Incontro…
Un mio primo esperimento di Song
fic…è la breve storia di un incontro tra due nostre conoscenze dopo la
battaglia crudele tra bene e male, dopo che non si erano più visti per troppo
tempo, raccontata attraverso le parole di una canzone di Guccini che forse in
pochi conosceranno ma che si presta a descrivere questo ipotetico futuro di due
anime che probabilmente erano da sempre destinate a perdersi dalla prima volta
che i loro occhi di bambini si erano incontrati sul rosso e sfavillante
espresso di Hogwarts…
A Londra era una delle solite
gelide serate nebbiose, nelle quali le persone, snob o meno, non riuscivano
materialmente a guardare al di là del proprio naso…
Era una giornata di Gennaio,
precisamente il 9, giorno di compleanno di Hermione…Harry camminava sconsolato
per i dedali della metropolitana babbana e pensava alla sua amica che non
vedeva da un tempro imprecisato, dieci anni, forse di più, da quando Voldemort
aveva finalmente liberato il mondo dalla sua presenza indegna…non avrebbe mai
pensato che sarebbe potuto capitare, ma dopo averlo ucciso era stato come se si
fosse svuotato, nulla di umano era più rimasto in lui, nulla del vecchio Harry,
nemmeno l’ombra di quello che era stato e che non sarebbe tornato mai…e così,
dopo aver visto il suo eterno nemico, la sua nemesi, il suo opposto, colui che
non voleva ma che si stava avvicinando ad essere, cadere al suolo esanime sotto
il colpo di un suo incantesimo, si smaterializzò e scomparì per sempre dalle
vite dei suoi più cari amici, con l’idea di non farne più ritorno…
Quel giorno però, quella triste
serata di un mese di gennaio uguale a tanti altri, lui aveva fatto ritorno a
Londra, un po’ per bisogno, un po’ perché non pensava assolutamente che nelle
esatte ventiquattro ore che avrebbe trascorso nella sua città natale avrebbe
rincontrato i suoi vecchi amici di sempre…
Ma il destino quando vuole è
crudele, o forse solo molto molto intricato e quel giorno, il nove gennaio di
molti anni dopo il loro ultimo incontro, mentre scendeva le scale di una ormai
logora metropolitana scorse qualcuno, qualcuno che tra le tante facce riusciva
a riconoscere…
E correndo mi incontrò lungo le
scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei,
la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante "deja vu", ombra della gioventù, ci circondava la
nebbia...
Già, la cara e vecchia Hermione, dimentica ormai dei tempi
di sofferenza ed incomprensione che le aveva fatto passare la scomparsa di
quell’amico che forse più di Ron significava tutto per lei, appena lo vide gli
si precipitò incontro, le lacrime che scorrevano libere sulle guance, sul viso
un sorriso spento dipinto nei suoi occhi castani che esprimevano nei tempi bui
speranza e conforto e che ormai facevano trasparire solo tristezza…
Quella tristezza che come il miele più amaro e pesante li
avvolse quasi a voler fermare quel momento, quasi a voler dire “Basta, stare
lontani non serve più a nulla, non fatevi uccidere, per orgoglio, dalla
solitudine”…
…ma il sole stava già calando all’orizzonte di quella
giornata vacua, identica a tante altre, colorando con un rosso sanguigno la
città che mille volte avevano percorso insieme e che solo in quell’istante
mostrava a loro quanto fosse straniera, quanto in realtà non ne conoscessero
nemmeno una minima parte, come d’altronde
non comprendevano i loro sentimenti, la loro fine, il loro destino e il
motivo dell’inizio di quell’amicizia che inevitabilmente si sarebbe spenta…
Fu come un deja vu, quell’abbraccio, ricordò a entrambi
cos’erano stati nel passato, cosa avrebbero voluto essere, cosa era ormai
irraggiungibile per loro, ma era tutto nelle loro menti, era tutto il desiderio
sfocato di qualcosa che era precluso, lontano, inavvicinabile….era la nebbia
che, cinica, li avvolgeva con i suoi fumi incantatori, per irretire i loro
sensi e far volare i loro cuori in una dimensione che non osavano nemmeno
percepire nel breve momento che si mostrava loro tra l’umido battere delle
ciglia e il sospiro di un cuore abbandonato, che per troppo tempo aveva
sanguinato senza sosta…
Auto ferme ci guardavano in silenzio,
vecchi muri proponevan nuovi eroi,
dieci anni da narrare l'uno all' altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
"Cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via".
E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia...
E poi nelle perdute strade di quella città così vuota si
trovarono a camminare fianco a fianco, in silenzio…
Le auto ferme li osservavano mute con sguardi severi ed
accusatori, mentre i muri alti e grigi e freddi, con la loro severa imponenza e
la loro crudele potenza li chiudevano come fossero in una prigione, mentre gli
occhi degli eroi delle nuove generazioni, come le auto abbandonate, li
guardavano con biasimo…con sdegno…lui per la sua vigliaccheria, per la sua fuga
senza senso, lei per la sua indecisione, per la sua poca
determinazione…entrambi perché non ammettevano quello che realmente provavano…
Ridicoli i tentativi di parola…aprivano in gesti semplici le
labbra per articolare quelle casualistiche frasi solite della fredda formalità
tipica dell’incontro di due estranei
“Allora, cosa fai adesso?” domandò lei con voce ipocrita,
mentre l’essenza della sua anima stracciata gridava il suo dolore, represso da
troppo per essere ancora provato ‘Perché mi hai abbandonato, perché te ne sei
andato? Cosa ti abbiamo fatto, guardami ora e prova a mentirmi di nuovo se ci
riesci, ascolterò le tue parole fino a farmi sanguinare le orecchie per colpa
della menzogna’.
Nessuna risposta…forse lui si accorgeva dell’urlo tacito
delle sue stanche membra e voleva solo farla finita con quella farsa, ma la
parola fine sembrava essersi persa nei meandri delle sue corde vocali
dimenticate dall’alba dei tempi nuovi che gli avevano portato via
l’identità…così lei continuava imperterrita quel suo discorso effimero, mentre
ad ogni suo fiato il cuore dell’amico ne riceveva una pugnalata sempre più
profonda, sempre più lacerante…
“Ti ricordi Hogwarts vero? Quanto mi manca…non siamo più
quelli che…oh non importa…sai ti ho scritto, un anno fa, quando Silente mi ha
detto che eri ancora via”…
Lettere vuote, senza senso, perse nel brutale vento della
follia che tutto cancella, che niente vuole salvare…
Ma nulla cambiò quel suo ridicolo atteggiamento di chi non
vuol vedere l’evidenza, nulla la fece desistere dal suo tentativo di
comportarsi come se niente fosse successo e la sera dopo, la sera di un giorno
opaco, di un giorno cancellato, lui cenò a casa sua…
L’atmosfera era asettica mentre lui sfoggiava quel suo
perbenista atteggiamento cortese derivato dagli esasperati tentativi di lei di
non far salire in superficie ciò che avrebbe mostrato i segni della sconfitta
che avevano dovuto affrontare, nonostante tutto, nonostante il male fosse stato
debellato per sempre da quel mondo che per molti era tornato ad essere tanto
bello…con una flemma velata Hermione apparecchiò un piccolo tavolo rotondo,
mentre le stoviglie che si assestavano tintinnando sul tavolo si tingevano
improvvisamente di un colore misto nostalgia e malinconia.
E le frasi, quasi fossimo due
vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i
suoi.
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste...
E ancora quella volta, come fosse ormai un rituale troppo
rischioso da interrompere, i loro discorsi vuoti, senza senso, rincorrevano i
tempi passati, rincorrevano le loro avventure a scuola, i loro ricordi che
sempre più cercavano di farsi dimenticare, testardi e sordi ai richiami di lei,
troppo attenta a perdersi in inutili
minuzie per notare che, se il corpo di Harry era lì, la sua mente vagava
errante nei pensieri tortuosi che i suoi astratti discorsi facevano nascere in
una mente troppo provata dalla solitudine e dal vuoto…
Il suo sguardo vagava per le pareti della casa, osservando
scrupoloso gli specchi, i quadri, i soprammobili e per la prima volta comprese,
comprese perché lei non voleva
lasciarsi scappare quell’attimo di vita che sembrava ricomparire
sorgendo da uno squarcio buio nel terreno…Comprese la sua solitudine, la sua
tristezza, comprese quanto potesse essere vuota la sua esistenza dopo aver
perso chi l’amava, dopo aver perso tutto…comprese le angosce di un corpo
solitario abbandonato persino dalla propria anima…solo carne, solo ossa…non più
le pulsazioni dell’essenza del suo essere…
Comprese come poteva sentirsi dopo che tutte le loro
speranze, dopo che tutte le loro illusioni sul futuro erano crollate con il
solo soffio di una brezza di marzo con la quale lui si era smaterializzato da
quel luogo di infami e puri che sanguinavano sporcando lo stesso terreno
immacolato…
Come lui si sentiva diversa, strana, cambiata, vedeva tutto
ciò che negli ultimi anni prima della battaglia finale aveva tormentato i suoi
sogni: morte, distruzione, devastazione, fiumi di sangue, valli di lacrime,
gridi acuti di disperazione e di arresa che salivano al cielo saturandolo di
angosce e paure…capiva finalmente come lei aveva reagito nel vedere trasformare
la loro America tanto agognata in un supplizio di anime e corpi sfigurati
dall’odio dei buoni e dei malvagi, il loro paradiso che mano a mano si
allontanava nella via con un cenno lento e traditore della mano…
Carte e vento volan via nella
stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri film:
come in un libro scritto male, lui s' era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo
saluto...
Nonostante tutto, nonostante le comprensioni, nonostante le
ferite ancora aperte, nonostante le parole che volevano esplodere dalle loro
bocche ma che morivano nei loro cuori spenti da troppo tempo, nonostante
l’amore, il giorno seguente lei lo accompagnò alla stazione, aveva capito che
non avrebbe potuto fermarlo, che sarebbe andato via lo stesso, ma quella volta
voleva dargli l’addio, forse quel piccolo gesto cerimoniale le avrebbe permesso
di rinascere…
Ma, mentre le carte abbandonate volavano scrosciando mosse
dal vento, sul grigio pavimento della stazione, mentre le mille luci dei
lampioni e delle insegne sembravano splendere esclusivamente per loro, fiumi di
sensazioni inconsulte scapparono sfuggevoli dalle labbra di lei, parlò,
sinceramente, come non era riuscita mai a fare in quei pochi giorni in cui si
erano visti ed in breve gli vomitò addosso tutto quello che non aveva avuto nemmeno
il coraggio di pensare, in precedenza…
La sua tristezza, il vuoto dentro di lei, le sue paure…lo
assordò, lo fece sanguinare, lo trafisse mentre gli raccontava cosa aveva
provato e cosa provava tutt’ora per la morte di Ron, che gli riassunse in poche
frasi…
Mentre l’ascoltava Harry si trovò a pensare quanto quella
situazione fosse simile a tanti film babbani, o solo a tanti libri scritti
male: il suo vecchio amico, colui che per primo gli aveva offerto una nuova
famiglia, il Natale di due anni successivi alla sua scomparsa si era ucciso con
una pozione dal nome sconosciuto, troppo provato dalle morti di quasi tutti
quelli che nella sua vita aveva amato: la piccola Gin, i forti ed affidabili
Bille Charlie, gli allegri gemelli, gli onnipresenti genitori, il traditore
Percy, coronate, dulcis in fundo, dalla scomparsa di colui che forse avrebbe
potuto consolarlo, aiutarlo a continuare a vivere, lui…
E tutti se n’erano andati per colpa di Voldemort…
E lui non poteva più vendicarli…
Era troppo…
Veramente troppo…
Ma niente di tutto ciò riusciva a colpirlo, il racconto era
talmente oscuro che si confondeva, che veniva assorbito dal buio prima che
potesse toccare la parte ancora sensibile del suo spirito fragile e la
compativa, compativa il suo assurdo tentativo di narrare tutto in poche frasi,
in quegli ultimi disperati cinque minuti, mentre a lui era sufficiente un solo
saluto per spiegare cos’era stato in tutti quegli anni di separazione…
E pensavo dondolato dal vagone
"cara amica il tempo prende il tempo dà...
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo
sa...
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli
pieno..."
E così poco dopo il moro, dondolato dai bruschi movimenti
del vagone in corsa ripensava a quegli inutili giorni trascorsi a rivangare un
passato che non gli apparteneva più, che aveva dovuto rinnegare per continuare
a vivere, che aveva quasi dimenticato…
Ma le sue riflessioni in un modo o nell’altro riguardavano
sempre Hermione, la cara vecchia Hermione che probabilmente ancora si trovava
sugli alti gradini della stazione a piangere lacrime non viste per l’occasione
persa, per la fine di tutto quello che aveva ancora sperato di recuperare e che
lui le aveva sottratto di nuovo…
Ma non poteva fare altrimenti, non sarebbe sopravvissuto nel
suo passato, i ricordi, i vecchi e nostalgici episodi dell’antica routine lo
avrebbero a poco a poco cancellato fino a farlo scomparire nel vuoto del suo
corpo freddo e rigido…
E così, le uniche parole che continuavano a ricomparirgli
iridescenti sulle palpebre dei suoi verdi occhi socchiusi erano, "Cara
amica il tempo prende il tempo dà...noi corriamo sempre in una direzione, ma
qual sia e che senso abbia chi lo sa?...restano i sogni senza tempo, le
impressioni di un momento,le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli
pieno..."
Si, perché era quella l’unica verità: loro avrebbero
continuato la solitaria ricerca della pace eterna che forse non avrebbero mai
trovato, correndo sempre la stessa direzione sconosciuta tastando il terreno
umido con mani insicure poste come guida dei loro occhi ormai cechi alla vita,
senza rendersi conto che non aveva nessun senso quello che stavano facendo…
Senza rendersi conto che quello che contava erano i sogni
senza tempo, che non sarebbero mai morti nelle loro speranze ormai arrese, le
impressioni che l’attimo creava nelle loro menti confuse e invecchiate
dall’odio e dalla solitudine, le luci nel buio di case intraviste da un treno,
come stessero ad indicare che esiste ancora qualcosa da qualche parte, anche se
non riesci a scorgerlo, per cui vale la pena vivere…
Forse nemmeno lei, come lui, si sarebbe mai accorta che non
erano presenze eterne, che presto sarebbero scomparse perennemente dalla terra,
senza lasciare il segno del loro passaggio che, nonostante tutto, aveva fatto
tanto poco per quel loro mondo che aveva ancora molta strada da fare, poiché
una volta andati sarebbero rimaste solo frasi vuote, senza corpo, senza
riferimento, nella testa di chi ancora aveva un leggero tremito al sentir
sussurrare i loro nomi ormai così insignificanti per tutti…
Sarebbe rimasto solo un cuore, spezzato, sanguinante,
ferito, pulsante, lacerato, pieno dei simboli di un amore che non aveva mai
avuto la possibilità di esprimersi perché oppresso dalle dolci tentazioni del
male che offriva molte più semplici soluzioni di un qualcosa per cui avrebbero
dovuto lottare, di un qualcosa che non può avere definizione perché non è mai
nato…
Spero vi sia piaciuto, anche se mi rendo conto che può
suonare un po’ oscuro ed incomprensibile, poiché totalmente slegato da
qualsiasi storia…ma se avete letto bene la mia descrizione sapete che...Potrebbe essere l’inizio di una storia…Potrebbe esserne la
fine…Potrebbe essere un semplice incontro…e potrebbe dipendere semplicemente da
voi…
Commentate…
Summer9!