un biancore allarmante, in contrasto con il rossore degli occhi.
“Era già tutto deciso?” ripeté incredula.
“Ed io? Harry ed io non contiamo niente? La nostra opinione non conta niente?” gridò,
ormai dimentica di qualsiasi controllo. Una lacrima le rotolò sulla guancia,
subito seguita da un’altra. Si passò il dorso della mano sulla faccia tirando su
rumorosamente con le narici, pronta a lanciarsi in una delle sue proverbiali
prediche, quando il tono di voce di Ron la gelò.
“In
questo caso, no” sibilò il ragazzo, apparentemente insensibile alla reazione che
le sue parole avevano avuto su di lei. “Era una cosa che dovevo fare, Hermione.
Riesci a capirlo?” aggiunse con voce più comprensiva.
“Suppongo
di sì” rispose lei, in un sospiro pesante.
Hermione
chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Il suo petto si alzava e abbassava,
sconquassato dai singhiozzi a stento trattenuti.
Ron la
vide voltargli le spalle ed estrarre un fazzolettino bianco dalla tasca della
gonna, con cui presumibilmente si tamponò il naso.
S’inginocchiò di nuovo a esaminare il contenuto del suo esiguo bagaglio: qualche
indumento di ricambio, alcune pozioni curative, il mantello dell’invisibilità di
Harry, un libro d’incantesimi…Non serviva a nulla. Aveva già passato in rassegna
almeno una decina di volte il poco che si sarebbe portato con sé e tutte le
volte veniva assalito dai dubbi. Infilò un altro paio
di Orecchie Oblunghe di scorta, quando Hermione riprese
a parlare.
“Il fatto
è…” mormorò con voce incrinata. S’interruppe per schiarirsi la gola prima di
continuare. “Il fatto è che…ho paura”
“Anch’io ho paura” ammise lui, richiudendo il borsone con un
gesto fluido. Le mani che tremavano leggermente. Le
chiuse a pugno per arrestarne il tremore, morsicandosi il labbro inferiore. Si
rialzò in piedi e si sistemò la sacca su una spalla. Era sicuro di non aver
dimenticato niente. Se si fosse trattenuto ancora non
sarebbe più andato via.
“Ma è una cosa che devo fare” disse, ostentando una sicurezza
che non provava. “Non ti so spiegare con esattezza il perché, ma sono convinto
che questo incarico tocchi a me. Lo stesso Silente si
era offerto di prendere il mio posto, ma lui deve rimanere qui. Sono io che devo
andare. È giusto così. Durante la prima guerra era
toccato a Sirius…e ora è il mio turno.”
Hermione
non piangeva più, anche se i suoi occhi erano ancora lucidi e gonfi. Annuì,
stringendo forte le labbra. Ron le rivolse un cenno con capo, facendo per superarla quando lei lo trattenne per un braccio.
“Non
voglio che ti succeda qualcosa di brutto” disse con un filo di voce.
“Non mi
accadrà niente. Vedrai…” rispose lui, ma era cosciente di quanto quelle parole
suonassero false nella sua bocca. Non poteva
prometterglielo. Non poteva giurarle che sarebbe tornato sano e salvo.
“Pensavo
che saresti stato sempre con me…con me e Harry. Fino alla fine. Noi tre…era così che pensavo che dovesse andare”.
Una nuova
lacrima scivolò sulla sua guancia, tracciando una scia dalla palpebra fino
all’angolo della bocca. Ron appoggiò il palmo della mano sulla sua guancia per
asciugarla, guardandola abbassare le palpebre, sospirando piano e abbandonandosi
al contatto della sua mano calda sulla sua pelle umida.
“E sarà
così” mormorò “quando tutto sarà finito noi tre saremo
ancora insieme. Ce ne andremo da qualche parte a berci
una Burrobirra o qualcosa del genere”.
Accarezzò
la guancia di Hermione con il palmo e con il pollice, chiedendosi perché non lo
avesse mai fatto prima. Perché avesse dato tutto per
scontato. Perché avesse soffocato le sue emozioni per
tutto quel dannato tempo. Perché non fosse riuscito a esprimere quello che provava, malgrado la sua timidezza.
Fece scorrere la mano sul collo di lei, per poi
scendere lungo la spalla e il braccio fino a raggiungere la sua mano. La strinse
nella sua, intrecciando le sue dita con quelle di lei. Hermione riaprì gli
occhi, ricambiando la sua stretta.
“Ron,
io…”mormorò con le guance imporporate da un tenue rossore.
“Quando
torno…puoi dirmelo quando torno. Ora è meglio che mi
sbrighi” disse, conducendola fuori dalla stanza e giù
dalle scale senza lasciarle il tempo di dire altro. Raggiunse lo studio del
pianterreno davanti al quale erano raccolti i suoi fratelli, i suoi genitori, Harry e il professor Lupin.
Si lasciò
abbracciare da sua madre, singhiozzante con i capelli orribilmente acconciati
sulla testa, e strinse la mano a ognuno dei suoi
fratelli. Bill…Charlie…Fred e George…e Percy.
Poi fu il
turno di Harry.
“Non mi
sciupare il mantello”
“Quel
vecchio straccio… sarà un miracolo se non attirerà un mucchio di pulci” rispose,
mostrando un’espressione falsamente schifata. Avrebbe voluto dire qualcosa di
più divertente al suo più caro amico. Avrebbe voluto disperatamente che i
gemelli lanciassero una caccabomba, intossicando tutti i presenti, ma Fred e George rimanevano silenziosi e seri
accanto alla porta che dava nel salone. Sembrava davvero un addio. Sembrava
davvero che si stesse accingendo a fare qualcosa di pericoloso, che avrebbe
potuto strapparlo alle persone che amava.
Harry gli
strinse una spalla con una mano e Ron poté giurare di vedere per un attimo una
lacrima brillare dietro agli occhiali. Fu solo un istante
prima che si convincesse che fosse il riflesso delle candele.
Poi toccò
a Ginny salutarlo. La piccola e coraggiosa Ginny, seria e
compita nello sforzo di non piangere.
“sta’
attento” mormorò, sollevandosi sulle punte dei piedi e baciandogli una guancia.
“E tu
cerca di non fare sciocchezze mentre sono via, o quando
torno ti faccio passare io la voglia…” rispose Ron, abbandonandosi all’abbraccio
di sua sorella. Ginny annuì indietreggiando lentamente e sfoderando un sorriso
incerto. E Ron le volle ancora più bene per quello.
E poi toccò a suo padre. Arthur
Weasley era un uomo alto, ma Ron si accorse di doversi
leggermente abbassare per poterlo abbracciare. Fu un abbraccio breve e
impacciato e per questo meno straziante. Meno di quello con
sua madre che continuava a singhiozzare rumorosamente. Suo padre lo
trattenne per le spalle fissandolo negli occhi.
“Sono
orgoglioso di te” disse semplicemente e Ron avvertì qualcosa contrarsi nel suo
petto. Aveva la sensazione che la sua vita culminasse
in quel momento. Che tutta la sua esistenza fosse
cristallizzata in quel momento, in quell’attimo. Nelle parole e
nell’espressione fiera di suo padre.
Ron si
scoprì incapace di rispondere. Incapace di dire una sola parola. Si sottrasse
gentilmente dalla stretta di suo padre e si voltò verso l’ultima persona che
doveva salutare.
Hermione
spostò il peso del corpo da un piede all’altro, evitando di guadarlo
direttamente negli occhi. In una mano era imprigionato ancora il fazzoletto
umido di lacrime. Ron l’abbracciò, immergendo il viso tra i suoi capelli,
incurante degli sguardi di Harry e dei suoi genitori.
Hermione
si irrigidì un istante, prima che le sue braccia gli
circondassero il collo e la sua fronte si appoggiasse nell’incavo tra il collo e
la spalla.
“Torna
presto” mormorò la strega con un filo di voce. Ron si limitò a stringerla
maggiormente, senza rispondere. Non l’avrebbe più lasciata andare, se la voce
pacata del professor Lupin non lo avesse richiamato.
Depose un leggero bacio sulla fronte di Hermione, trattenendola con una mano
posata sulla sua nuca, prima di allontanarla da sé. I suoi occhi erano di nuovo pieni di lacrime e il suo labbro inferiore tremava
incontrollabilmente.
Harry le
circondò le spalle con un braccio e Ron lo ringraziò con un cenno del capo.
Recuperò
il borsone e lo issò sulla spalla.
“Andrà
tutto bene. Ci vediamo presto” disse a nessuno in
particolare, prima di volger loro le spalle ed entrare nello studio con il
professor Lupin.
Solo
quando la porta si fu richiusa alle sue spalle, permise all’emozione di prendere
il sopravvento. Si passò un braccio sugli occhi, contento che fosse proprio
Lupin ad assisterlo. Il mago aspettò che avesse riacquistato completamente la
calma prima di dargli le ultime istruzioni.
“Cambia
nascondiglio frequentemente. Cerca
di evitare luoghi troppo affollati, dove potrebbero riconoscerti. E non abbassare mai la guardia. Ti daranno la caccia giorno e
notte. Non ti fidare di nessuno e non rivelare mai la tua vera
identità”
“So cosa
devo fare” lo interruppe Ron in fretta.
Lupin
annuì pacatamente, estraendo la bacchetta dalla cintura.
“E ricorda che puoi contare sul nostro aiuto in qualsiasi
momento” aggiunse il mago.
Ron prese
una manciata di polvere volante e s’infilò nel camino.
La stanza era immersa nel silenzio. Anche le voci e i
rumori dal corridoio si erano spenti. Probabilmente Harry aveva convinto gli
altri a seguirlo in cucina. Era meglio così. Non avrebbe sopportato di sentire
ancora i singhiozzi di sua madre e di Hermione. Non era mica
morto, per la barba di Merlino! Non era il suo
funerale…stava solo andando via per qualche tempo.
“Sei
stato molto coraggioso a diventare il Custode Segreto del quartier generale
dell’Ordine della Fenice. Molte vite dipendono dalla tua” aggiunse Lupin “Siamo tutti molto
orgogliosi di te. E ora vai…penserò io a cancellare le
tracce della tua destinazione”
Ron
lanciò un po’ di polvere volante pronunciando il nome del luogo dove sarebbe
apparso. Da lì avrebbe cambiato ancora e ancora, senza mai fermarsi.
Inseguito , come aveva detto Lupin, giorno e notte.
Braccato.
Ma era giusto così.
Anche lui
aveva trovato la sua collocazione nella grande partita
che si stava giocando. Ron Weasley si era offerto come Custode Segreto per il
quartier generale dell’Ordine…il luogo che dava rifugio a tutti coloro che si opponevano al potere di Lord Voldemort. Molte
vite dipendevano dalla sua. Il suo
compito era non morire…e tornare. Tornare dalla sua famiglia. Tornare dai suoi
amici. E tornare da lei, da colei a cui non era riuscito a
dire addio, ma nemmeno arrivederci. Dalla sua Hermione.