IN NOMINE FRATRIS
IN NOMINE FRATRIS
“Pioverà.”
Sollevo il volto e non è una cosa che
faccio spesso, ultimamente.
Il cielo è nero, opprimente e gonfio
d’acqua. Estela ha ragione: pioverà.
“Tesoro, non potresti usare le tue arti
divinatorie per qualcosa di più positivo e magari…
anche meno ovvio.”
Rabastan.
Sta camminando leggermente avanti a noi; ha
preso a farlo… bè, più o meno da quando io ho
smesso di camminare a testa alta.
I lembi del suo mantello si agitano, sferzati
dal vento.
In balia della tempesta…
“Credi davvero che si possa predire
qualcosa di positivo, data la nostra situazione?” mi permetto
di ribattere cacciandomi in tasca le mani guantate.
Per tutta risposta, il mio amico scrolla le
spalle.
“I Grifondoro stanno peggio di noi.”
Ha ragione. Ha dannatamente ragione.
Non ho visto mio fratello sorridere una sola
volta da quando tutto questo è cominciato e sono passati
quattro anni.
All’inizio ero quasi compiaciuto di quanto
stava accadendo; odiavo vederlo scherzare con i suoi compagni,
escludendo me.
E per ovvi motivi, più di ogni altro,
odiavo James Potter.
Adesso, come molti della mia casa, provo per lui
uno strano miscuglio di rispetto e ammirazione. Ma nessuno di noi si
sognerebbe mai di compatirlo, come fanno i tassorosso, è il
nostro modo di onorare il suo coraggio.
Una mano mi sfiora comprensiva il braccio.
Estela Jugson riesce a vedere molto più
del futuro…
E sembra quasi incredibile che sia sorella di
Tyrone Jugson. Lui ha due anni più di noi ed ha causato
l’infermità mentale permanente al ragazzo con cui si
stava allenando al Club dei Duellanti.
Magia oscura.
Il preside della scuola e il ministero sono
stati concordi nel definirlo uno sfortunato incidente,
naturalmente.
Lei e Rabastan si frequentano da quando Tyrone
ha concluso il suo ciclo di studi. Un anno, poco più.
Ho sempre sospettato che lei sapesse già
cosa avrebbe fatto suo fratello. Quella sera ingurgitò di
nascosto una pozione che le avrebbe causato una febbre alta, e
implorò Tyrone di rimanere vicino a lei, in infermeria. Ma
quel che deve accadere, accade sempre.
E’stata lei stessa a insegnarmelo.
… E del resto, nessuno di noi può
scegliere chi avere per fratello.
Copro la sua mano con la mia.
Lei è come la realtà: ignara di
rubare i sogni, al mattino.
La sua condanna viene chiamata dai medimaghi
divinazione inconscia. Ma non è stata ancora dimostrata
la sua veridicità.
Spesso ho avuto la sensazione che fosse proprio
lei a insinuare volontariamente dei dubbi negli studiosi che si
occupano del suo caso.
Forse ha visto piombare su se stessa il destino
della serva.
Lord Voldemort ha già sei divinanti a suo
servizio, non credo che rinuncerebbe alla settima.
A Rabastan non interessano i suoi poteri, anzi,
li deride con la sua solita aria da sbruffone elegante, ma da quel
che ne so, l’ama da sempre.
E’ ancora avanti a noi, sebbene di poco.
Ci aspetta con pazienza, ed ha un aspetto quasi apocalittico, così,
stagliato contro il cielo cupo e la tempesta che incombe.
Indica verso l’alto con un dito,
sollevando eloquentemente le sopracciglia.
Lo so. E’ quasi il crepuscolo e noi
dovremmo già essere ai margini della foresta. Così
richiede il nostro insegnante, ed è bene non farlo
attendere.
“Niente di buono.” borbotta Estela
al mio fianco.
“Come?”
“Non può accadere niente di buono.”
ripete lei.
“Anche questo” se ne esce Rabastan
“è piuttosto ovvio, mia cara.”
***
“Chi verrà scelto dimostrerà
il proprio valore.”
Osservo Rabastan che compie un passo avanti;
come al solito, si pone tra noi e… tutto il resto.
Estela trema impercettibilmente, i suoi occhi
chiari sono terrorizzati. La imploro mentalmente di trattenersi, di
non mostrare in modo così evidente la paura, o lui la prenderà
di mira…
Sollevo lo sguardo ed è già tardi.
“Forse, la signorina Jugson vuol dar prova
di sé?” domanda, gli occhi innaturalmente rossi
nell’ombra del crepuscolo.
“Mio signore” lo adula Rabastan “era
da tempo che aspettavo quest’occasione. Desidero dimostrare
quanto valgo.” Lo fissa con sguardo deciso, se non lo
conoscessi perfettamente, direi che non c’è ombra di
paura nel suo sguardo.
Ma è una menzogna, al pari di molte
altre…
“Voglio essere all’altezza della mia
famiglia.”
Una menzogna.
La sua ultima arma, la più efficace.
I Lestrange rientrano pienamente nelle grazie di
Lord Voldemort.
“Bene, dunque.” cede “Sarai tu
ad affrontare la foresta.” e c’è qualcosa di
compiaciuto nel suo sguardo folle. S’incammina risoluto verso
il castello, ma prima di andarsene, si volta verso di noi.
“Gli altri rientrino immediatamente.”
ordina con sdegno.
Lo odio.
Rabastan è immobile, ancora di spalle,
pochi passi avanti a noi.
Estela piange.
Lo odio perché aveva programmato tutto.
Sapeva che limitando la scelta a noi tre soli, Rabastan si sarebbe
offerto volontario.
Vuole un nuovo adepto, avrebbe scelto lui
comunque, ma non voleva privarsi della soddisfazione di umiliare me.
Tanto per ribadire che dal sangue Black non si
sa mai cosa aspettarsi.
“Regulus.” chiama il mio amico,
senza voltarsi.
Aspetto in silenzio che seguiti.
“Portala via, velocemente.”
“Rabastan…” inizio con tono
di protesta.
“Fa presto! Chiuderanno il portone e
saremo in pericolo tutti e tre.”
“Io resto.” Non lascerò che
vinca la paura.
Ma Rabastan si volta e per la prima volta vedo i
suoi occhi. Non mi permetterà di restare. E’la sua
sfida.
E’ anche una follia, ma del resto lui sa
come gestirla; alla sua famiglia n’è stata elargita un
dose non comune.
Impreco con rabbia, ma lui non sta ascoltando.
Sorride alla sua ragazza e le scosta dal viso le ciocche disordinate.
“Estela…” sussurra. “Dimmi
che andrà tutto bene.”
Lei annuisce e vorrei tanto che questa fosse una
predizione.
Solleva il cappuccio del suo mantello e la bacia
sulla guancia, i lembi di stoffa ancora stretti tra le mani.
“Andatevene!” grida un’
istante più tardi, spingendola tra le mie braccia. “Ora!”
Afferro la mano di Estela e la spingo verso il
sentiero che porta al castello. “Manderò un gufo a
Rodolphus.” vocio tra i sibili del vento. “Lui saprà
cosa fare.”
Non risponde, né si muove.
La sua ragazza singhiozza forte, iniziando a
camminare leggermente discosta da me.
Sì, lo so, lo sappiamo tutti.
Non verrà.
Mi trattengo dal dirle che come divinante non
vale granché. Questo era molto più che ovvio.
***
“… un immenso onore…”
“… un dovere verso il proprio
sangue…”
“… un’occasione
imperdibile per mettere a frutto il proprio ingegno…”
“… per servire lealmente
l’Oscuro Signore.”
Stronzate.
Non mi aspettavo certo di veder comparire
Rodolphus all’istante, ma almeno qualche buon consiglio…
Stringo con rabbia i lembi della pergamena che
il mio gufo ha appena consegnato e malvolentieri poso lo sguardo
sulle ultime righe.
“Mio fratello non sarebbe degno d’esser
tale, se si dimostrasse così debole da rifuggire una simile
prova, o da chiedere aiuto a chicchessia. In tal caso lo rinnegherei
come consanguineo.”
Bastardo.
Anche se questo termine non è
propriamente calzante per lui: è figlio di suo padre in tutto
e per tutto.
Non che la mia situazione familiare sia
migliore, ma non ce lo vedo proprio Sirius a liquidarmi con una
scrollata di spalle, in una situazione simile.
Incendio la lettera con un colpo di bacchetta;
né Rabastan né Estela dovranno mai avere il dispiacere
di leggerla.
Lui, perché sicuramente avrà già
sentito molteplici volte quelle stesse parole, e non c’è
ragione per cui debba sentirsele ripetere in un momento come questo.
Lei, perché credo abbia già il suo
bel da fare a tenere saldi i nevi e integra la mente. Mentre le
passavo accanto per venire alla guferia ho sentito Amanda Mulciber
che le consigliava di guardarsi attorno, che il dormitorio di
serpeverde è pieno di bei ragazzi, e se proprio avesse sentito
il bisogno di essere ribelle, neanche i corvonero sembravano
tanto male, ma solo come divertimento di poche notti.
Da quel che ne so, Estela si è concessa
per amore soltanto a Rabastan.
Povera Amanda, dubito che potrà mai
capire cosa significa.
Levo ancora gli occhi al cielo, adesso è
completamente buio; il coprifuoco è scattato e così
anche le settantasette serrature che bloccano il portone d’entrata.
So di poter uscire infrangendo temporaneamente
l’incanto, ma rientrare dopo sarà impossibile.
E’stato creato in questo modo
volontariamente; una volta fuori, l’unica possibilità è
affrontare l’oscurità.
Piuttosto sadico, come tante altre leggi.
La lettera sul pavimento della guferia è
completamente bruciata; non ne resta che cenere.
Abbandono senz’altro indugio la torre.
Rabastan non avrà un fratello di sangue
al suo fianco, stanotte.
***
“Pensavi che ti avrei lasciato solo,
stanotte?”
Sento il rumore dei cardini che si sigillano
alle mie spalle. Del resto, sapevo che non avrei avuto la possibilità
di tornare indietro.
… Ma fa freddo. Più di quanto
immaginassi.
“Fa freddo.”
… e le coperte avvolgevano senza
riscaldare.
L’aria è fradicia di nebbia. I
Dissennatori scendono a controllare i confini della scuola; e di
certo si accorgeranno che c’è un umano nella foresta.
Rabastan non potrà farcela da solo,
giungono a decine.
Incubi e buio…
“Dove sei?”
Le serre sono terrificanti, stanotte. Un
intricato labirinto di ombre tremule e scure, l’odore della
terra bagnata e dei concimi è soffocante.
Attutisco un colpo di tosse nel mantello, con
l’intento, piuttosto stupido peraltro, di non fare rumore. Un
intero esercito di piante carnivore ha già fiutato il mio
odore e adesso stanno allungando sinistramente i loro tentacoli
adunchi verso di me.
Piante carnivore.
Durante il mio primo anno, la professoressa
Sprite ce ne mostrò un unico esemplare. Veniva tenuto sotto
incantesimo.
Adesso quattro delle sei serre di Hogwarts
vantano più di trecento esemplari appartenenti alla
stessa famiglia, le rimanenti due ospitano, invece, un’
invidiabile piantagione di erbe velenose.
Tutto per volere del nostro insegnante di Difesa
contro le Arti Oscure.
Alzo lo sguardo: si sono accorti di me.
Il tetto trasparente è oscurato da
diverse sagome nere.
Mi addosso alla parete più vicina,
trattenendo il fiato, e qualcosa mi afferra repentinamente il
braccio.
Sobbalzo e mio malgrado mi sfugge un gemito.
Ho già la bacchetta alzata, quando una
risatina m’insinua il dubbio…
“Lumos!” grido.
“Bella serata per passeggiare,
fratellino.”
“Sirius.”
“Non sei sorpreso, noto.”
“Pensavi che ti avrei lasciato solo,
stanotte?”
Nove anni e la tempesta che infuriava dietro
il vetro della finestra…
Non sono sorpreso, in effetti.
Ma nemmeno speravo nel suo aiuto…
“Sta giù.” sussurra
spingendomi dietro i vasi più vicini.
Riemerge dopo soli pochi istanti.
“Se ne sono andati?” chiedo
stupidamente.
Mio fratello scuote la testa. “Sanno che
siamo qui, ma non possono entrare.”
“Come sapevi che stanotte...”
Ma lui m’interrompe agitando la mano come
per liquidarmi in fretta. “Lascia stare, Regulus.”
Lasciar stare?
Certo, lascerò stare. Del resto ho già
capito abbastanza.
“Lestrange è nella foresta?”
Annuisco.
“Allora dobbiamo trovarlo. Poi
raggiungeremo il Platano…”
“Il Platano?” mi sfugge senza volere
e lui mi guarda con un vago sorriso.
“Paura, fratellino?”
Per Merlino! Mi parla come quando avevo cinque
anni e una voglia matta d’imitarlo in tutto.
“Non sono un incosciente come te, per cui
sì, ho una discreta paura.” ribatto con stizza, ma non è
esattamente ciò che volevo dire e lo sa anche lui.
“Paura, fratellino?”
“No!”
“…”
“Q..quando sono solo…”
“Andiamo, allora.” risponde,
spalancando, a bacchetta alzata, la porta della serra.
Lo osservo fiondarsi senza riserve nel buio
della notte.
Pensa di meritarsela, quell’oscurità.
Eppure la combatte, se è necessario. E’
diventato inclemente solo verso se stesso.
“Hai con te un ricordo felice?”
vocia poco dopo, senza smettere di correre.
Per tutti i maghi del ministero! Mi sfugge un
sorriso per la comicità della sua uscita. Cosa dovrei fare?
Tenere i ricordi felici nella saccoccia, per poterli sfoderare al
momento giusto?
All’improvviso realizzo che probabilmente
è ciò che fa lui e nell’istante in cui l’ho
pensato, il mio sorriso scompare.
Ricordi felici.
Sì, ne ho alcuni.
E paradossalmente sono tutti recenti.
Dei primi due anni di Hogwarts non ne ho alcuno;
soltanto rancore e gelosia.
Sono state le ingiustizie a riunirci.
La Paura.
E poco conta, adesso, se la divisa di mio
fratello è rossa e oro.
“Expecto Patronum!” grida
contro un dissennatore già pericolosamente vicino a noi.
Resto immobile pur non volendo. E’
un’enorme cane luminoso, il suo patrono, e mi rendo conto solo
adesso che lo sto vedendo per la prima volta.
Avanti a noi, all’interno dei confini
della foresta, un cavallo argenteo sta galoppando in direzione di tre
sagome scure. E’ quello di Rabastan; l’ho visto spuntare
innumerevoli volte dalla sua bacchetta, nelle serate umide che
dedicavamo a imparare incantesimi utili alla nostra nuova…
condizione.
E forse è soltanto la mia immaginazione,
ma ha un portamento elegante, il suo patrono, e una criniera fluente
che mi ricorda innegabilmente le ciocche dorate di Estela.
Incespico leggermente sul ciottolato, non ci
siamo mai fermati da quando siamo usciti dalla serra, Sirius, davanti
a me, si sta già dirigendo verso il punto da cui abbiamo visto
comparire il patrono; è molto più veloce di me, agile e
silenzioso.
E come al solito, mostra un’inguaribile
sfrontatezza nell’affrontare il pericolo.
Si direbbe quasi che non conosca il terrore, e
quand’ero piccolo pensavo che fosse davvero così.
Adesso so che è una finzione.
Teme molte cose, mio fratello. Troppe per
smettere di nasconderle.
E scommetto che quelle che posso immaginare sono
solo una piccola parte.
E’egoista da parte mia, ma mi sento
sollevato al pensiero di non essere a conoscenza di tutto…
Siamo vicini, l’aria è più
fredda in mezzo alla foresta; Sirius si ferma in ascolto.
Sento il frusciare di un mantello e un lieve
scalpiccio.
“Regulus?”
Rabastan spunta proprio dietro a noi; è
teso, ma c’è qualcosa che somiglia al sollievo, nel suo
sguardo.
“Ho visto il patrono.” inizia. “Ma
non crede-
“Pensavi che ti avrei lasciato solo,
stanotte?”
Sirius mi osserva attraverso la penombra,
chiedendosi, forse, perché me ne sia uscito con quella frase,
ma i suoi occhi hanno qualcosa a che fare con la comprensione, e
forse è così.
Ricorda, così come ricordo io.
Osservo il volto interrogativo di Rabastan e
provo a spiegargli, senza parlare, che per me è come un
fratello, e ho bisogno che lo sappia.
Ma lui sposta lo sguardo da me a Sirius, i suoi
occhi diventano assenti, e improvvisamente so cosa prova.
La lettera incenerita sul pavimento della
guferia…
Vorrei non averla mai letta.
E nonostante tutto, lui si riprende subito.
“Dovevo aspettarmelo da te.”
sussurra con semplicità.
L’aiuto nel quale soltanto sperava,
invece, non è giunto. Lo leggo dietro quel sorriso accennato.
Non è mai stato un illuso e nemmeno io,
ma Sirius è al mio fianco stanotte; di Rodolphus abbiamo
soltanto le inutili ceneri di una lettera ipocrita.
Sento il gelo che m’invade, la mano di mio
fratello indica qualcosa oltre le spalle di Rabastan; intravedo la
sagoma scura in movimento.
“Expecto Patronum!” grido
senza esitare e la creatura argentea si materializza tra noi e quel
demone nero.
“Che diamine…”
La voce di Sirius è incredula e
interrogativa. Evidentemente neanche lui aveva mai visto il mio
patrono prima d’ora.
L’enorme cane argenteo cha scaccia via
gl’incubi.
< Ebbene, adesso lo sai. > vorrei dirgli.
< Anch’io l’ho scoperto da poco. >
Del resto siamo fratelli, non è insolito
che la medesima essenza protegga entrambi.
Ma Sirius sembra molto più turbato di me
e nel suo sguardo intravedo il guizzo di qualcosa che non conosco.
Quanti segreti, ancora…
“Dobbiamo andarcene da qui.” ci
riscuote Rabastan indicando il cuore della foresta, che si fa pian
piano brulicante di fruscii.
Sirius è di nuovo in allerta. “Al
Platano.” sussurra lesto.
***
Non ero mai entrato nella Stamberga Strillante,
non ero nemmeno a conoscenza del tunnel, e dall’espressione
lievemente guardinga di Rabastan capisco che nemmeno lui è mai
stato qui. Si muove con cautela.
Sirius invece procede con disinvoltura, potrei
giurare che ne conosce ogni angolo. Vorrei chiedergli quante volte è
stato qui e in quali occasioni, ma lui si volta come se avesse
sentito ciò che non ho pronunciato e i suoi occhi dicono:
< Questi sono fatti miei. Non essere
petulante, fratellino. >
< Va bene, va bene… Non invaderò
i tuoi spazi. > rispondo mentalmente.
E intanto l’unico suono che si ode è
la scala di legno che cigola.
“Estela?” mi chiede sottovoce
Rabastan.
“Sta bene.” mento e lui mi guarda
con aria esasperata. “Forse… un tantino agitata…”
tento di rimediare, abbozzando un mezzo sorriso come ammissione di
colpa. “Se la caverà.” aggiungo poi.
Una porta sbatte.
Sobbalziamo tutti perché è quella
più vicina a noi, e perché la tensione è alta.
Sirius la guarda con apprensione, poi le sue
labbra si stringono e un istante dopo ha già allungato la mano
verso la maniglia.
Inclemente verso se stesso e irruente con la
paura…
Rabastan lo precede; sono simili, loro due.
Apre la porta e al di là c’è
il buio.
Stringo gli occhi, compare una sagoma…
Nessuno respira, l’aria è troppo
gelida.
Il mio amico spalanca le labbra come per
parlare, ma non ne esce alcun suono. Non ricordo di averlo mai visto
così spaesato.
Di fronte a lui c’è una stanza
lussuosa e decadente, con un’enorme scrivania intagliata nel
legno scuro. Rodolphus Lestrange è seduto dietro di essa.
“E’ INUTILE.” tuona la sua
voce profonda. “QUALSIASI COSA FARAI, SARA’ SEMPRE
INUTILE.”
Ha gli occhi ardenti, crede in quel che dice, è
composto, ma appassionato.
“NON SARAI MAI DEGNO.” continua.
“NON LO SARAI MAI.”
La voce si perde dentro una nube di fumo e
polvere.
Sirius si è messo di fronte a noi; ha
strattonato Rabastan senza riguardo e ha preso il suo posto. Quello
ha barcollato prima di trovare il braccio che gli avevo allungato
d’istinto.
E’sconvolto.
Nella stanza risuona ancora l’eco
dell’ultimo “mai”, ma le pareti stanno già
cambiando.
Sirius trattiene il fiato.
Adesso è una cella di nudi mattoni,
grondante di sangue.
Al centro, un lupo grigio agonizza riverso sul
pavimento. Il pelo è rossastro e appiccicoso, gli occhi
vitrei. Sta morendo.
“Riddiculus!” grida e tutto
scompare.
Mio fratello si volta, ancora visibilmente
sconvolto. “E’ solo un molliccio.” dichiara.
E’ quasi realtà…
Non fa dell’ironia e non critica il nostro
tremore. Ha a malapena la forza di richiudere la porta; che non è
poco, dopo quello che abbiamo visto. Era terribile.
E non so cosa significhi esattamente per lui, ma
una cosa è certa: non sono io la causa della sua paura e
questo un po’ mi rincuora. Sarebbe stato un peso troppo grave
da portare.
E poi ci sono cose di lui che non mi devono
riguardare, sentimenti dai quali sono escluso…
Li rispetto.
Rispetto le sue scelte e il suo dolore.
Lui sente il bisogno di provarlo.
“Di qua.” ci fa segno di seguirlo.
Rabastan ha il passo ancora incerto. Si
somigliano, certo. E’solo che Sirius ha un po’ più
d’esperienza con la paura.
Apre una porta senza esitare, questa volta non
ci sono incubi ad attenderci al di là della soglia. Soltanto
un letto a baldacchino dalle tende sfilacciate e qualche mobile
vistosamente danneggiato.
“Possiamo rimanere qui tutta la notte.”
dice sedendosi sul pavimento, la schiena appoggiata alla parete. “Non
ci troveranno.”
Chiude gli occhi; ha un’espressione
finalmente rilassata, sembra a casa. La sua casa.
Sono anni che non lo vedo così.
La stanza è spoglia e piena di spifferi,
mi chiedo come sia possibile, ma le mie mani stanno ritornando
tiepide.
Rabastan si appoggia al materasso consunto.
“Grazie, Black.”
Il nostro cognome mi colpisce, improvvisamente
diventa ciò che ci accomuna.
Sirius scrolla le spalle incurante e non
risponde.
Sta molto meglio adesso, e anch’io.
Questo luogo racchiude molti dei suoi segreti,
lo leggo sul suo viso, dalle palpebre abbassate.
Sento quasi caldo. L’aria è densa
dei suoi ricordi e io l’ho visto spalancare la porta con
decisione e senza rimpianto, perché potessimo entrarvi. E’
rimasto con noi.
L’ha fatto lui, a nome di tutti gli altri
fratelli.
***
Questa mattina il portone si è aperto per
noi.
Non abbiamo nemmeno tentato di nasconderci,
Sirius ed io.
Sarebbe inutile. Lui già saprà
che abbiamo passato la notte fuori, ma non dirà niente. Non
gl’importa, in realtà.
Il suo divertimento è finito quando
Rabastan si è fatto avanti.
Mio fratello, di fianco a me, rabbrividisce
vistosamente sotto il mantello. La nebbia è densa e fradicia
stamani.
Si strofina con forza le braccia, non sapevo che
soffrisse così tanto il freddo.
Ma del resto, non pensavo nemmeno che sarebbe
venuto in mio aiuto…
Non aveva nemmeno ma visto il suo patrono…
Il nostro fedele cane argentato.
Estela è proprio davanti ai battenti,
come se di trovarci lì, lei già lo sapesse…
Non si è legata i capelli, questa
mattina, forse non è nemmeno andata a letto.
Le strizzo l’occhio perché è
la mia migliore amica e perché sono contento che ci sia
qualcuno ad aspettarci, ma lei è già al collo di
Rabastan, la nuvola dei suoi capelli biondi si rovescia sul mantello.
Si abbracciano sotto le volte dell’ingresso
e il tempo sembra fermo.
Sirius sogghigna.
Sì, il tempo si è fermato e sento
che stiamo per ridere, tutti e quattro.
Ho un altro ricordo felice.
E potrei quasi scommettere che adesso ne ha uno
nuovo anche Sirius. Per la sua saccoccia, senza dubbio.
L’atrio è ancora deserto ad
eccezione di un unico ragazzo che sta scendendo le scale a passo
spedito.
Riconosco Lupin, e mi sento sollevato al
pensiero che qualcuno sia rimasto sveglio ad attendere mio fratello.
Si avvicina senza mai distogliere gli occhi da
Sirius e dal suo modo sguaiato di ridere e sul suo volto scopro
un’espressione nostalgica e felice. Gli si mette di fianco e
punta la propria bacchetta contro i suoi vestiti.
Sussurra un incantesimo autoriscaldante;
evidentemente lui sa che mio fratello soffre il freddo…
Mi chiedo se conosca anche il suo molliccio…
Certe cose, credo, non le saprò mai.
Estela scuote la testa a conferma dei miei
pensieri; le sorrido, forse adesso può leggere anche la mente,
insieme al futuro.
E solo ora mi rendo conto che non mi aveva
predetto alcun aiuto, per stanotte.
Ma forse la responsabilità è tutta
di Sirius.
Questa volta è riuscito a gabbare persino
la preveggenza.
FINE.
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