L’erede
La
notte era già scesa su
Camelot da tempo e le stelle bucavano il soffitto scuro del cielo,
nitide come
non mai, poiché la luna non era altro che una fine falce
luminosa.
Due
tocchi delicati alla porta
della sua stanza fecero sollevare lo sguardo di Artù,
intento a controllare
plichi di pergamene sparse sul tavolo: non sempre il mestiere di re era
divertente come lasciavano supporre gli eleganti banchetti o le
intriganti
battute di caccia.
-Avanti.-
disse senza
abbassare gli occhi dall’uscio.
La
maniglia ruotò lentamente
verso il basso e la figura aggraziata della sua consorte fece capolino
nella
stanza. Era bellissima quella sera, con un lungo abito porpora e oro,
che le
incorniciava la vita stretta e il seno rigoglioso. I capelli erano
riccamente
acconciati in boccoli delicati, che le ricadevano morbidi sulle spalle,
come
una cascata di fronde perfette.
A
volte si dispiaceva di
quanto la trascurasse: probabilmente la sua regina non si meritava
tutto
questo.
-Vieni,
accomodati.- disse
indicandole la sedia vuota alla sua destra.
Ginevra
richiuse alla sue
spalle la spessa porta di legno, per poi avvicinarsi con lentezza al
tavolo
dove sedeva Artù. Sembrava quasi restia a mostrarsi al suo
cospetto a quell’ora
tarda e i suoi occhi sembravano non voler affatto incontrare quelli del
marito.
Una
volta raggiunto il re,
rimase in piedi di fronte a lui, senza aver apparentemente recepito
quanto
appena detto da Artù.
-Devo
parlarti.- disse
semplicemente, riuscendo finalmente a guardare il volto del Pendragon.
-Dimmi
tutto, sono qui apposta
per ascoltare ogni tuo turbamento.- rispose Artù con un
sorriso.
Ginevra
rimase ancora in
silenzio per un po’, abbassando lo sguardo più
volte, incapace di pronunciare
quelle due parole che tanto le tormentavano l’animo.
-Sono
incinta.-
Il
re sgranò gli occhi per la
sorpresa, ammutolito dalla notizia. Ancora non riusciva a realizzare la
portata
di quell’evento: sarebbe diventato padre, avrebbe avuto un
erede e quello che
il grembo della sua sposa nascondeva sarebbe un giorno diventato il re
o la
regina di Camelot. A ben pensarci gli aspetti positivi superavano
quelli
negativi, tuttavia la paura di non saper affrontare la nascita di una
nuova
vita lo colse alla sprovvista. Sarebbe stato un buon padre? O sarebbe
stato
come Uther? Avrebbe saputo insegnargli i valori importanti della vita?
Forse
porsi tutte quelle domande era un po’ prematuro, dato che
aveva tutto il tempo
necessario per prepararsi al lieto evento.
Si
riscosse dal torpore muto
dei suoi pensieri più intimi:-Ma è stupendo,
Ginevra! Dovremo presto darne
l’annuncio ufficiale. Il popolo accoglierà con
gioia la notizia.-
La
regina abbozzò un sorriso pudico.
-Da
quanto tempo lo sai?-
chiese poi il giovane re, notando il fisico ancora perfetto della
consorte,
sulla quale non si notava neppure un abbozzo di pancia.
-Poco
più di due lune…- ammise
Ginevra. –Non volevo darti la notizia, finché non
ne fossi stata certa.-
A
quelle parole gli occhi di
Artù si serrarono in quelli della moglie, indagatori,
scrutatori, fin quasi
accusatori, speranzosi di cogliervi la verità, che a poco lo
stava raggiungendo
come un pugno nell’addome, spezzandogli il fiato. Due lune.
Due stupide
fottuttissime lune. Si guardò attorno, cercando
dell’aria, che disperatamente
faticava per giungere ai suoi polmoni, quasi il suo torace fosse cinto
da una
morsa opprimente. Deglutì più di una volta, senza
tuttavia ingerire nulla, dato
che la sua bocca si era fatta improvvisamente arida, la lingua ruvida
come se
avesse ingoiato un cucchiaio di sabbia.
Era
almeno tre lune che non
toccava Ginevra.
Il
che significava un’unica
sconvolgente verità: che il figlio che portava in grembo non
era suo.
Avrebbe
dovuto capirlo subito,
dal comportamento della moglie, dai suoi sguardi, dal portamento
contrito ed
innaturale che l’aveva condotta di fronte a lui.
Si
squadrarono per un attimo,
entrambi consapevoli di quella verità che nessuno dei due
riusciva ancora
apertamente a rivelare all’altro.
Cosa
doveva fare Artù?
Ripudiarla? Condannarla a morte per tradimento? Esiliarla?
Era
questo che temeva Ginevra,
mentre abbassava gli occhi, velati di lacrime cariche
dell’umiliazione di
quella tacita confessione?
No,
Artù non poteva darle
anche quel dolore. L’aveva fin troppo trascurata, con un
matrimonio di mero
comodo che lei aveva accettato con coraggio. Era una donna forte,
saggia,
leale, amata dal popolo: era la migliore regina che Camelot potesse
avere ed il
giovane re non poteva negare tutto questo. Allontanarla sarebbe stato
un
errore, poiché avrebbe comunque dovuto trovare
un’altra consorte che le
generasse un erede.
Alla
fine ci aveva pensato
qualcun’altro a fecondare la sua sposa.
Doveva
forse pretendere che la
sua donna gli fosse fedele, quando era lui il primo a non rispettarla?
Quando
era lui il primo a tradirla?
Se
avesse riconosciuto quel
frutto di un amore proibito come suo, Camelot avrebbe avuto un erede e
nessuno
avrebbe potuto mettere in discussione la parola del re.
Il
suo orgoglio maschile
bruciava, poiché, nonostante non si meritasse la devozione
di Ginevra, si
sentiva comunque violato in qualcosa che gli apparteneva. Era
però necessario
sotterrare quell’orgoglio per il bene di tutti e mostrarsi
per quello che era
realmente noto: un re magnanimo, un re saggio, un re giusto.
Non
sapeva quanto tempo fosse
passato da quando aveva appreso la notizia: potevano essere passati
pochi
secondi come anni. Tutto intorno a lui sembrava vorticare, quando
invece era
solo la sua testa, ricolma di pensieri contrastanti. Aveva bisogno di
stare da
solo, di parlare con qualcuno di fidato, di schiarirsi le idee.
Si
rivolse a Ginevra:-Sono
sicuro che il popolo apprenderà la notizia con gioia.-
ripeté nuovamente,
facendo intendere alla donna che avrebbe fatto finta di niente.
Sì,
era la cosa migliore da
fare.
Gli
occhi della regina si
allargarono per lo stupore dell’inaspettata risposta e un
sorriso sincero illuminò
il suo volto finora ombroso: –Certo, il popolo
sarà felice. Le nascite reali
sono sempre segno di buon auspicio tra la gente.-
Il
re annuì alla sua sposa,
fingendo un sorriso e una serenità che faticava a mantenere.
Avrebbe voluto
prendere a pugni qualsiasi cosa, fino a spellarsi le nocche contro i
muri
ruvidi e urlare la sua frustrazione. Le sue labbra sorridevano, ma il
suo animo
era follemente straziato e diviso. Si vergognava di provare tutta
quella rabbia
e sapeva di meritarsi quella ferita che gli dilaniava
l’animo. Tuttavia, per
quanto si sforzasse, non riusciva a placare né la collera
né la delusione: era
un insieme di sentimenti troppo vasto ed eterogeneo per poter essere
facilmente
contenuto dalla sua impulsiva personalità. Da una parte era
arrabbiato, poiché
si rendeva conto che quel figlio che doveva essere solamente suo, non
lo era
affatto, mentre dall’altra provava tutta la tristezza e
l’umiliazione di quel
tradimento da parte di Ginevra. Ciò che rimproverava alla
consorte non era il
fatto che avesse un amante, ma che lo avesse privato della profonda
gioia di
essere padre, di avere una creatura che fosse sangue del suo sangue.
Probabilmente
era la giusta punizione del destino. Il sorriso sul suo volto si
spense,
incapace di continuare quella farsa in presenza della regina.
-Dovresti
andare a riposare,
Ginevra. E’ tardi e devi trascorrere al meglio questa
gravidanza.- disse Artù.
–Desideri che ti accompagni alle tue stanze?-
-No,
Artù, non ce n’è bisogno.
So ancora cavarmela da sola.- disse sorridendo e comprendendo che il
marito
necessitasse di un po’ di tempo di solitudine.
Il
re annuì:-Buonanotte, Gwen.-
-Buonanotte,
Artù.- disse, per
poi aggiungere un istante prima di uscire:-Grazie…-
Proprio
mentre Ginevra stava
uscendo, Merlino si stava dirigendo alla stanza reale.
Il
servo e la regina si
scontrarono stupiti di fronte alla porta.
–Perdonami,
Gwen. Non ti avevo
vista.-
-Scusami
te, Merlino.- disse
la giovane, stringendo con affetto le mani del giovane servo.
Nonostante le
prove che la vita aveva loro destinato, erano sempre rimasti buoni
amici.
-Ti
conviene andare da Artù-
aggiunse – credo che avrà alcune cosa da dirti.-
concluse con un sorriso,
mentre si allontanava verso le sue stanze.
Merlino
incuriosito dalle
parole della regina, non attese oltre ed entrò nella stanza
del re.
Lo
trovò davanti alla finestra
aperta, intento apparentemente a fissare il panorama davanti a
sé. Neppure il
rumore della porta che si richiudeva fece voltare le spalle al sovrano
di
Camelot.
Merlino
lo interpellò
preoccupato:-Tutto bene, Artù?-
Il
biondo re si voltò: -Oh…sei
tu, Merlino.- disse sciogliendosi in un grande sorriso. Non sapeva
quale
misteriosa divinità doveva ringraziare, poiché
era proprio il mago la persona
che il quel momento più desiderava vedere.
-Sono
felice che tu sia
qui…vieni accanto a me…- disse invitandolo al suo
fianco alla finestra.
-Immagino
che sia successo
qualcosa di importante…-
-Cosa
te lo fa supporre?-
-I
tuoi occhi…-
-Ginevra
è incinta.- disse
Artù senza tanti giri di parole, pur evitando accuratamente
di incrociare lo
sguardo del suo servo.
-E’
una bella notizia…-disse
Merlino. –Finalmente Camelot ha un erede al trono.-
Cercò di nascondere il più
possibile la sua gelosia: d’altronde sapeva che
saltuariamente Artù doveva
giacere con Ginevra. Il suo compito era anche assicurare un futuro al
regno e
non solo soddisfare le voglie irrefrenabili del suo servitore.
–Da quanto tempo
è incinta?- si informò.
-Due
lune…- soffiò Artù.
-E
questo ti turba?-
-Sì,
Merlino! Accidenti! Due
lune, capisci?-
-Mi
spiace, non credo di
capire…-
-Non
giaccio con lei almeno da
tre.-
-Ah…-
La bocca di Merlino non
riuscì a proferire altro che quel commento disarticolato e
stupido. Quanto si
sentiva idiota! Il suo re stava soffrendo terribilmente nel renderlo
partecipe
di quella confessione e lui non riusciva a pronunciare
nient’altro, se non
l’onomatopea del suo sgomento.
Cercò
di riprendere il
controllo delle sue emozioni:-Cosa hai deciso di fare, Artù?-
-Di
tenerlo. Di fare finta di
niente. Di nominarlo comunque mio erede. Ginevra è una
regina saggia e giusta e
il popolo la ama. Non si merita né l’esilio
né la morte. Non dopo le scelte
coraggiose che ha compiuto. Lei vive per questo regno, proprio come
me.-
Merlino
si soffermò ad
osservare il meraviglioso volto di Artù, il suo profilo
perfetto e delicato, la
pelle rischiarata dalla luce delle candele, punteggiata della barba del
giorno
prima. Riusciva a leggere con estrema facilità le emozioni
che turbinavano nel
petto e nelle pupille dell’amato: comprendeva con estrema
chiarezza il dolore
che vedeva dentro Artù. Era come un libro aperto per lui. Il
bellissimo dono di
un figlio che non gli apparteneva, ma che sarebbe comunque stato suo
per
l’eternità. Cosa c’era di più
bello e di più triste di ciò al mondo? Ogni volta
che avrebbe guardato quel figlio gli sarebbe tornato alla mente il
tradimento?
Avrebbe rivissuto ogni giorno questo dolore? Sapeva che Artù
era forte,
abbastanza forte da portare avanti il loro amore impossibile con ogni
mezzo. Ma
ora che ci pensava, a che prezzo? Si sentiva terribilmente in colpa per
quello
che stava accadendo, per la scelta inevitabile a cui era giunto anche
il suo
re. Per lui, solo per causa sua era accaduto tutto questo. Per le
troppe
attenzioni che aveva portato su di sé, per aver fatto
sì che Artù diventasse il
suo centro gravitazionale e lui il suo. Si giravano attorno e si
attiravano con
la forza di un magnete, ma temeva che un giorno si sarebbero avvicinati
troppo
e scontrati con la violenza di un uragano, distruggendo qualsiasi cosa.
Eppure,
nonostante tutto ciò,
non poteva fare a meno di lui. Si sentiva tremendamente egoista a
desiderarlo
solo per sé ed avrebbe potuto sopportare qualsiasi dolore,
qualsiasi prova pur
di stare al suo fianco. Se quel dolore era necessario, pur di stare
assieme, lo
avrebbero tollerato. Ed era certo che anche il compagno condividesse
quel
pensiero ossessivo e possessivo. Quello era il loro amore, a volte
labile il
confine tra esso e la malattia.
Guardò
con orgoglio il suo
Artù, quella sua dicotomia vivente, il suo re e il suo uomo,
il suo amato e il
suo amante, il suo padrone e il suo servo.
Gli
rivolse la parola con
ammirazione:-Questa scelta ti fa davvero onore, Artù.
E’ questo che ti rende il
grande re che sei.- disse Merlino, consapevole che il re aveva fatto
una scelta
difficile, ma giusta.
-Ti
ringrazio.- disse il
Pendragon in un soffio. –L’ho fatto anche per noi
due, Merlino- continuò
andando a stringere la mano del servo ed intrecciando le sue dita con
quelle
dell’amato. –Ginevra è una delle poche
persone che sa dal principio di noi, di
cui ci possiamo fidare ciecamente. E’ anche l’unica
che sa essere una regina
tanto capace. Il popolo la ama. Tutti la amano. Non troverei una
compagna
migliore di lei, qualora dovessi ripudiarla.-
-Lo
so, Artù. Lei è la persona
giusta, anche nell’errore…- ammise il servitore.
Il
re sembrò riflettere a
lungo sulla frase successiva e le sue parole fecero una gran fatica a
fuoriuscire
dalle sue labbra:-Non posso pretendere che lei mi sia fedele e mi ami,
quando
sono io il primo a non farlo.-
-Ti
senti ugualmente ferito,
vero?- chiese con arguzia il mago.
Artù
annuì, la bocca serrata
per la rabbia repressa.
-Sei
un uomo. Un uomo forte,
coraggioso e leale. Ma possessivo. Terribilmente possessivo. Forse un
giorno
smetterai di soffrire per questo, quando capirai che nella vita non si
può aver
tutto.-
-So
bene che non posso avere
tutto, Merlino!- disse il re, quasi scocciato da una tale
ovvietà.
-Oh,
certo che lo sai! Ma a
quanto pare non lo hai ancora accettato…- concluse Merlino,
con un sorriso
saggio, quasi antico.
Artù
sembrò riflettere a lungo
su quelle parole. La saggezza di Merlino era così pura,
semplice e genuina.
Così vera, quasi palpabile. Amava anche questo di lui: la
forza che gli donava
ogni giorno, la grandezza dei suoi consigli. E poi bastava nulla per
perdersi
nelle profondità marine di quello sguardo, così
intenso, che era sicuro di
cogliere solo una minima parte della sua vastità.
Lo
amava. Lo amava anche se
era un fottuto stregone. Lo amava troppo. Forse era quello il suo
problema. Il
sapere con estrema certezza che si sarebbe fatto scorticare vivo per
lui, che
avrebbe dato qualsiasi parte del suo corpo in cambio della sua
interezza, che
la morte gli sarebbe apparsa ridicola di fronte a quel sentimento che
gli
sconquassava l’animo fin nelle fondamenta.
Rimasero
in silenzio a lungo,
rapiti nei loro più profondi penseri.
-Hai
idea di chi sia il vero
padre?- domandò il mago dopo diverso tempo.
-Penso
di saperlo, anche se
non ne ho la certezza.-
-Immagino
che tu stia pensando
a Lancillotto1.- disse Merlino.
-Già…hanno
sempre avuto un
rapporto speciale lui e Ginevra. Preferisco che sia figlio suo
piuttosto che di
altri. A dispetto di tutto, si è sempre dimostrato il mio
cavaliere più fidato.
Immagino che si sentirebbe ripagato dai servigi da lui offerti, sapendo
che un
domani suo figlio salirà sul trono di Camelot.-
-Sei
così cambiato. Non sei
più lo scapestrato e viziato Artù, che ho
conosciuto tanti anni fa.- ammise
Merlino con una nota di profondo orgoglio.
-Sono
cresciuto.-
-Già,
sei diventato un uomo
con la testa sulle spalle…-
-Questo
è anche merito tuo.-
commentò il re, baciando i soffici capelli corvini del mago
all’altezza della
tempia e cingendogli il busto con la sinistra.
Merlino
arrossì leggermente:-
Cerca di sorridere, vedrai che appena i tuoi occhi scorgeranno il
visetto
paffuto del tuo erede, dimenticherai ogni dolore. Un padre non
è
necessariamente chi ti mette al mondo…-
-Grazie,
Merlino…- assentì
Artù, aprendosi finalmente in un tenue sorriso.
–Solo tu mi fai tornare il
buonumore.-
Rimasero
per qualche istante
ad osservare le tenui luci della notte alla finestra, fin quando il
mago prese
parola, cercando di sdrammatizzare gli eventi come suo
solito:-Artù, devo
ammettere che questa è la volta che più mi hai
sorpreso!-
-Perché?-
domandò curioso Artù,
non avendo percepito la nota ironica del compagno.
-Perché
pensavo che anche una
testa di fagiolo come te sapesse che fare l’amore con me non
ti avrebbe
procurato un erede. Forse dovevi impegnarti un po’ di
più con Ginevra!-
concluse ridacchiando divertito.
Il
re lo guardò con uno
sguardo tra il divertito e il furibondo: la spensieratezza del suo
servo
riusciva a farlo sorridere anche in momenti bui come quello.
-Come
ti permetti, razza di
deficiente da strapazzo? Stregone dei miei stivali, ecco cosa sei!
Buono solo a
far spuntare fiorellini dai cappelli!-
Si
misero a ridere ed Artù arraffò
un cuscino dal suo letto, lanciandolo verso il mago, che lo
schivò con una
strana prontezza di riflessi.
-Sai,
Artù…spero che sarà una
femmina…-
disse Merlino tra una risata e l’altra.
-Perché?-
chiese il re.
-Perché
un altro maschio con
il vostro carattere non potrei tollerarlo!-
Questa
volta un cuscino colpì
in pieno volto il mago, che venne poi prontamente placcato da
Artù e fatto
cadere di colpo sul letto. Il servo era soverchiato dal peso, disteso
prono con
il torace di Artù che lo schiacciava contro il materasso. Le
coperte quasi lo
soffocavano, eppure non riusciva a smettere di ridere.
Artù
continuò a tenerlo
bloccato in quella posizione, finché non gli
mormorò nell’orecchio, quasi in un
soffio: -Immagino che dovrò punirti per la tua
insolenza…- disse spingendosi
contro il corpo magro del compagno, che esalò un sospiro
colmo di piacere,
mentre percepiva gli ansiti caldi del re sul suo collo e il suo bacino
strettamente adeso alle sue natiche.
-Oh…sì…non
vedo l’ora…-rispose
Merlino, socchiudendo gli occhi e pregustandosi quella grata punizione.
NdA:
1- Nel
mio racconto, a differenza della serie tv, ho
supposto che Lancillotto fosse ancora vivo, per poter svolgere il
ruolo, secondo
me azzeccatissimo, di amante di Ginevra.
|