Allegoria

di BlueSkied
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Allegoria



Firenze, 1550

Il ragazzo entrò nel suo studio, e si guardò intorno, leggermente intimorito. Ne aveva visti molti, alcuni sfrontati, altri annoiati, qualcuno per natura modesto e timido. Lui era intimorito, per qualche motivo.
Avvolto nella corta mantella nera, che celava un elegante farsetto dello stesso colore, si tolse il berretto di velluto, rivelando folti riccioli scuri. Fece qualche passo, rimanendo poi immobile, quasi sospeso sulle punte.
- Buongiorno, maestro - esordì - Sono qui per la posa - annunciò. Il pittore annuì e lo invitò ad avvicinarsi:
- Benvenuto - lo accolse - Prego, muovetevi pure liberamente, e abbiate la pazienza di attendere solo qualche minuto - gli disse, scegliendo tra varie stecche di grafite, una che facesse al caso suo. I garzoni stavano approntando rapidamente tela e cavalletto, in silenzio. Appena fu tutto sistemato, li congedò e si avvicinò a sua volta, per studiare il modello.
Comprese perfettamente la scelta dell'amico, quel giovane era una rarità, e la timidezza gli dava un valore aggiunto. Questi incrociò solo per pochi attimi lo sguardo dell'artista, poi la cortesia gli suggerì d'iniziare una conversazione:
- Ho recentemente avuto modo di ammirare un'incisione della vostra Venere, maestro Agnolo - raccontò, in tono evidentemente ammirato.
- Come la trovate? - chiese il pittore, apparentemente concentrato a stendere la biacca sulla tavolozza, ma in realtà attento a ogni singolo particolare del suo interlocutore. Non gli sfuggì il subitaneo lampo negli occhi del ragazzo, che parve animarsi quasi d'improvviso:
- Così meravigliosa e sconosciuta - replicò, in un sussurro. Agnolo Bronzino sorrise fra sé: capiva cosa intendesse. In effetti, la lascivia era la prima cosa che si coglieva in quell'allegoria. Aveva visto compunti gentiluomini e pudiche dame esibire smorfie maliziose di fronte a quel bacio così ardente. Solo i suoi compagni letterati guardavano le altre figure, ben sapendo che dietro la scena erotica si celava molto altro.
Il ragazzo non aveva finito: dopo una breve pausa, riprese:
- C'è qualcosa di terribile, in quel dipinto, se posso permettermi, maestro - osservò. Colse la sua occhiata incuriosita e spiegò:
- La vecchia che si strappa i capelli. Il mio signore dice ch'essa raffigura l'invidia -
Agnolo fece un vago cenno d'assenso, sempre senza smettere di selezionare i colori:
- Ognuno, nelle figure, vede ciò che è più vicino al suo cuore - rivelò. Il giovane rimase in silenzio, soppesando le parole dell'artista. Il suo viso assorto era particolarmente affascinante, non si poteva negarlo.
La vecchia, in verità, rappresentava la gelosia, quel sentimento che tutti, prima o poi, dovevano affrontare, se messi in dialogo con l'amore.
Nessuno di loro parlava d'amore, non direttamente. Era una parola che nei componimenti significava molte cose, amicizia, affetto, complicità, ma non ci si riferiva mai alla sua verità più immediata. Forse, perché era pericoloso rivelarla anche a sé stessi.
Quel giovane non era che l'ennesimo di quella schiera che gli era stata pregata di ritrarre, attraverso gli anni, da un amico o dall'altro. Rampolli di nobili famiglie affidati alla sapienza di quegli uomini di riconosciuta saggezza e valore. Dei legami che si creavano, la maggior parte della gente vociferava, sussurrava, senza né comprendere né conoscere. Era peccato ed era anche contro la legge, secondo quanto immaginavano e credevano.
Agnolo Bronzino, un tempo, era stato al pari del ragazzo che gli stava davanti. Mentre imparava a dipingere sotto le volte sacre di Santa Felicita, maestro Jacopo gli aveva svelato tutti quei segreti, l'aveva reso partecipe di quella forma più elevata dei sensi.
Alcuni, fra i più poetici dei suoi compagni di lettere e d'arte, definivano quelle creature efebiche, evocando quasi un ideale Antinoo. Li si appellava come amici, compagni, allievi, senza osare confessare l'adorazione e l'amore che si provava. Amore, amore che poteva far diventare pazzi, che diventava idolatria.
Giovani arroganti, o teneri, o coraggiosi, che detenevano il potere di piegare ingegni eletti con una sola parola o un solo gesto, per metà inconsapevoli di far tremare l'anima altrui con uno sguardo.
Per i loro saggi e incantati devoti, diventava un obbligo immortalarli: con la poesia e con la pittura, dietro smalti e versi che celavano fuochi nascosti.
L'arte era un atto d'amore, e l'amore diventava un atto mentale, il più nobile dei pensieri e sentimenti, distaccato, fuggevole dalla lussuria. Nessuna di quelle bellezze ispiratrici aveva ricevuto più di una carezza o una frase d'affetto.
E ora, grazie alla sua opera, non sarebbero mai morti, nemmeno quando il fato crudele li strappava alle loro vite acerbe, ai loro maestri innamorati.
- Potete accomodarvi - disse finalmente il pittore al modello. Lo affiancò a una piccola copia d'un marmo greco, di fronte a una pesante tenda, gli chiese di voltarsi per ricevere meglio la luce su quel profilo da cammeo. Il committente sarebbe stato soddisfatto.
La grafite cominciò ad accarezzare la tela imbiancata, lenta come un respiro.




 






Ecco qui due link alla Venere da me descritta, e ad alcuni ritratti a cui faccio riferimento.

http://www.wga.hu/support/viewer/z.html
http://www.wga.hu/index1.html

 




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