7.
Malfoy
Un vento freddo agitava le fronde più alte degli alberi, le
cui foglie ormai ingiallite dall’autunno frusciavano e crepitavano al di sotto
di un cielo grigio e minaccioso. Un velo opaco di nuvole navigava leggiadro
sopra l’accampamento dell’Ordine, piangendo una pioggia sottile che trafiggeva
la superficie del lago con piccoli aghi implacabili. Le sponde ghiacciate
cominciavano a sciogliersi al tocco di quelle dita, creando rigagnoli fangosi
sulla riva.
Draco osservava la cortina d’acqua che cadeva fitta dal cielo,
dentro gli occhi pensieri impalpabili. Si riparava sotto i rami ombrosi di
quell’albero che era diventata la sua casa; le mani in tasca e la schiena
mollemente poggiata sull’ampio tronco, sembrava quasi essere parte integrante
della vegetazione.
Hermione impiegò qualche istante ad individuarlo, al di là del velo
di pioggia. Gli si avvicinò lentamente, concedendosi il vizio di un incedere
lento e pacato, sereno, e regalandosi poi un attimo per osservarlo meglio.
I capelli biondissimi gli ricadevano sulla fronte,
stranamente scomposti, e il viso affilato, più pallido del solito, era rivolto
verso il lago, immobile come una statua. I vestiti sgualciti con cui l’avevano
catturato, ormai logori e sporchi in più punti, gli ricadevano mollemente
addosso, accentuando l’asciuttezza del suo corpo.
« Che vuoi? » La sua voce, stranamente pacata
nonostante il distacco gelido con cui aveva parlato, la fece sussultare. Hermione realizzò con qualche istante di ritardo che i suoi
occhi la stavano scrutando.
« Ti ho portato la zuppa » Avrebbe voluto che la sua voce
suonasse ferma e sicura di sé, ma al suo orecchio giunse solo un pigolio. Sperò
che il tuono che aveva appena rimbombato in lontananza attutisse quella
sensazione, ma il sorriso sghembo che si disegnò sul volto dell’altro le fece
capire che non era così.
« Intendo dire che vuoi davvero, Granger
» Draco incrociò le
braccia sul petto, gli occhi scintillanti di divertimento.
Hermione emise un sospiro infastidito, mentre poggiava a terra la ciotola
che gli aveva portato, opportunamente incantata perché la pioggia non potesse
intaccarne il contenuto.
« Non lo so, Malfoy.
Dimmelo tu »
Puntò gli occhi scuri su di lui con decisione, lo sguardo determinato di sempre
a brillare oltre la penombra di quel giorno piovoso. « Ieri sera sei venuto a cercarmi, e
non credo che tu l’abbia fatto solo per dirmi che ti infastidiscono i Babbani »
Una
saetta tagliò il cielo a metà, in silenzio. A Hermione
sembrò di vedere un lampo di luce negli occhi del ragazzo, ma si convinse che
era stato solo un gioco d’ombre quando un ghigno fastidioso tagliò il suo volto
bianco. Un tuono esplose in lontananza, compagno in ritardo del fulmine di
prima.
« Cerco di strapparti informazioni, Granger, e tu sei così stupida da non capirlo » disse con voce ricolma di risentimento, quasi sputandole in
faccia quelle parole. L’angolo della bocca di Hermione
si alzò verso l’alto.
« O forse lo stupido sei tu, che non
hai ancora capito che non uscirai da qui fino alla fine della guerra » La sua voce era pacata e serena, nonostante la velata
minaccia insita nelle sue parole.
« O fino a quando sarete tutti morti » precisò Draco
con una pedanteria che non gli apparteneva, uno scintillio divertito e
vagamente malvagio negli occhi grigi. La giovane strega si strinse nelle
spalle. Il suo silenzio era un modo implicito di dargli ragione senza però
regalargli la soddisfazione di farlo davvero.
« Io invece penso che tu ti senta
semplicemente troppo solo »
considerò Hermione, senza dare alcuna particolare
inflessione alla sua affermazione, come se volesse riservare a lui il compito
di interpretare ciò che aveva appena detto. Draco,
per tutta risposta, emise uno sbuffo simile a uno sghignazzo divertito.
La
ragazza sospirò.
« La zuppa puoi mangiarla con noi, se
vuoi. Nessuno ti chiederà di andare via » disse piano, guardandolo con un
dispiacere palpabile a brillare nelle iridi scure. Quello sguardo, per lui, era
qualcosa di molto simile all’inferno. Si sarebbe domandato per sempre il motivo
per cui quegli occhi sembravano così delusi dai suoi silenzi, dalla sua
arroganza; si sarebbe chiesto in ogni momento della sua vita, da quel momento
in poi, cos’era quella ferita che le aveva aperto in fondo all’anima e che
sanguinava da quello sguardo castano. Per sempre sarebbe stato tormentato da
quegli occhi.
E
Draco conosceva un solo modo di difendersi dalla
paura del tormento.
« Ecco cosa me ne faccio della tua
schifosa zuppa »
disse prima di assestare un calcio deciso alla ciotola che Hermione
aveva poggiato a terra. La zuppa, ancora calda, abbeverò l’erba che cresceva ai
piedi dell’albero che offriva loro riparo. Mentre lei abbassava lo sguardo, lui
le piantò due occhi enormi di paura addosso.
La
ragazza rimase immobile a guardare le ultime gocce del lavoro di Molly assorbite
dal terriccio spugnoso. Non gli rivolse nemmeno un ultimo sguardo, prima di
andare via. Né sguardi né parole. E Draco si sentì
improvvisamente colpevole, e capì che avrebbe dovuto fare i conti con quella
nuova sensazione per il resto della sua vita. Capì che quello sguardo mancato
era il suo castigo.
***
Luna gli si avvicinò in
un giorno di sole. Si sedette accanto a lui e cominciò a intrecciare un cestino
di vimini a una vicinanza che Draco riteneva
semplicemente scandalosa, ma che, era evidente, metteva la ragazza a proprio
agio. Rimase in silenzio a lungo, impegnata nel suo preciso compito. Dal suo
collo ciondolava una strana collana composta da quelle che somigliavano
pericolosamente a cipolle. Puzzavano, anche, come cipolle.
Draco storse il naso e strisciò lentamente lontano da lei,
lanciandole occhiate cariche di disgusto che lei non sembrava vedere.
« Neville mi ha
baciato, qualche mese fa » esordì dopo diversi minuti di silenzio. Quando parlò
aveva il timbro acceso da qualcosa di incomprensibile, una sfumatura di
leggiadria intrisa da una nota di naturalezza che rendeva la sua voce soave, e
dolce.
« Cosa vuoi che me ne
importi? » Draco non riuscì a tacere quel pensiero,
perché l’affermazione di Lunatica era tanto inopportuna quanto assurda.
« Desiderava farlo da
tanto tempo. O almeno, così mi ha detto » La ragazza gli rivolse un sorriso
tenue e delicato quanto la tinta bionda dei suoi capelli sporchi, ben diversa
da quella di lui, così arrogante nel suo splendore. Draco
sbuffò, domandandosi il motivo per cui il destino si stesse accanendo così
tanto contro di lui.
« E allora?! » Inarcò
le sopracciglia e allargò le braccia, incapace di cogliere la destinazione
finale di quel discorso per lui privo di ogni logica.
« Penso che tutti, prima
della fine, debbano trovare il coraggio di fare ciò che desiderano. Di baciare
la persona che amano » Gli occhi di Luna erano enormi, tanto sporgenti che
sembravano entrargli dentro l’anima e sondarne ogni angolo. La semplicità della
sua voce era così tanto in contrasto con il contenuto delle sue parole, che la
pura meraviglia di Draco si trasformò in stupore,
senza avere il tempo di mutare in rabbia.
***
Il silenzio della tenda
era rotto solo dal respiro quieto e controllato di Neville. Una leggera brezza
trapelava dall’entrata tramite un lembo aperto che lasciava filtrare anche una
parziale luce. L’odore tenue e appetitoso del coniglio arrosto di quella sera
gli stuzzicò i sensi al punto che il suo stomaco rispose con un leggero
brontolio.
« Credevo che avessimo un patto » La voce di Draco era strisciante e fredda, un basso sibilo monocorde
che recava con sé lo strascico ingombrante di una minaccia. Spezzò la quiete
apparente della tenda in modo tanto inaspettato che l’altro non poté fare a
meno di sussultare lievemente, perché non l’aveva sentito arrivare.
Neville, chino su una
mappa che si affrettò a nascondere con un rapido movimento di polso, si voltò a
guardarlo lentamente. Stranamente, non c’era sorpresa, nel suo sguardo, quando
incrociò l’occhiata severa del biondo, penetrato nella sua tenda di nascosto,
in silenzio.
« Sai, potrei anche
ucciderti nel sonno. Potrei uccidervi tutti » Gli occhi grigi scintillanti come
diamanti, e altrettanto duri, erano due stelle scure nella penombra
dell’abitacolo; il suo corpo, teso e rigido, sembrava pronto a scattare da un
momento all’altro. Draco sembrava una bestia ferita
in procinto di attaccare, eppure, Neville non aveva paura.
« Non capisco, Malfoy » esalò in un sospiro, con una calma che innervosì
il biondo.
« Non devi capirmi, Paciock » ringhiò l’altro in un cupo tentativo di difesa
che culminò con uno sbuffo impaziente. Draco strinse
il pugno, che tuttavia rimase inerte lungo il braccio.
Neville lo guardò
dritto negli occhi con espressione limpida, ma incerta.
« Se la ami così tanto »
cominciò il ragazzo, un passo verso di lui con lo sguardo fisso sul suo volto,
all’erta ma disposto al dialogo. « perché non… » Draco
ruggì un gemito di dolore e gli impose di tacere con uno sguardo infuocato di
orribili minacce, ma l’altro non colse la sua provocazione silenziosa « …non glielo
dici e basta? » Neville allargò le braccia, quasi ad accogliere la risposta con
entusiasmo « Perché continui ad essere così odioso, insopportabile e… » esitò
un attimo, nel tentativo di trovare le parole giuste «… e stronzo » concluse
con l’ombra di un sorriso a far capolino dalla bocca sfigurata.
« Perché io sono così »
ribatté rapidamente Malfoy con tono gelido.
« No tu fai così » Neville gli puntò contro un
lungo indice accusatorio, penetrandogli dentro con uno sguardo tagliente e
sincero. Draco masticò il dolore con la mascella tesa
e una scintilla incomprensibile negli occhi. Il tempo vuoto dei loro sguardi si
infranse nella sua domanda.
« Perché l’hai detto a
Lunatica? » domandò con una strana pacatezza, fin troppo accentuata per essere
vera. Infatti, dal cono d’ombra in cui era nascosto il suo viso, emergeva l’eco
di un sorriso denigrante.
« Si chiama Luna » precisò
Neville, digrignando i denti per cercare di nascondere il fastidio e la rabbia
per quel nomignolo infamante.
« Perché? » insistette
il biondo, che non voleva perdere tempo in dettagli di poca importanza. Questa
volta, fu il turno del Grifondoro di sorridere.
« Io non ho detto
niente, Malfoy. Luna è molto più intelligente di quel
che pensi » Gli voltò le spalle con un sospiro stanco, e mentre Draco emetteva un suono a metà tra una risata e uno sbuffo
spazientito, lui raccolse le carte che stava consultando, gettate alla rinfusa
sul tavolo, e dopo averle arrotolate le dispose in un’unica, ordinata pila.
« Tieni la bocca chiusa
» esalò il fu Serpeverde, con un tono che aveva
qualcosa di così definitivo, che per un attimo Neville fu tentato di non
replicare; di invitarlo fuori e mettere fine a quella conversazione che, lo
sapeva, non avrebbe portato da nessuna parte. Eppure, sapeva anche che c’era
qualcosa, dentro di lui, qualcosa che lui aveva visto nella sua mente ma che
era nel suo cuore, scolpito fin dentro l’anima, da scoprire.
« Perché? » domandò
allora, gettandogli uno sguardo strano da oltre le spalle tese e rigide.
« Non sono affari tuoi
» ribatté l’altro, sulla difensiva. Fece un passo indietro e lo guardò con
espressione ferita. Neville si voltò verso di lui proprio mentre un tuono
spezzava la quiete della notte.
« Sai, lei potrebbe
anche amarti se tu non fossi così… » Il suo era un sussurro fermo, ma talmente
flebile che per Draco non fu difficile interromperlo.
« Così come? Mangiamorte? »
ringhiò, divorando la distanza che li separava. Quasi gli finì addosso, tanta
era la sua foga. Il viso rosso di rabbia, sputò quelle parole a pochi
centimetri dal suo viso. C’era una traccia di profondo risentimento in quella
parola appena pronunciata.
« No. Malfoy » Neville
era perfettamente padrone di sé quando gli rispose con la calma che un tempo
era appartenuta a Silente.
« E che differenza fa?
» Quella di Draco, più che una domanda, era una
risata beffarda uscita dalle labbra con intenzione derisoria. L’altro, però,
rispose con una pacatezza che lo infastidì, se possibile, ancora di più.
« Tutta la differenza
del mondo »
Malfoy piantò le iridi grigie, colme di risentimento e rabbia,
dentro quelle scure di Paciock. Si guardarono l’un
l’altro, squadrandosi con astio, o con semplicità, come se entrambi fossero in
attesa di qualcosa. Draco respirava a fatica, la
mascella tesa e i pugni serrati nel vano tentativo di controllare la rabbia che
colava come lava dal vulcano che era il suo cuore. Non riusciva a capire il
motivo per cui si trovava lì, con quell’essere inutile, a discutere di faccende
così personali che non osava parlarne nemmeno con se stesso. Non riusciva a
capire cos’era quella sensazione prossima alla gratitudine, quel barlume di
speranza – sbagliata e inutile – che gli si era acceso dentro e che sentiva il
bisogno di distruggere prima che fosse troppo tardi. Non voleva crederci. Non
poteva permettersi di crederci.
« Malfoy è quello che sono » disse
dopo molti minuti di silenzio, marcando con enfasi orgogliosa il suo cognome.
« Malfoy
è solo come ti chiami » lo corresse Neville, che invece si curò di tralasciare
il particolare che lui aveva tanto attenzionato.
« Ti sbagli » concluse
asciutto Draco, prima di voltargli le spalle. Stava
per uscire dalla tenda, quando Paciock gli parlò.
Quella che per lui era una provocazione, per l’altro non era che un semplice
tentativo di spingerlo verso la retta via. Per quale motivo lo stesse facendo,
nemmeno Neville lo sapeva. Forse, in un certo qual modo, si sentiva legato a
lui. Il motivo poteva essere uno qualsiasi tra quelli a cui aveva pensato negli
ultimi giorni.
Si sentiva legato a lui
perché gli aveva invaso la mente e aveva scoperto un segreto, sepolto sotto
strati di menzogne e paure, che non si aspettava di scoprire. Il tacito patto
che avevano stretto, che lo invitava al silenzio, non era stato rotto per
rispetto, verso di lui e verso i suoi amici.
Si sentiva legato a lui
perché su di lui incombeva la minaccia del tempo. Si sentiva legato a lui
perché anche Draco, esattamente come era stato per il
ragazzino che era, sentiva il bisogno di trovare la pace dell’amore, prima
della fine. A differenza sua, però, Neville aveva avuto modo e occasione di
confessare a Luna dei suoi sentimenti. Dopo, si era sentito in pace con il
mondo, pronto ad affrontare tutto ciò che sarebbe venuto con un nuovo spirito.
A Draco, questo non sarebbe mai toccato. Lo conosceva
abbastanza da sapere che non avrebbe mai rivelato ad Hermione
dei suoi sentimenti, e d’altronde, gli ostacoli da superare erano così tanti, e
il tempo così poco, che era certo non sarebbe stato capace di farlo comunque,
vigliacco com’era. Ma voleva comunque dargli la possibilità di tentare. In
qualche modo – non sapeva come, né perché – sapeva che era la cosa giusta da
fare; sapeva che avrebbe affidato Hermione in mani
sicure. Era assurdo anche solo pensarlo, ma era la verità. Lo sentiva.
« Ti piace pensare di
non avere scelta perché ti senti più al sicuro, vero? Così non devi prenderti
la responsabilità delle tue azioni, lasci solo che le cose accadono… »
Draco gli fu addosso in un attimo, gli occhi implacabili e le dita
serrate attorno al polso ormai smagrito del ragazzo.
« Paciock,
tu non sai niente di me » sibilò inviperito, respirandogli addosso tutta la sua
frustrazione.
« So quello che ho
visto, Malfoy » Ancora quella calma, così limpida e
scintillante che Draco ne risultò infastidito.
« Quello che hai visto
era solo… solo… » gli mancarono le parole e non riuscì a continuare. Si ritirò
nel suo guscio, come una tartaruga alla vista di un predatore, ma prima che
potesse fuggire del tutto Neville gli venne in soccorso.
« Eri tu » disse, un
sorriso incoraggiante a far capolino dalle sue labbra. « Era Draco. Quello che ho visto era solo Draco.
Senza maschere, senza pregiudizi o inibizioni. Senza il peso del tuo cognome »
Draco gli soffiò addosso tutto il suo disgusto. Ferito nel suo
punto più debole, si sentì improvvisamente nudo, vulnerabile, esposto a quel
ragazzetto che era sempre stato deriso e che ora - gli sembrava - stava
deridendo lui, mettendo sul tavolo della verità il suo animo, che però era
fatto di bugie e apparenze, finzioni e menzogne, una tragedia che non poteva
venire smascherata prima che il sipario si chiudesse sull’atto finale.
Così, Draco tirò fuori l’unica arma che conosceva: l’offesa.
« Io sono fiero di
essere quello che sono, Paciock. A differenza tua, i
miei genitori non sono patetici vegetali, ma potenti e ricchi Purosangue nel
pieno del loro splendore, sottoposti del più grande mago di tutti i tempi » Un
ghigno malvagio, un passo in avanti. Un respiro più lungo, per riprendere il
controllo di sé e ricordare a se stesso l’importanza del suo cognome.
Neville emise un
sospiro profondo, tentando di dominare il tremito alla mano destra. Le dita
pungevano fastidiosamente, inondate dalla magia che la rabbia aveva fatto
deflagrare dentro di lui, ma riuscì comunque a controllarle. Affondò le unghie
nel palmo nella mano, quasi fino a farle sanguinare, pur di non cogliere la
provocazione e rispondere a quell’affermazione cattiva, fatta solo per ferire.
Il ragazzo chinò il capo, così da sfuggire allo sguardo malvagio e derisorio di
Malfoy. Si concesse qualche minuto di riposo, una
pausa prima del round finale. Quando puntò gli occhi su di lui, fu per
replicare. Il suo sguardo, però, colse un movimento al di là della spalla del
biondo. Gli bastò un’occhiata per comprendere, un minimo di autocontrollo per
evitare che gli sfuggisse un sorriso.
« Fai come vuoi, Malfoy » disse semplicemente. Poi, esalò un altro sospiro e
gli voltò le spalle.
Draco corrugò la fronte, offeso da quel ripensamento, irritato dal
suo silenzio. La pacatezza dei suoi modi, l’indifferenza del suo sguardo e la
calma che trasparivano dal suo viso, lo irritarono oltremodo, tanto che sarebbe
bastato un attimo di silenzio in più a farlo esplodere.
« Ho interrotto
qualcosa? » La voce di Hermione non era limpida come la
ricordava, incrinata com’era dal dubbio e dal timore, ma bastò il solo pensiero
della sua vicinanza a farlo irrigidire. Un fremito gli percorse la schiena. Quando
si voltò a guardarla, lei aveva gli occhi fermi sulla schiena di Neville, e
un’adorabile ruga di preoccupazione le tagliava a metà la fronte bianca.
« Niente. Malfoy stava andando via » Neville puntò gli occhi scuri
sul biondo, che gli voltò le spalle senza aggiungere una parola. Forse era
stata solo la sua immaginazione, ma gli sembrò di intravedere un lampo di
gratitudine nel suo sguardo.
***
« Cosa vi siete detti tu e Neville? » Hermione
poggiò ai piedi del grande albero un vassoio, sul quale erano adagiati un pezzo
di pane, due fette di formaggio e una brocca d’acqua. Draco
gli scoccò solo un’occhiata gelida, prima di voltarle le spalle.
« La curiosità è donna » sibilò con tono piatto, tornando
alla sua precedente occupazione – muovere il polso con scatti strani e
pronunciare tra le labbra incantesimi che lei non conosceva, o che fingeva di
non conoscere.
« Malfoy! » Hermione
espirò rapidamente, spazientita da quel comportamento tanto diffidente e
freddo. Fece un passo in avanti e gli afferrò un braccio, con l’intenzione di
costringerlo a voltarsi verso di lei, di darle ascolto. Lo fece con calma,
quasi senza pensarci, uno sbuffo a sfuggirle dalle labbra, ma la pacatezza dei
modi di sempre.
La reazione di Draco fu repentina
quanto il fremito che gli attraversò il corpo, come una dolorosissima scarica
elettrica, quando il contatto si fece reale. Forse erano i riflessi sviluppati
durante la guerra, o, più semplicemente, il bisogno bruciante che gli corrose
lo stomaco; o ancora, la consapevolezza che toccarla avrebbe significato
l’inizio di una follia che non sarebbe riuscito a fermare. Perciò, Draco le afferrò il polso con forza, le dita strette
attorno all’ossatura esile con una morsa ferrea, dolorosa per entrambi, e la
spinse contro un albero, lontano da lui.
Hermione
sussultò, colta alla sprovvista da quel gesto fulmineo. Un fremito di paura le
lampeggiò negli occhi quando lui la scaraventò senza gentilezza contro il
tronco, il fiato a spezzarsi in gola e un urlo a cristallizzarsi tra le labbra
– troppo orgogliosa per lasciarlo sfuggire ma troppo spaventata per non
chiudere gli occhi.
« Non - » Draco respirò a fondo, nel
tentativo di dominare se stesso e infondersi una calma che in realtà non aveva.
Il calore che si irradiava dal suo corpo era tanto forte che temeva che lei lo potesse
sentire. « toccarmi. Non osare toccarmi, Granger »
disse, strascicando la voce, già più padrone di sé di quanto non fosse pochi
istanti prima. Riacquistato un barlume di lucidità, fu persino in grado di
vestirsi di un ghigno feroce e sardonico, prima di aggiungere, a voce più bassa
e con tono beffardo: « Mi contamini ». Spolverò la manica della camicia nel
punto in cui l’aveva toccato con un sorriso sornione e sbruffone sul volto,
prima di puntare gli occhi sul suo volto, come in una sfida.
Hermione, la
fronte corrugata in un’espressione inquieta e confusa, impiegò qualche istante
a riacquistare il suo autocontrollo. L’ultima affermazione del ragazzo le
illuminò il volto di una consapevolezza amara e a tratti dolorosa. Solo quando
lui sorrise, con quella smorfia cattiva e ingiusta, la confusione svaporò e si
trasformò in orgoglio ferito. Se solo avesse fatto più attenzione, forse
avrebbe visto quel lampo di furente dolore negli occhi di Draco,
quando lei alzò il mento e strinse le labbra, colpita da una sofferenza
interiore che non avrebbe dovuto esserci, non davanti a lui e, soprattutto, non
perché lui l’aveva ferita nel suo punto più debole – il sangue, che era sempre
stato un problema in quel mondo, maledizione a metà e condanna al purgatorio.
Se solo avesse avuto meno pregiudizi e più presenza di spirito, avrebbe
certamente intravisto il lieve tremare delle mani, o il rigido indurirsi della
mascella, che denotavano turbamenti ben più profondi di un semplice timore di “contaminazione”
– in effetti una contaminazione c’era, ma ben diversa da quella che si
immaginava lei.
Hermione
poteva anche essere la strega più brillante di Hogwarts,
ma rimaneva pur sempre una ragazzina di vent’anni, e, soprattutto, l’idea che
lui potesse provare qualcosa di anche solo lontanamente simile al rispetto, per
lei, era talmente assurda che lei nemmeno l’aveva presa in considerazione.
« Che vi siete detti? » ripeté, questa volta con tono più
determinato, gli occhi fissi sul suo volto e le braccia mollemente abbandonate
lungo i fianchi. Il corpo, però, era teso, quasi fosse pronto a scattare al
minimo tocco.
« Credevo che Paciock fosse tuo
amico. Fattelo dire da lui » sputò Draco con
minimalismo, muovendo una mano come se stesse cercando di scacciare una mosca
fastidiosa. Hermione inarcò un sopracciglio.
« A quanto pare, è anche amico tuo » considerò con tono
provocatorio. Lui le scoccò un’occhiata a metà tra l’amaro e il divertito.
« Sei gelosa, Granger? » la
provocò, l’angolo della bocca alzato in un ghigno beffardo. « Non temere… Io
non ho amici » disse, con un tono tanto definitivo e amaro che lei, per diversi
istanti, fu costretta a tacere, abbeverandosi di quel timbro e dell’eco triste
della sua voce.
Draco le voltò le
spalle e si allontanò da lei, costeggiando le rive del lago fino a quando la
voce di Hermione non tornò a ronzargli attorno, come
una mosca fastidiosa.
« Potresti averne se non fossi così… così… » si fermò,
incapace di trovare le parole.
Draco si bloccò di
colpo, in attesa del verdetto finale. Quando capì che lei non avrebbe
continuato perché le mancavano le parole, si voltò verso di lei. Aveva il capo
chino, come se potesse trovare la risposta finale a terra, tra il terriccio
umido e le foglie secche.
« Così? » la esortò lui con tono caustico. La sua voce, però,
alle sue orecchie, risuonò traboccante di speranza. Ingoiò un amaro boccone e
strinse i pugni, pungendosi la lingua con i denti come se quella punizione
avesse potuto espiare il suo errore.
Hermione non
sembrava essersi resa conto di niente. Aveva alzato gli occhi su di lui e lo
fissava con sguardo limpido, incattivito da una punta di dolore.
« Così Malfoy
» disse semplicemente.
Era il suo cognome, in fondo. Ed era stato abituato a
sentirlo fin da quando era piccolo, pur con quella punta di timore e reverenza
che da sempre aleggiava intorno alla sua famiglia; o con la sfumatura di
disprezzo che spettava a chi utilizzava la manipolazione o la corruzione come
metodo privilegiato per arrivare ai suoi scopi. Eppure, sulle sue labbra aveva
un sapore diverso, un suono dissonante che lo rendeva infelice e insoddisfatto
delle sue origini. Forse, era l’eco delle parole di Neville a rimbombargli
nella testa, un urlo tanto forte da rendere vero, per la prima volta, tutto ciò
che aveva vissuto ma nascosto.
E allora Draco ebbe la sensazione
che, in fondo, quella prigionia era quanto di meglio potesse capitargli. Dentro
di lui si accese un faro di speranza.
Eloise.