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sul forum: (kaos3003)
Nickname
su EFP: kaos3003
Titolo
della storia: Un
calderone pieno di perbenismo bollente. Ovvero una mattinata da
Lupin.
Generazione:
seconda
generazione
Personaggi:
Remus
Lupin,
OC (sia maschili, sia femminili), i Malandrini
Raiting:
verde
Introduzione:
un
articolo
sulla Gazzetta del Profeta e subito è scandalo.
Note
dell’autore:
è la terza che scrivo e, anche se il tema non è particolarmente
originale, almeno non ho la tentazione di picchiare la testa contro
il muro chiedendo di cosa mi fossi fatta in quel momento XD.
Partecipa al contest "Generazioni
a confronto" di Moonspell.
“Avete
sentito? Pare che il vecchio Lupin abbia dato di nuovo spettacolo!”
“Dici
sul serio?”
La
ragazza, Elisabeth, se ricordava bene, rise leggermente, allungando
la copia della Gazzetta del Profeta all’amico e ingoiando una
manciata di cereali. Remus era sicuro di aver intravisto un pezzetto
di bacon incastrato fra quei denti bianchi.
“Vedi?
A pagina cinque,” continuò, masticando rumorosamente e
sputacchiando pezzetti di cereali in giro. “Fosse mio padre, mi
vergognerei da morire. La moglie ha cercato di farlo internare almeno
cinque volte, due solamente nell’ultimo mese.”
“Be’,
dopo quella protesta al Ministero non mi stupisce. Andiamo, farsi
incatenare davanti all’Ufficio per la Cura e la Regolamentazione
per le Creature Magiche? Chi farebbe una cosa simile?”
Be’,
certamente non erano molto ferrati in storia.
Remus
continuò a guardarli di sottecchi, cercando di isolarsi dal resto
della Sala Grande: la luna piena era talmente vicina che i loro
bisbigli risuonavano forti e cristallini come campane, se non
avesse cercato di isolarsi, anche se per poco, sarebbe dovuto correre
in infermeria prima della pausa pranzo.
Elisabeth
annuì vigorosamente, strappando nuovamente il giornale di mano al
compagno di Casa, scorrendo velocemente il testo. Da come si
muovevano, sembrava che gli occhi dovessero esploderle. “Mi chiedo
cosa vorrà mai ottenere. Voglio dire, i lupi mannari sono delle
bestie orribili e tutti li vorrebbero rinchiusi da qualche parte, ma
chiedere addirittura il Bacio dei Dissennatori?” chiese, mordendosi
nervosamente il labbro e piegando appena un angolo della pagina.
Il
ragazzo di fronte a lei annuì distratto, rimettendo i propri appunti
nella borsa. “Mio padre sostiene che il Bacio sarebbe inutile,”
rispose in tono accondiscendente, quasi parlasse con una bambina
particolarmente stupida, cosa non troppo distante dalla realtà, se
poteva esprimere il suo parere. “Secondo le sue ricerche quei
mostri non hanno un’anima da rubare. Inoltre il loro sangue…”
“Tuo
padre è uno storico della magia, non un esperto di creature
magiche,” lo interruppe con veemenza il loro vicino, afferrando un
paio di panini dal cestino al centro della tavola e mettendoseli nel
piatto. “E ti ha chiamato Leonida. Questo non depone certo a suo
favore.”
Ecco,
in momenti come questo Remus si chiedeva se Hogwarts fosse poi la
scuola prestigiosa che si vantava di essere: difficilmente aveva mai
visto insieme un tale gruppo di ragazzini superficiali ed inutili.
Elisabeth
annuì nuovamente con foga, facendo sbattere la treccia contro gli
alamari del mantello. Ovviamente nessuno ci face caso, ma ancora una
volta la luna piena troppo vicina si rivelò una vera maledizione e
quel tintinnio sembrò risuonargli nel cervello. Nemmeno si accorse
di aver digrignato i denti. “Ad ogni modo, mi chiedo cosa gli abbia
fatto Greyback per augurargli una cosa simile,” commentò la
ragazza, facendo nuovamente scorrere lo sguardo fra le righe stampate.
Grazie a merlino aveva smesso di fare tanto baccano. “Non ho mai
visto una guerra tanto feroce contro i lupi mannari.”
“Già,
le Rivolte dei Goblin sembrano una passeggiata al confronto.”
“Le
cosa?”
Leonida
sospirò. “La lezione di Storia della Magia della settimana scorsa.
Prima o poi dovrai aprire quei libri Elisabeth. Come pensi di
diplomarti?”
“Il
diploma non è un problema, quello che mi spaventa è il debutto del
mese prossimo.”
E
quando i suoi amici cominciarono a ridere, Remus la vide rabbuiarsi.
Non che potesse dare loro torto, ma aveva imparato da tempo che, alle
volte, il silenzio è salvifico, specie se una come Elisabeth Moorgy
si imbronciava tanto da somigliare ad un troll con problemi
intestinali. “Voi scherzate, ma c’è in gioco il mio futuro.”
“Certo,”
ribatté accondiscendente Thomas, asciugandosi le lacrime col dorso
della mano. “Sia mai che quel bel futuro Guaritore del San Mungo
non ti noti.”
“Ma
quale Guaritore,” si intromise Leonida. “Lei punta a un
Purosangue con impiego al Ministero o nel consiglio della Gringott.”
“No,
per avere quello devi essere bella.”
“Ah
ah, come siete divertenti,” rispose caustica. “Comunque mi
dispiace per la moglie. Mia madre frequentava Hogwarts con lei, in
giro si dice che ultimamente non sia in buona salute.”
“Mio
cugino è stato smistato a Grifondoro e a quanto mi ha raccontato
Lupin manca spesso dal dormitorio. Dicono vada ad assistere la
madre.”
“Povera
donna, mi fa veramente pena,” continuò allora Elisabeth,
stringendo il tovagliolo con fare drammatico. “Lupin è un così
bravo ragazzo: tranquillo, studioso, sensibile…”
E
dopo aver assistito a una simile discussione, Remus avrebbe voluto
nascondersi, magari dietro all’enorme libro che Peter sfogliava
febbrilmente per il test di quella mattina. Che a suo padre mancasse
qualche venerdì, come diceva sempre suo nonno, non era più un
mistero per nessuno, ma sentirselo sbattere in faccia per colazione
era veramente troppo, perfino per lui.
Peter
si umettò le dita, girando poi la pagina con una foga tale da
rischiare di strapparla. “Remus, per il test di oggi…”
“Non
ti farò copiare il mio compito,” rispose rassegnato Remus,
sospirando e tornando a concentrarsi sulle proprie uova per non
sentire tutti i commenti che ormai rimbombavano nella Sala Grande.
“Hai avuto un mese per studiare. E ti ho prestato i miei appunti,
non li hai letti?”
“Certo
che li ho letti, ma non ho capito molto,” si lamentò, fissando le
pergamene sparpagliate sul tavolo e intrecciando nervosamente le
dita. I suoi occhi porcini saettavano fra gli appunti e il vecchio
tomo e ormai sudava copiosamente. “Non riuscirò mai a capire come
la cocliria…”
“Coclearia.”
“Sì,
quella. Non riesco a capire come si combini con quei fiori… come si
chiamano…”
“Gli
occhi di Priscilla. Servono a temperarne le proprietà
febbricitanti,” lo imbeccò Remus, strappando un pezzo di pane e
pulendo il piatto. “Una specie di antipiretico immediato per…”
“Per
non farti esplodere il cervello e risparmiarci così certe visioni
prima di cena,” concluse per lui Sirius, esplodendo poi in quella
sua risata tanto simile ad un latrato. Remus scosse la testa,
osservandolo appallottolare un pezzo di mollica di pane e lanciarlo
verso il tavolo dei Serpeverde, centrando Piton in testa, tutto, a
quanto sembrava, per far ridere James dopo l’ennesimo rifiuto della
Evans.
Per
Merlino, quei due non sarebbero mai cresciuti e sicuramente sarebbero
finiti nei guai ben prima di pranzo, eppure per un momento si perse
nei loro giochi e li osservò divertirsi e ridere come idioti,
invidiandoli, in un certo senso.
Avrebbe
voluto essere così spensierato, almeno per qualche minuto, purtroppo
tutto questo non era possibile: quando la scorsa settimana Sirius gli
aveva chiesto per l’ennesima volta dove finisse ad ogni luna piena,
aveva sentito forte la tentazione di raccontare loro tutta la verità,
liberandosi per sempre di quel segreto.
Già,
era un vero peccato che, dopo qualcosa di simile, sicuramente si
sarebbe ritrovato completamente isolato, se non in una qualche cella del
Ministero: lo sapevano tutti, un cattivo e feroce lupo mannaro non
poteva certamente essere tenuto insieme con dei poveri scolari
innocenti. E, giusto per peggiorare la situazione, il professor
Silente sarebbe ovviamente finito nei guai per averlo aiutato e
nascosto. No, non poteva permetterselo.
Così,
mentre Sirius e James ridevano e continuavano a lanciare pezzi di
pane e toast a Piton e Peter ripassava tra sé e sé, Remus si
ritrovò a gettare ogni tanto un occhio al gruppo di Tassorosso,
ancora impegnato nella lettura della Gazzetta del Profeta e a ridere
di quell’articolo.
Una
delle ragazze sedute accanto ad Elisabeth allungò il collo per
sbirciare la pagina. “Oh, stavolta ha disturbato il concerto di
Celestina Warbeck?” chiese in tono lamentoso, infilando nella borsa
pergamene e piume. Remus era certo di aver intravisto qualche fetta
di bacon finire tra le pagine del libro di pozioni di Elisabeth,
fatto confermato dal gatto striato che ora infilava curioso il muso
nella borsa. Forse fu per questo che si divertì particolarmente
quanto la vide annuire, prima di iniziare nuovamente a lamentarsi con
tono decisamente troppo drammatico. “Lo so, un vero peccato per la
vera musica,” mormorò, sospirando. Be’, come strega era un
completo disastro, ma come attrice era addirittura peggio. “Quanto
mi sarebbe piaciuto assistervi. Mia madre avrebbe potuto trovare
tranquillamente i biglietti per le prime file, ma non è riuscita a
convincere il Preside a farmi uscire per una sera.”
Cosa
che Remus non trovava difficile da credere. Elisabeth e sua madre
avevano fin troppi agganci al Ministero per non essere ormai convinte
che anche ad Hogwarts cadessero praticamente ai loro piedi e si
affannassero per compiacerle in ogni modo.
Ormai
la Sala si stava svuotando ed Elisabeth afferrò la borsa, calciando
il gatto che corse a nascondersi sotto al tavolo, e uscì con i
propri compagni, continuando a discutere degli ultimi pettegolezzi
riportati sulla Gazzetta.
Sirius
li seguì con lo sguardo, terminando in tutta velocità il proprio
toast. “Be’, una volta simili idioti non sarebbero mai stati
ammessi,” borbottò, abbandonandosi sulla sedia. “Non c’è che
dire, gli standard di questa scuola si sono notevolmente abbassati da
quando la frequentava mio padre.”
E
vedendo James sorridere in quel suo modo furbo, Remus capì che stava
per arrivare uno dei suoi soliti scherzi. “Lo sappiamo, Sirius. In
fondo, anche tu sei stato ammesso.”
Così,
quando Sirius colpì con un pugno la spalla dell’amico, Remus si
limitò a scuotere sconsolato la testa, riempiendo la borsa con
quante piume e pergamene poteva. Intorno a lui i pochi studenti
rimasti sfogliavano febbrilmente la Gazzetta del Profeta, gettandogli
occhiate nervose e fugaci e ridendo sotto i baffi. Non che fosse
stupito, ma sperava che la cosa venisse dimenticata in minor tempo
rispetto alla lite fra la madre di Thomas Little e la vecchia strega
della palude: la vicenda, ma soprattutto la faccia da tonno della
signora Little, era stata oggetto di scherno degli studenti per
diversi mesi. E dire che Madama Chips aveva impiegato appena
tre settimane a far sparire completamente le pinne e le squame dal
povero Thomas.
Il
vociare intorno a lui non sembrava diminuire, unito ora al clangore
delle stoviglie sul tavolo e al frusciare delle pergamene e delle
pagine. Qua e là poteva sentire ancora il nome di John e i commenti
sul concerto della sera prima. Evidentemente l’articolo di prima
pagina sugli ultimi attacchi dei Mangiamorte e di Colui che non
Doveva Essere Nominato non era sensazionalistico quanto l’ultima
protesta di John Lupin o il concerto rovinato di Celestina, ma questo
non lo stupiva.
James
chiuse la borsa e se la caricò in spalla. “Remus, ma questo John
di cui tutti parlano non è tuo padre?”
E
a quella domanda Remus si bloccò, il libro di incantesimi ancora in
mano. Avrebbe potuto dire la verità, spiegare perché suo padre si
comportasse a quel modo, giustificarlo, dire che non era pazzo e che
non era colpa di Remus se mamma stava sempre male e papà lo odiava…
O
poteva fingere che tutto andasse per il verso giusto, come aveva
sempre fatto, e aspettare che tutto quello scandalo si calmasse da
sé.
Sopra
le loro teste il soffitto della Sala Grande riproduceva un cielo
plumbeo, colmo di nubi che minacciavano pioggia. Fuori il vento
sembrava soffiare con forza e i gufi sembravano aver paura perfino di
iniziare a volare in quella giornata.
Forse
la lezione di Cura delle Creature Magiche sarebbe saltata, pensò,
infilando con poca cura il libro nella borsa.
James
ancora lo fissava e Remus sospirò. “No, deve essere semplicemente
un omonimo,” borbottò, afferrando la borsa e dirigendosi a passo
di marcia fuori dalla Sala Grande e imboccando le scale per scendere
nei sotterranei verso l’aula di Pozioni.
Dietro
di lui James e Sirius confabulavano fra loro. Certamente non poteva
vederli, ma gli sembrava quasi di sentire gli sguardi degli amici
trafiggergli la schiena, interrogandolo e dubitando silenziosamente
di lui per l’ennesima volta in quel mese. Non si sarebbe nemmeno
tanto stupito se avessero cominciato a pensare che fosse proprio suo
padre a procurargli tutti quei tagli e lividi: sicuramente Sirius
aveva esperienza in merito e già lo aveva pensato quando,
imbarazzato e spaventato, lo aveva quasi pregato di passare le
vacanze con lui dai Potter e di ‘confidarsi con qualche insegnante,
se non voleva farlo con i suoi amici’.
Remus
sospirò, sicuro che quella sera l’argomento sarebbe tornato a
galla. Forse un giorno sarebbe riuscito a dire loro tutto, ma per ora
quelle notti e le vicende della sua famiglia sarebbero rimaste fra
lui, il professor Silente e il Platano Picchiatore.
I
corridoi erano affollati e Remus abbassò la testa, camminando più
spedito. Presto tutti si sarebbero dimenticati di quell’articolo,
si ripeté fra sé con fare incoraggiante: non aveva bisogno di
ulteriori motivi per essere quello strano della scuola. |