amico
LUI era uno skater.
Portava i capelli corti, ribelli, sembravano neri. Non ti guardava
quasi mai, e scivolava tra la gente come una piccola pozza d'olio.
Vestito come tutti, la testa inclinata un po' di lato.
LUI dipingeva.
Quadri enormi con soggetti quasi umani, pennellate grosse, pesanti.
Corpi di tempera e acrilico, talvolta vernice per i muri. Sagome
stilizzate e sofferenti, la cui umanità si individuava
appena.
Ci eravamo incontrati per caso, scappava - ancora - dalla sua famiglia
in stile rococò. Non mi raccontò mai chiaramente
il suo disagio, vidi forse un pomeriggio i suoi passare davanti al mio
portone, uomini in cappotto e cappello, lungo la Galleria. Inseguitori
di ombre. Non era un figlio. Aveva nello sguardo una consapevolezza
troppo matura, disarmante, e quel linguaggio smozzicato da ricovero
psichiatrico trasudava finitudine.
Regista di se stesso, vendeva ad un pubblico comune l'arte come video
di skateboard dall'anima lenta, atmosfera cupa ma appena percepita. Non
finivano mai, quei video. Si interrompevano, così, senza
titoli di coda, senza musica. Operatori e tecnici entravano con lui
nell'inquadratura, solo primi piani della tavola usurata.
Aveva fatto un'unica mostra, una personale. La critica si era sprecata
in appellativi e citazioni fin eroiche. Dentro, le tele quasi si
sovrapponevano, non uno spazio libero, non un quadro grande quanto il
primo, tutti in fila, uno dopo l'altro, in ordine casuale di tempo,
soggetto, colore.
L'aria era satura. Mi ci aveva portato il giorno dopo la chiusura,
appena prima di smontare tutto. Le sale erano deserte, anche se noi,
seduti lì in mezzo sul parquet lucido, potevamo ancora
sentire il peso
di tutti coloro che erano passati, la loro fisicità
conservata nell'aria e fissata dall'essudato delle tele.
Una mattina, mi trovai con una busta chiusa in mano, aveva un timbro da
notaio.
Uno strappo pulito del tagliacarte mi separava dalla partecipazione ad
un testamento.
Era morto, n'importe pas pourquoi .
Mi aveva lasciato un quadro. Dipinto per LUI da suo fratello, in data.
Chi entra in casa mia nota un contrasto incredibile tra il divano e
l'azzurro e bianco del quadro appeso là sopra. Vi chiedete
come mai un accostamento tanto azzardato, e trovate il quadro magari
anche brutto. Non avete mai chiesto ad alta voce. E io non ho mai
risposto.
In fondo, è la firma di uno sconosciuto.
Ma è quello, il vero capolavoro del "nuovo Basquiat".
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