Dizziness

di Naima Dahmer
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Questa storia partecipa alla Fluff Week di All you can write – un’iniziativa del gruppo Sclero Stony.
Key words:  Panico, Insopportabile, Proibito.
Location: Seggiovia
Citazione: « L'ultima volta che sono entrato in una donna fu quando ho visitato la statua della Libertà.» (Woody Allen)
 
 
 
 
 
 

Dizziness

 
 
 
 
Quando gli avevano proposto quella sorta di vacanza, Steve non se l’era fatto ripetere due volte. In primis perché adorava l’Italia, era stato di stanza al JFC  di Napoli per sei mesi, ed aveva un bel ricordo di quel periodo. Inoltre aveva messo un po’ di soldi da parte proprio per una vacanza in grande stile, una di quelle che da ragazzino non avrebbe mai potuto permettersi.
 
Quindi, quando Bucky, il suo migliore amico, gli aveva mostrato delle foto suggestive di Vipiteno - comune italiano in provincia di Bolzano - lui gli aveva automaticamente confermato la sua presenza. Aveva letto da qualche parte che quello fosse uno dei borghi più belli d’Italia, un posto tranquillo, un luogo dove potersi rilassare e stare lontano dal chiasso caotico delle grandi città.
 
Erano partiti da New York in sei ed avevano prenotato tre suite doppie al Wipptalerof, visto che si trattava dell’Hotel più vicino al comprensorio sciistico di Montecavallo. Peccato che avessero scelto il mese di Giugno per visitare il borgo, quindi non vi era molta possibilità di sciare, a meno che non si fossero spostati in Austria fino allo Stubaier, a quarantacinque minuti da Innsbruck.
 
A Steve non importava, in ogni caso. Il clima era perfetto, la gente gentile, il luogo caratteristico, ed in più potevano fare trekking senza problemi sui monti circostanti, rifugiandosi in una delle baite quando erano troppo stanchi ed affamati. Insomma, gli sembrava un sogno, e se avesse avuto qualcuno di importante con cui condividerlo sarebbe stato anche meglio.
 
C’era Peggy Carter, che al college era stata la sua fidanzata, ma poi con il tempo aveva capito che le voleva un gran bene, ma che i suoi gusti sessuali protendevano verso il genere maschile. Era stato duro ammetterlo, e quando lo aveva confessato a lei si era stupito della comprensione con cui aveva accettato la cosa e lo aveva tranquillizzato, da quel momento era diventata la sua migliore amica in assoluto.
 
Oltre Peggy si erano uniti a loro anche Sam Wilson, Frank Castle – che lui non avrebbe mai invitato, perché tollerava poco – e Sharon Carter, la cugina più giovane della brunetta. Insomma, erano un bel gruppetto compatto.
 
La vacanza procedeva benissimo, ed era quasi felice della calma piatta che aleggiava su di loro. Sarebbe ritornato a casa sereno e rilassato, perché quel posto era l’emblema della tranquillità, non sarebbe successo nulla di eclatante, proprio quello che desiderava per rimettersi in forma.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
«Andiamo, Steve, non puoi essere così cagasotto!»
 
Peggy Carter, capelli legati in una coda, pantaloncini, t-shirt chiara e scarponcini se ne stava in piedi e lo guardava come se fosse stato un bambino capriccioso. Era da più di mezz’ora che Steve non si schiodava da quel masso, molto combattuto su cosa fare.
 
Avevano percorso tutto Montecavallo a piedi, zigzagando tra i sentieri ripidi e pieni di sassi, insetti e ciottoli. Una volta lì Sharon si era lamentata per una storta alla caviglia e Sam e Frank si erano offerti di riaccompagnarla giù, prendendo la seggiovia per scendere.
 
«Vi ricordo che qui all’una chiudono, ed io non ho intenzione di farmi tutta la discesa rotolando, quindi conviene muoverci.» Sbuffò Bucky, più spazientito della ragazza, aggiustandosi lo zaino in spalla. Lanciò un’occhiata alla seggiovia e guardò l’orologio che aveva sul polso, rendendosi contro che mancavano solo venti minuti alla chiusura, poi avrebbero dovuto aspettare fino alle sedici prima di poter tornare a valle.
 
«Possiamo mangiare qui, c’è una baita a qualche chilometro.» Suggerì Steve che proprio non aveva intenzione di restare sospeso in aria per cinque o dieci minuti, sorretto solo da un filo di metallo. Non soffriva sempre di vertigini, ma in quei casi l’ansia ed il panico lo attanagliavano. Strano per uno che non aveva problemi a prendere un aereo.
 
«Ma dobbiamo scendere a vedere come sta Sharon, in più avevamo deciso di andare ad Innsbruck nel primo pomeriggio.» Gli ricordò un’esasperata Peggy, lanciandogli un’occhiataccia. Non ne poteva più di stare lì senza far nulla, tanto sembrava che Steve non avesse intenzione di collaborare.
 
«Sapete che non prendo la seggiovia, non riesco proprio a sopportare il fatto che il mio corpo sia sorretto solo da un filo. Potrebbe spezzarsi e-»
 
Bucky lo bloccò con un gestaccio, portandosi una mano all’inguine e stringendo i gioielli di famiglia in un gesto scaramantico – avere una nonna italiana aveva influito molto sulla sua educazione, tutto sommato. Poi afferrò Peggy per un braccio e la trascinò verso la seggiovia, borbottando un insulto poco fine.
 
«Noi andiamo, vedi un po’ come vuoi fare! Voglio vedere se non muovi il culo.»Precisò poi, attraversando le transenne che lo separavano dai sedili in movimento, sospesi nell’aria. Subito dopo, prima che Peggy potesse contestare, si ritrovarono seduti su quell’aggeggio e sparirono lentamente dalla vista.
 
Il biondo aveva osservato la scena quasi sconvolto, mettendosi in piedi ma non muovendosi comunque da lì. Era tipico di Bucky compiere un gesto bastardo solo per fargli superare i suoi blocchi, lo aveva fatto spesso nel corso degli anni e lui aveva imparato ad interpretare gli insulti come parole per spronarlo e le azioni stronze come gesti di affetto.
 
Vide anche l’addetto alla seggiovia sedersi e scendere giù, segno che il sistema di risalita si sarebbe bloccato di lì a poco, riprendendo l’attività solo nel pomeriggio. Non poté fare a meno di bestemmiare, ovviamente, perché non aveva voglia di farsi tutta la discesa a piedi, da solo, e non aveva nemmeno voglia di salire su quell’aggeggio malefico.
 
Il movimento era ipnotizzante e costante, c’erano solo due funi metalliche a tenere sospesi quei cavolo di sedili che rassomigliavano quasi alle panchine di un parco. Non gli davano per nulla fiducia, insomma, durante il corso della sua esistenza non vi era salito nemmeno una volta.
 
Prima che potesse decidersi vide un ragazzo moro correre a perdifiato verso l’impianto, come se stesse perdendo un treno, e lo sentì imprecare come un camionista e lamentarsi dei suoi amici – non ne capì il motivo, non era specificato. A quel punto, senza pensarci, decise che era meglio avere qualcuno accanto per la sua prima discesa, quindi lo raggiunse senza troppa fatica.
 
Saltarono su entrambi, con il fiatone, e si resero conto di essere riusciti a prendere la stessa seggiovia solo quando calarono all’unisono la struttura metallica di sicurezza che gli avrebbe impedito di cadere, in caso si fossero sporti. Sembrava di essere sulle montagne russe, con la differenza che erano sospesi per aria.
 
«Che cazzo, non avrei mai fatto la discesa a piedi.» Grugnì il ragazzo moro, rilassandosi contro lo schienale e prendendo un sospiro di sollievo. Parve ricordarsi solo dopo del suo vicino di sedia, quindi voltò il capo e corrugò appena la fronte.
 
Steve lo stava fissando con curiosità, poiché parlavano la stessa lingua ed avevano pressoché lo stesso accento. Quel ragazzo aveva capelli scurissimi e lucidi, acconciati alla perfezione, come se non avesse mai corso, sul volto ad incorniciare delle belle labbra vi era un  pizzetto perfettamente curato. Lineamenti armoniosi ed occhi grandi, del colore del miele e delle nocciole, alla luce del sole sembravano quasi d’ambra.
 
Lo vide sfilarsi lo zaino che teneva in spalla e poggiarlo tra un fianco ed il bordo della seggiovia, così che non potesse cadere e farsi un bel volo. Poi ritornò a dedicargli la sua attenzione, con un mezzo sorriso.
 
«Shonen tag, ja?» Gli chiese in un tedesco un po’ maccheronico, continuando a tenere sempre la stessa espressione stampata in viso. E Steve si chiese come mai gli stesse parlando in quel modo, visto che era americano. Probabilmente lo aveva scambiato per un austriaco o un tedesco, di americani non se ne vedevano molti da quelle parti.
 
«Ja, ein sehr schoner tag.» Rispose quindi, per divertirsi un po’ e capire quanto ci avrebbe messo quello a scoprire che erano compatrioti. In fondo doveva pure far qualcosa, non poteva assolutamente guardarsi intorno o lanciare un’occhiata in basso, sarebbe morto di paura.
 
«Sei americano? Sei il primo che becco qui su. Scusa, eh, è che sei biondo ed hai gli occhi chiari, ti avevo scambiato per un austriaco.» E il gioco finì lì, era stato scoperto subito. Tanto meglio, di parole in tedesco ne conosceva davvero pochissime ed il suo accento non era dei migliori.
 
«Sono in vacanza con degli amici.» Spiegò il biondo, accennando un sorriso, un po’ teso nel sentire il vento fresco colpirgli il viso. Era più che sicuro fossero molto distanti da terra, in quel momento, e non vedeva l’ora di poter scendere da lì e tornare a valle.
 
«Anche io. Mi hanno fatto uno scherzo e sono scesi a valle senza dirmi niente, eravamo venuti a fare colazione in baita.» Spiegò il ragazzo, allungando una mano in modo cortese, per presentarsi. «Sono Tony.»
 
«Steve.» L’altro gli strinse la mano, lasciandola andare subito dopo per aggrapparsi alla struttura, neanche la stesse tenendo sospesa lui quella cavolo di seggiovia. Deglutì, perché nel movimento i suoi occhi avevano guardato in basso e gli alberi gli erano sembrati davvero piccolissimi.
 
«Soffri di vertigini? Beh, ti sei scelto proprio un bel posto per le vacanze.» Lo prese in giro quel Tony, accennando una risata e scuotendo la testa quasi a compatirlo. Steve fu un po’ offeso da quel gesto e corrugò la fronte, ritornando a guardarlo.
 
Non poté fare a meno di pensare che quel ragazzo, nonostante i suoi modi, fosse davvero molto carino. Buttò un occhio al suo corpo e scoprì che era in forma quasi quanto il suo, con l’unica differenza che l’altro era più minuto.
 
«E’ la prima volta che prendo una seggiovia.» Ammise, tanto per non far cadere la conversazione. Mancavano cinque o sei minuti alla discesa e non voleva passarli tra un silenzio imbarazzante ed un’occhiata di sfuggita.
 
«Io in inverno vado a sciare in Austria o Svizzera, sono abituato a seggiovie, funivie e skilift.» Spiegò il moro, lanciando un’occhiata al cielo sereno e ritornando subito dopo a guardarlo. «Dov’è che vivi?»
 
«Brooklyn. Tu?»
 
«Manhattan, Midtown.»
 
Era buffo, abitavano entrambi a New York, non molto lontani l’uno dall’altro, ma non si erano mai neanche incrociati. Buffo ed anche normale, probabilmente, visto che la capitale del mondo era parecchio popolata ed era raro che per strada qualcuno potesse saltarti all’occhio. Erano tutte formichine operose in un grande alveare.
 
«Bene.» Mormorò Steve, non sapendo cosa altro dire. Non era mai stato bravo in quel tipo di approccio e gli sembrava invadente fargli un interrogatorio, anche perché quello non sembrava del tutto intenzionato ad intrattenere una conversazione, nonostante fosse stato il primo a parlare.
 
Fece spallucce e sbuffò piano, fissandosi le mani ed aspettando di arrivare a terra. Si chiedeva se Peggy e Bucky almeno si fossero fermati ad aspettarlo, non aveva voglia di ritornare in albergo da solo. Prima che potesse anche solo formulare un altro pensiero, però, la seggiovia si bloccò di colpo facendoli dondolare in modo inquietante.
 
Lui si irrigidì, tesissimo, e sgranò gli occhi guardando in alto e chiedendosi se la struttura non fosse fuori binario e se qualche cavo si fosse sganciato. Strinse il palo metallico che gli stava di fronte e si girò a guardare il ragazzo di Manhattan che fissava il Rolex che aveva al polso in modo preoccupante.
 
«Che succede?» Domandò, cercando di non mostrare quanto in realtà il panico si stesse impossessando del suo corpo.
 
«Ho paura che si siano dimenticati di noi.» Disse l’altro, passandosi una mano tra i capelli e farfugliando un insulto fra i denti. «Probabilmente il simpatico omino della seggiovia che è sceso prima di noi non si è accorto di nulla. Sono l’una e quindici e, checché se ne dica, questi tirolesi del cazzo sono molto precisi. Avranno spento tutto per andare a mangiare.» Spiegò, con stizza, iniziando a frugare nello zaino alla ricerca di qualcosa.
 
Steve sperò di aver capito male, ci sperò con tutto il cuore. Così iniziò a guardarsi intorno e decise che no, non sarebbe stato saggio fare un volo di trenta metri solo per scendere da quell’aggeggio malefico. Prese due grosse boccate d’aria, avvertendo i sintomi di un imminente attacco di panico.
 
«Speriamo che- oh cazzo, ti sembra il momento di farti venire un attacco di panico?!» Esclamò Tony, non appena incrociò il suo sguardo e vide che faceva fatica a respirare. Dalla borsa estrasse uno strano palmare e quella cosa tranquillizzò solo per un attimo l’altro. «Merda, nessun segnale.»
 
Quindi il biondo sbatté due volte le palpebre, cercando di riprendere il controllo del suo corpo, con scarso successo. «Cazzo! Cazzocazzocazzo cazzo!» Esclamò, con voce stridula. «Chi è il coglione che ha progettato quel coso che hai in mano?! Mio Dio, moriremo… moriremo qui sopra.» Iniziò a vaneggiare, guardandosi intorno a scatti e facendo dondolare la seggiovia.
 
«Sono io, quel coglione, e non è colpa mia se questi tirolesi del cazzo comunicano ancora utilizzando i piccioni viaggiatori.» Ringhiò il moro, riponendo nervoso il palmare e chiudendo lo zaino. Era evidente che lo stato d’ansia dell’altro metteva in difficoltà anche lui. «Non farla tragica, biondo, dobbiamo solo aspettare che la seg-»
 
«Non farla tragica?!» Lo interruppe Steve, con un acuto degno di nota, agitandosi sempre più. «Siamo bloccati su questa cazzo di seggiovia, sospesi a trenta metri d’altezza, e tu mi dici di non farla tragica?! Cristo!» E sì, era davvero molto alterato.
 
«Proprio a me doveva capitare questo coglione?» Ringhiò Tony, rivolto a se stesso. «Non potevi sceglierti un altro posto a sedere? Sei insopportabile, cazzo!» Urlò, zittendolo con un gesto della mano prima che potesse ribattere. Gli bloccò la bocca con il palmo, attutendo i suoi isterismi e lanciandogli un’occhiataccia. «E fortuna che è estate, avresti provocato una valanga urlando in questo modo.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mezz’ora dopo, la situazione non era cambiata ed il palmare di Tony non dava segni di vita. Steve era in ansia, ma fortunatamente il battibecco con l’altro lo aveva distratto tanto da interrompere l’attacco di panico sul nascere.  Avevano continuato ad insultarsi a vicenda, finché non avevano raggiunto una tregua.
 
Il moro si era messo a giocare con il suo aggeggio elettronico, ignorandolo volutamente. Steve nel mentre si era ripromesso di prendere a calci in culo Bucky e Peggy, perché nella loro fuga la mora aveva portato via anche il suo zaino e quindi non aveva con sé il cellulare. In quel momento erano fuori dal mondo e la cosa non era rassicurante, per niente.
 
«Smettila di giocare, lo scarichi.» Ordinò quindi al suo compagno di sventura, colpendolo con una spallata per ottenere un minimo di attenzione. In verità si stava annoiando a morte e la cosa non faceva che accrescere la sua ansia.
 
«Dammi un’altra spallata e ti butto di sotto.» Disse aspramente il ragazzo, innervosito dal suo comportamento assurdo. Capiva che potesse soffrire di attacchi di panico, ma non c’era bisogno di diventare aggressivo e  rendere la loro permanenza su quella dannata seggiovia un inferno. «Sei insopportabile.»
 
Steve sbuffò ed incrociò le braccia al petto, lanciando di nuovo un’occhiata in basso e scuotendo la testa. Non avrebbe mai più accettato di andare in vacanza con i suoi amici, lo avevano lasciato da solo in quella situazione, sperava vivamente si stessero dannando in quel momento. Magari il panico sarebbe venuto anche a loro, non vedendolo mai arrivare.
 
Tony sospirò e ripose il palmare nello zaino, tirando fuori una barretta energetica e porgendola al biondo, quasi in malo modo, sperando che il cibo lo zittisse in qualche modo. Altrimenti, se nemmeno quello avrebbe funzionato, aveva già in mente un altro paio di modi per metterlo a tacere, più invasivi e meno gentili.
 
Il biondo accettò, borbottando qualcosa sul fatto che i suoi amici fossero degli stronzi incoscienti, iniziando a scartare la barretta. Aveva fame, molta fame, quella mattina non aveva fatto nemmeno una colazione decente per seguire gli altri nella scalata mattutina.
 
«Tu non mangi?» Gli domandò, quindi, vedendo che riponeva lo zaino.
 
«Ne ho una sola.» Spiegò il moro, facendo spallucce ed incrociando il suo sguardo.
 
A quel punto, Steve si sentì quasi in colpa e lo guardò per un lungo minuto, trovando il suo davvero uno dei gesti più carini di sempre. Poi spezzò la barretta a metà e gliene porse un pezzo, accennando un sorriso sincero e delle scuse mormorate davvero sentite.
 
Non si era accorto di aver fatto una pessima figura, fino a quel momento. Era stato petulante ed anche un po’ infantile, purtroppo non poteva controllare il panico, era più forte di lui.
 
«Grazie, Jesus.» Scherzò Tony, accettando il pezzo di barretta e prendendone un morso, senza staccare gli occhi dai suoi. Aveva delle iridi acquamarina che avrebbero incatenato lo sguardo di chiunque, e la faccia pulita e bella di uno che avresti descritto come un’anima gentile e ragazzo di buona famiglia.
 
Anche Steve prese a mangiare, osservandolo con un po’ di imbarazzo, chiedendosi cosa stesse pensando e se si fosse fatto un’idea precisa su di lui. Non voleva davvero risultare insopportabile, sapeva di non esserlo, anzi, di solito era la persona più trattabile del pianeta.
 
«Senti, ho un’idea.» Propose a quel punto l’altro, alzando il volto per guardare il cielo ed i fili metallici che tenevano sospesa la seggiovia. «Sembra che tu faccia molto sport ed anche io me la cavo.» Cominciò, ritornando con lo sguardo su di lui ed accennando un mezzo sorrisetto malizioso.
 
Il biondo non capì come mai avesse tirato fuori quella cosa, ma decise di starlo a sentire.
 
«Lo vedi quel palo gigantesco alle nostre spalle, che sorregge i fili della seggiovia?» Gli chiese quello, voltandosi indietro ed indicandogli quella che sembrava una gigantesca trave metallica, alta molti metri, che era lontana da loro di poco. «Se ci arrampichiamo e percorriamo aggrappati ai fili i quattro metri che ci distanziano da lì, possiamo scendere a terra e proseguire a piedi. Mancano ancora due ore prima che si attivi questa cosa, sempre che nel pomeriggio la mettano in funzione, per cui mi sembra una buona idea.» Concluse, con la faccia tranquilla.
 
Steve impallidì, chiedendosi che razza di persona avrebbe potuto pensare una cosa così stupida. Non vi era alcuna protezione assicurata ai loro corpi, se fossero caduti ci sarebbero rimasti secchi o, in caso fossero stati fortunati, paralizzati a vita. Aveva un fisico prestante, certo, e forse avrebbe anche potuto farlo, ma gli sembrava una follia.
 
«Ma sei matto o cosa?» Gli domandò infatti, mangiando l’ultimo boccone della sua barretta e portando gli occhi al cielo. «E poi è proibito, non puoi arrampicarti sulla seggiovia ed aggrapparti alle funi!» Gli ricordò, più per giustificare il fatto che non volesse farlo che per altro.
 
Tony inarcò un sopracciglio, scettico, ed accennò una risata. «E’ proprio questo il bello della cosa:  è proibito. Non avrai mica paura? Sei così poco coraggioso, Stevie?» Domandò, urtandolo per il fatto di aver reso il suo nome uno stupido vezzeggiativo.
 
«I-io… no, affatto.» Rispose immediatamente quello, per non fare la figura del fesso. «Posso farlo ad occhi chiusi, sono solo… uhm… quattro o cinque metri.» Borbottò, tornando a guardare il palo in lontananza e sentendosi quasi male. Non voleva però passare per uno stupido codardo lamentoso, e la cosa in fondo era anche vantaggiosa per lui, voleva rimettere i piedi a terra quanto prima.
 
«Perfetto. Allora vediamo cosa sai fare, ragazzo di Brooklyn.» Scherzò il moro, mettendosi lo zainetto in spalla ed aspettando che l’altro facesse la sua mossa. Il biondo, ovviamente, sembrava un po’ titubante, ma alla fine si disse mentalmente che non avrebbe dovuto temere, le sue braccia erano abbastanza forti da poter affrontare quella cosa senza problemi.
 
«Mantienimi, però, mentre sono in piedi su questa dannata seggiovia.» Grugnì, esasperato, maledicendosi per il fatto che stava a sentire un tizio che aveva conosciuto solo qualche ora prima. Per quanto ne sapeva poteva anche essere uno psicopatico… uno psicopatico molto attraente.
 
Con le mani fece perno sullo schienale della seggiovia, tirando fuori le gambe dalla protezione che impediva ai passeggeri di cadere. Si aggrappò alla sbarra di ferro che collegava la seggiovia ai fili, per tenersi in piedi, e avvertì la mano di Tony sul sedere mentre lo faceva. Arrossì, chiedendosi se lo avesse fatto di proposito o se stesse solo cercando di sorreggerlo. Non che la prima ipotesi fosse malvagia, altroché.
 
«Ti tengo.» Sottolineò il moro, nel momento in cui incrociò il suo sguardo dal basso. Il suo sorrisetto sbilenco diceva molte cose, ma l’altro decise di sorvolare, troppo preoccupato del suo equilibrio precario.
 
«La fune è di ferro, non potrai strusciarci sopra i palmi per muoverti. Sei sicuro di farcela?» Chiese, quindi, visto che l’alto era sì ben dotato di muscoli, come lui, ma sicuramente di stazza minore. Allungò le mani per aggrapparsi alla fune – ringraziò tutti i santi per il fatto che quella seggiovia, rispetto a molte altre, non avesse il sedile a diversi metri di distanza dai fili.
 
Con i piedi stava in bilico sul bordo dello schienale, la cosa sbilanciava di molto anche il seggiolino che, in quel momento, era pericolosamente inclinato all’indietro.
 
«Ci sei?» Domandò il moro, tenendolo ancora per le gambe, pronto a lasciarlo andare.
 
Steve rafforzò l’impugnatura sulla fune metallica ed annuì, guardando di fronte a sé e cominciando a pensare che era stata una pessima idea. Prima che potesse tirarsi indietro, però, Tony lo lasciò andare e si ritrovò a dondolare sospeso nel vuoto, con le sole braccia a tenerlo lontano dallo schianto al suolo.
 
Scosse piano la testa, trattenendo una bestemmia blasfema tra i denti e cominciando a percorrere la corda, facendo dondolare l’intero corpo per darsi la spinta in avanti ed andare più in fretta. Alla terza mossa aveva già percorso un metro  e mezzo e si tranquillizzò visibilmente.
 
Avrebbe voluto voltarsi per capire se Tony gli stava dietro, se andava tutto bene, ma era sicuro che fosse praticamente a pochi centimetri da lui, sano e salvo.
 
«Cazzo, muoviti, o facciamo notte.» Grugnì il moro, per confermare la sua teoria, un po’ teso per lo sforzo. Quindi il biondo accelerò l’andatura e prima che potesse rendersene conto, si stava già arrampicando alle scalette agganciate all’enorme trave metallica, per scendere fino a terra.
 
L’altro lo seguì a ruota e con velocità inaudita percorsero tutte le scalette, nonostante il lieve dolore alle braccia e la patina di sudore sulle fronti. L’unica cosa che Steve poté fare, quando mise piede a terra, fu sospirare di sollievo e sorridere di gioia, perché finalmente tutta l’ansia ed il panico stavano scemando.
 
«Porca puttana!» Imprecò Tony, inciampando in uno scalino e cadendo dalla scaletta. Gli precipitò addosso, fortunatamente non in modo così violento, ed entrambi si ritrovarono distesi sul prato, l’uno sull’altro, a fissarsi negli occhi.
 
«Tutto bene?» Domandò Steve che, in un impulso di paura, lo aveva stretto a sé facendo in modo che gli cadesse sopra e non andasse a finire con il volto nell’erba. Si perse nei suoi occhi d’ambra e pensò che non ne aveva mai visti di così belli prima.
 
«Scusa.» Mormorò l’altro, con voce un po’ arrochita, spostando in continuazione lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, in modo ipnotico. Entrambi deglutirono per quell’assurda vicinanza, ed il biondo non allentò la presa sulla sua schiena.
 
Poi Tony decise per entrambi e fece per rimettersi in piedi ma, prima che potesse anche solo muoversi, Steve non resistette ed alzò il volto fino ad incontrare le sue labbra in un movimento impacciato. Era stato un istinto, non ci aveva pensato, lo aveva fatto e basta, quello gli era sembrato il momento più giusto.
 
Il moro, neanche avesse saputo cosa gli ronzava in testa, sogghignò compiaciuto contro la sua bocca e puntellò le mani a lato del suo viso, spingendo le labbra contro le sue ed iniziando a lambire la carne morbida con la lingua.
 
«Finalmente stai zitto, mh?» Grugnì, mordendogli il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi. Aveva un buon sapore, Steve, di quelli che non dimentichi facilmente, di quelli che ti si incollano alla bocca e non ti lasciano più in pace. Ed anche un buon odore.
 
Il biondo mugugnò e scese con le mani ad afferrargli il sedere, avvertendone la consistenza sotto i polpastrelli ed eccitandosi solo per quello. Era tonico, morbido da toccare, quasi perfetto. Non aveva potuto guardarlo, prima, ma era quasi sicuro fosse anche bello da vedere.
 
«Hai trovato qualcosa di interessante, biondino?»
 
«All’inizio non pensavo fossi gay, per questo non-» Cominciò Steve, non rispondendo alla sua domanda comunque, interrotto prima di finire la frase.
 
«Scherzi? L'ultima volta che sono entrato in una donna fu quando ho visitato la Statua della Libertà
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Steve era abbastanza frastornato. Lui e Tony stavano camminando da più di mezz’ora attraverso l’erba fitta e gli alberi, lanciandosi occhiate cariche di sentimento ed intenzioni di tanto in tanto. Entrambi non potevano fare a meno di pensare a quello che era accaduto mentre erano distesi sull’erba.
 
Si erano baciati a lungo. Labbra, lingua, saliva, erano stati dei baci molto passionali, quasi avessero fretta di esplorarsi l’un l’altro, e forse entrambi avrebbero dovuto capirlo dalla prima occhiata che si erano lanciati appena saliti in seggiovia.
 
Poi Tony lo aveva leccato ovunque, strattonandogli i vestiti per avere la completa visuale della sua pelle. Lui l’aveva lasciato fare ed era morto nella sua bocca, nel momento stesso in cui aveva iniziato a succhiarglielo in modo esperto e senza remore.
 
Steve all’inizio aveva pensato che tutta quella saliva sul suo pene fosse solo scena, invece poco dopo l’altro si era liberato dei pantaloni ed aveva iniziato a muoversi su di lui, impalandosi al suo corpo. Inutile dire che era stato bellissimo, con tutta quell’erba intorno, all’aperto, ed i continui gemiti di entrambi a fare da eco ai loro movimenti veloci e le spinte secche.
 
Insomma, per il biondo era stato il sesso migliore di sempre, e sperava che fosse uguale anche per l’altro. Qualcosa gli diceva fosse così perché, da quando si erano alzati da terra, non avevano mai smesso di tenersi per mano, ed a cominciare quella cosa era stato proprio il moro.
 
Si era giustificato dicendo “potremmo perderci, meglio restare vicini” con il solito sorrisetto che faceva dubitare delle sue intenzioni.
 
Inoltre, prima di mettersi in cammino per raggiungere valle, Tony gli aveva chiesto anche il numero, segnandolo sul palmare insieme al suo indirizzo di casa. Il biondo non aveva davvero potuto credere che quello fosse così interessato, la cosa lo aveva lusingato quasi, voleva dire che il sesso era stato grandioso per entrambi.
 
Non si erano detti altro, dopo, avevano camminato e basta. In verità a Steve cominciava a piacere quell’isolamento forzato, lo stare con Tony, nonostante lo avesse conosciuto solo qualche ora prima. Gli piaceva molto, era da tempo che non era attratto da qualcuno, e probabilmente quella era la prima volta che faceva del sesso con un tizio appena conosciuto.
 
Erano stati i suoi occhi, però, e forse la magia della seggiovia a farlo cedere.
 
Era felice, non poteva fare a meno di sorridere perché sapeva che, una volta scesi a valle, tutto quello non sarebbe finito, sentiva che sarebbe continuato anche una volta tornati a New York. Era sicuro, per la prima volta, al cento per cento, che le intenzioni di Tony fossero nobili e che forse, come lui, era da tempo che non stava così bene con qualcuno.
 
Sapeva fosse stupido, che i colpi di fulmine non esistono, ma quando guardava il suo ragazzo della seggiovia non poteva non pensare che tutto quello fosse reale e che avrebbe baciato quella bocca ancora ed ancora.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: Data la mia pigrizia, il fatto che DEVO lavorare e la mancata ispirazione, direi che 9 pagine sono tante. LOL In verità non credevo l’avrei mai finita, ma mi sono forzata ed ho rispettato per un soffio la scadenza.
Volevo davvero scrivere la scena di sesso ma, come ho detto, sono poco ispirata. Spero che almeno vi abbia fatte sorridere.
E’ un po’ surreale, certo, ma è una fluff, quindi giustificatemi. v.v
Un bacione. <3
 
Ps: Per la cronaca, io adoro Vipiteno, ci sono stata in vacanza ad agosto per ben tre anni e ci sarei andata anche quest'anno, se non ci fossero stati impedimenti. E su quella seggiovia di Montecavallo ci sono stata lol più volte, ed un sacco di volte io e le mie amiche facevamo ipotesi su come ce la saremmo cavata se ci avessero dimenticate lì (sì, avevamo visto da poco il film Frozen LOL).




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