Andare in soffitta gli risultava un’impresa non da
poco. Al di là delle difficoltà familiari – suo padre non
voleva che vi andasse da solo – era presente anche una serie di ostacoli
materiali, non ultimo una scala mobile difficile da gestire a causa della sua
tendenza a rompersi nei momenti meno opportuni.
Insomma, per Claude non era affatto facile andare in
soffitta, ma quella stanza lo attirava come una calamita attira dei chiodi di
ferro. Suo padre vi spariva per ore, e quando tornava aveva quasi sempre tra le
mani qualche nuovo marchingegno interessante.
Fu così che, in una splendida e ventosa mattina di
aprile del 1909, l’undicenne Claude ebbe la sua occasione. Mentre il
padre sperimentava un piccolo aliante nella vicina costa e la madre stendeva il
bucato (lanciando di quando in quando occhiate di disapprovazione
all’indirizzo del marito), il ragazzo ebbe il campo sgombro. Corse in
punta di piedi fino alla scala mobile, ma non la attivò azionando la
leva. Così poté salire alla chetichella senza fare rumore e
trovarsi, per la prima volta, in soffitta da solo.
L’aveva già vista con suo padre, ma ne rimase
nuovamente meravigliato. Prototipi di alianti erano appesi al soffitto, e una
vasta gamma di macchinari, piccoli e grossi, cubici e dalle strane forme, si
trovava sparsa qua e là senza un ordine preciso.
Nonostante si trovasse lì di nascosto, Claude non
osava toccare nulla. Ricordava le raccomandazioni di suo padre sulla potenziale
pericolosità di quelle macchine, senza contare che più di una
volta aveva visto svanire il suo volto in una voluta di fumo scuro causata
dall’esplosione di qualche loro componente. Così si limitò
a girovagare curiosando qua e là.
Una nota di discontinuità lo rese perplesso. Nel
mezzo di quel parapiglia ultratecnologico si trovava un baule piuttosto
vecchio, a giudicare da quanto era usurato. Era fatto di legno, rinforzato
sugli spigoli da placche di stagno, rivestito sui quattro lati di sughero
scolorito. Claude si avvicinò, e scoprì che non era affatto
chiuso a chiave. Spinto da una feroce curiosità, lo aprì
trattenendo il respiro e, nell’oscurità dei suoi anfratti, fece in
tempo a scorgere quella che sembrava una piastrella. Poi trasalì, e
quasi si schiacciò le dita tra il baule e il coperchio, perché
sua madre lo chiamava a gran voce, cercandolo. Claude attese qualche istante,
finché non udì i suoi passi allontanarsi. Poi scese con
attenzione dalle scale, cercando di non fare rumore.
“Eccoti! Ma che fine avevi fatto?”
“Ehm. Io … giocavo con King”
Nadia lo squadrò da capo a piedi.
“Capisco. Claude, papà voleva che lo
raggiungessi. Il suo aliante funziona, e voleva mostrartelo”
“Che bellezza!”
Claude partì a razzo fuori di casa, diretto dal
padre. Nadia lo guardò allontanarsi, e dalla finestra lo vide
raggiungere Jean. Non poté fare a meno di sciogliersi in un sorriso
affettuoso.
*
Claude rientrò in casa dopo un paio d’ore,
sudato ed esausto. Con il padre, avevano continuato a collaudare
l’aliante meccanico, e ogni volta dovevano correre per andare a
recuperarlo e lanciarlo di nuovo.
“Allora, ti sei divertito?”, chiese Jean,
asciugandosi la fronte con la manica della camicia.
“Certo! Dobbiamo rifarlo, papà!”
“Sicuro, ma fra qualche giorno, o mamma ci ucciderà”
“Cosa?”
Nadia era sbucata dal salotto. Diede un’occhiata al
figlio.
“Claude, tu devi fare un bagno, sei completamente
inzaccherato. Su, niente storie!”
In questo modo le proteste di Claude furono taciute sul
nascere, e il ragazzo si diresse a testa bassa verso il bagno di casa.
“Jean, puoi venire un momento con me?”, chiese
Nadia.
“E ti pare, eccomi”
Mentre faceva il bagno, Claude non udì i rumori che
solitamente la casa emetteva a quell’ora, ovvero il tintinnare delle
pentole che generava sua madre o il fracasso causato da suo padre quando
toccava a lui cucinare, o lo gnaulare lamentoso di King che in questo modo
avvertiva di essere affamato, o il vociare dei suoi genitori mentre
discorrevano. Questo lo insospettì un po’, ma quasi subito non vi
fece più caso. In effetti, quando uscì dal bagno, tutto era tornato
alla normalità, e Jean e Nadia ridevano insieme in cucina mentre erano
ai fornelli.
Dopo cena, al solito, Claude si trovava in un piacevole
stato di pigra sonnolenza, così che non si rese subito conto di essere
rimasto solo in cucina. Se ne accorse unicamente quando la voce di Jean lo
chiamò.
“Claude!”
“Mmh … sì?”
“Puoi raggiungerci, per favore?”
“D’accordo, ma dove siete?”
“In soffitta”
Il ragazzo si irrigidì.
“Sicuro”
Temendo di essere stato scoperto, e temendo soprattutto la
lavata di capo di Nadia, Claude raggiunse i genitori in soffitta. Ecco, ebbe un
sussulto: Nadia era in piedi di fronte al baule che aveva scoperto qualche ora
prima, mentre il padre stava frugando proprio al suo interno, cercando
chissà cosa.
“Non fare quella faccia” – disse Nadia, tra
l’accusatorio e il divertito – “Sono tua madre. Secondo te
posso non accorgermi quando inventi una scusa?”
“L’importante è che non si sia fatto
male”, aggiunse Jean dal fondo del baule. “Hai fatto bene a non
toccare le macchine, ma sta’ comunque sempre attento. Ti piace questo
baule?”
Claude non seppe cosa rispondere, ma abbozzò un sì annuendo con
la testa.
Jean riemerse dal cofano con qualcosa stretto in mano.
“Eccolo” – disse mostrandolo, e lo porse a Nadia.
Era quella che Claude aveva scambiato per una piastrella.
La madre la afferrò e la rimirò. Poi si sedette sul pavimento, la
schiena contro il baule, subito imitata dal marito. Il suo sguardo si era fatto
remoto e nostalgico, e i suoi occhi lucidi.
“Era da parecchio tempo che non la vedevo”,
disse Nadia con voce emozionata. Poi premette quello che pareva un pulsante
sull’angolo in alto a sinistra del riquadro e all’improvviso,
causando un sussulto a Claude, come un fungo che spunti improvvisamente da
terra, comparve un’immagine direttamente dal pannello . Era concreta
– si allargava nelle tre dimensioni e non era più alta del suo
avambraccio – ma risultava altresì eterea, nebulosa, consunta,
come una vecchia foto ingiallita dal tempo. Raffigurava alcune persone. Tre
adulti, ossia un uomo con i baffi, un altro uomo più alto e dai capelli
lunghi, e una donna dal viso gentile e molto bella. Questa teneva fra le
braccia un neonato in fasce, mentre un bambino attorno ai cinque anni sorrideva
di fianco all’uomo con i baffi.
L’immagine incuriosiva Claude, che fremeva di
curiosità. Nadia si voltò verso il marito.
“Ogni volta che la vedo penso che, se possiedo ancora
questo ricordo, devo ringraziare te”
“Oh, per favore!” – rispose Jean ridendo.
“Non scherzare” – ribatté Nadia, cercando la sua mano
e stringendola . Jean la cinse a sé con la mano libera.
“Ah!”
Claude si voltò e scese le scale, indignato. Quante
smancerie! I suoi genitori erano veramente degli sdolcinati. Come poteva
sopportare una scena così melensa?
Nadia e Jean ridacchiarono mentre si allontanava.
*
“Papà?”
“Dimmi”
Alle dieci e mezzo di sera, Claude se ne stava tranquillo a
letto coperto dal lenzuolo. La madre gli aveva appena dato la buonanotte, nel
suo solito modo semplice ma inspiegabilmente confortante, ed era appena stato
il turno di suo padre. Jean stava appunto uscendo quando il figlio lo
richiamò.
“Papà … chi erano le persone in quella figura su in
soffitta, oggi pomeriggio?”. Lo chiese in tono sommesso, quasi cercando
di rendere meno evidente possibile la sua irruenta curiosità.
“Si chiama ologramma,
Claude”
“D’accordo, nell’ olio-gramma. Ma chi erano?”
Jean si sedette nuovamente sulla sedia di fianco al letto di suo figlio, si
sfilò gli occhiali e li ripulì con calma sulla camicia. Poi
rispose.
“L’uomo con i baffi era tuo nonno. Al suo
fianco hai visto tua nonna, mentre il bambino era tuo zio. Fra le braccia della
nonna … la mamma”
Claude ammutolì. Quella bimba, così
minuscola, sua madre? E lo zio … ne aveva sentito parlare? Non ricordava.
Del nonno aveva sentito qualche parola, ma perlopiù di sfuggita.
Eppure…”
“Papà, c’era anche un altro uomo, vero?
Nel … ehm …”
“ologramma”
“Sì, intendevo quello. C’era un'altra persona … chi
era?”
Jean sorrise.
“Questa è una storia veramente lunga. Non
basterà questa sera, per raccontarla”
Ma ormai Claude era troppo emozionato. “Non importa” – disse
– “Cominciamo. Finiremo fra qualche sera”
Jean colse il volto di Nadia nello spiraglio lasciato dalla porta socchiusa.
Ricambiò il suo sorriso, annuì e si drizzò gli occhiali.
“Allora…”