Questa storia partecipa alla challenge:
Infatti, ripeto, questa non è solo una raccolta di drabbles,
ma dovrebbe essere più simile a una longfiction, o almeno
spero di esserci riuscita, per cui è una sorta di
esperimento per me.
Comunque, vi lascio al primo capitolo.
I
Era una di quelle
mattinate. Quelle che cominciano male e continuano anche
peggio. Si parte sempre dalla sveglia che non suona, tu che ti presenti
in
facoltà col trucco sbavato e per poco non fai volare in una
pozzanghera la
relazione che ti è costata settimane di fatica.
Pensi questo mentre fissi
dubbiosa la
macchinetta che non vuole saperne di concederti almeno un po’
di carburante
sotto forma di caffeina. I tasti ci sono, lo spazio per i bicchieri
anche, ma
allora, dove diamine si infilano i soldi?
- Nella
macchinetta accanto. – Un ragazzo ti
si avvicina e ti sorride con lo sguardo di chi ha capito esattamente
cosa
pensavi.
II
Esci nel cortile dopo aver
posato la borsa in
classe. Il professore, come al solito, farà
mezz’ora di ritardo e tu ne
approfitti per poter fumare cinque minuti in santa pace prima di posare
il
sedere su quelle sedie scomode e seguire le sue soporifere lezioni.
- Sai, - ti volti verso la
voce che ha
parlato. Lui è lì, appena uscito dalla porta
accanto a te e si appoggia al muro
con l’aria distrutta. – Non mi hai mai ringraziato
per averti fatto vedere come
funziona la macchinetta. Se mi offrissi una sigaretta saremmo pari.
–
Ricordi che siete rimasti
lì a parlare per
tutti i trenta minuti.
III
Dovresti studiare. Sai che
dovresti, ma non
riesci proprio a concentrarti o staccare gli occhi dai suoi capelli che
gli
ricadono sempre sulla fronte, o dalle labbra che mordicchiano la penna,
o da
quelle mani che si muovono agilmente sul foglio risolvendo complicate
equazioni. Siete in biblioteca per studiare insieme, ma tu capisci solo
la
parola insieme, il resto non conta.
Ancora non lo sai, ma lui si è accorto benissimo che lo stai
fissando e non si
sogna neppure di fartelo notare o di dirti di tornare ai tuoi appunti.
È il terzo
pomeriggio che passi con lui e sai
già che non ti stancheresti mai di guardarlo.
IV
Quando vi baciate la prima
volta, è
completamente inaspettato. Tu gli fai una scenata senza significato,
solo
perché quella sera, per caso, l’hai visto salutare
con un bacio sulla guancia
un’altra, mentre voi non vi siete mai nemmeno sfiorati. Sei
fuggita dal locale
nel quale sei andata con i tuoi amici, incurante di stare sotto la
pioggia. Lui
scorge solo la tua schiena scappare via e senza pensarci un attimo, ti
insegue.
Ti lascia blaterare di cose prive di senso, senza fartelo notare
nemmeno una
volta, finché non resiste più: si avvicina, ti
prende il volto fra le mani, ti
bacia.
Un bacio che sa di pioggia
e di lui.
V
Sei lì con le
mani sui fianchi che fissi la
pasta al forno, più nera di quanto dovrebbe essere. Odi
cucinare, ma per lui lo
fai volentieri. Ti togli il guanto da cucina, proprio nel momento in
cui
suonano alla porta. È appoggiato allo stipite e ti regala
uno dei suoi sorrisi
mozzafiato, mostrandoti la bottiglia di birra che ha portato,
perché sa che
l’adori.
Proponi di ordinare una
pizza, promettendo di
non cucinare mai più, ma lui non vuole buttare via qualcosa
che hai fatto tu. A
fine cena ti dice persino che era tutto buonissimo e allora sai che ci
riproverai di nuovo. Per lui.
VI
- Non ho mai sentito
qualcuno così stonato! –
lo prendi in giro e lui allora canta più forte. Scuoti la
testa ridendo
appoggiandoti al sedile dell’auto. Ti sta riaccompagnando a
casa e sembra
essere su di giri. Ti accorgi di amarlo, ma non glielo dici, vuoi
tenerlo
ancora un po’ per te, beandoti della sensazione che ti
dà.
- Sei bello, - lo dici
semplicemente, perché
è semplicemente bello e non è solo un fatto
estetico.
Ti sorride imbarazzato
– è tremendamente
tenero – e al primo semaforo rosso ti bacia finché
le macchine dietro non protestano.
Se tu potessi portarti sempre dietro un sapore, sceglieresti quello dei
suoi
baci.
VII
Mentre i ricordi ti
sommergono, ti rigiri tra
le mani il mozzicone di quella prima sigaretta fumata insieme.
L’hai
conservato, anche se non glielo hai mai detto: ti sembrava una cosa
stupida.
Guardi la lapide con sopra
il suo nome e le
date di nascita e morte troppo vicine. Un incidente in moto te lo ha
portato
via e adesso ti senti svuotata, persa e vorresti non essere mai nata.
Sfiori
con la punta delle dita il gelido marmo. Anche se non sei credente dici
una
piccola preghiera perché lui, lassù, possa ancora
cantare le sue note stonate.
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