Note:
disperatamente comica,
vagamente fluff, OOC per farvi sorridere, senza alcuna pretesa (ma
tranquilli, che qui non se ne hanno mai avute). Non dite che non vi ho
avvertito. Buona lettura. ♥
Per Rota, con la
speranza che possa farla sorridere.
(Caporale, no, non mi
odi per quanto sta per leggere!)
L'imbarazzo
di un atto gentile
Nessuno
ride, per il semplice fatto che nessuno ha intenzione di ritrovarsi a
pulire i recessi più oscuri del castello come punizione per
aver
osato tanto.
Meglio: nessuno sta ridendo in
quel preciso momento.
Ma appena si sarà allontanato dal Caporale, appena non
sarà più alla portata delle sue orecchie e del
suo
sguardo severo, Eren sa già che orde di sberleffi lo
assaliranno
senza alcuna pietà, in particolar modo provenienti dai suoi
stessi compagni di reggimento. Come biasimarli, del resto?
Impietrito, mentre il Caporale avanza come se nulla fosse tra le truppe
intente in elementari mansioni di routine, quasi non respira
più, come se trattenendo il fiato potesse farsi invisibile e
sfuggire così a quel cammino della vergogna.
Per puro sbaglio, intercetta lo sguardo pieno di genuina
curiosità di Connie, incredulo di fronte a quello che sta
accadendo; poco più in là, Jean ha la faccia di
uno che
vorrebbe piegarsi in due dal ridere ma che al contempo ce la sta
mettendo tutta per non cedere alla disperata necessità,
finendo
con il produrre una smorfia orribile su già un viso da
prendere
a schiaffi. Peggio al peggio.
Berthold ha la grazia di mostrarsi più compassionevole nei
suoi
confronti, lanciandogli un’occhiata piena di misericordiosa
pietà, mentre Reiner azzarda un mezzo sorrisetto complice e
scintillante, e gli dimostra la sua approvazione levando in alto il
pollice. Eren sente distintamente di voler sprofondare inghiottito
dalle viscere della terra, lì e adesso. Non vuole
nemmeno sapere che cosa cazzo abbia da approvare quel cretino Reiner.
Già anche il solo ipotizzarlo lo fa rabbrividire.
Non parliamo di Ymir, l'eloquente espressione di una intenta nello
stendere un elenco
infinito di insulti e prese per il culo da appioppargli quella stessa
sera in mensa, di fronte a tutti, per il generale sollazzo.
Già
un paio se li può immaginare: da “cocco del
Caporale” a “Principessa
sul pisello” fino a degenerare nelle
più turpi perversioni quali “A quando il
matrimonio?”.
Un secondo brivido lo percorre da capo a piedi, facendolo irrigidire
sul posto; si sente le orecchie tanto rosse dall’imbarazzo
che ha
paura possano essere visibili da lì a un miglio. Abbassa lo
sguardo, decidendo che magari soffre di meno se non intercetta le
occhiate impiccione dei suoi compagni, puntandolo sullo stemma
dell’Armata Ricognitiva ricamato sulla tasca della divisa
dello
stesso Caporale, pregando che quel supplizio finisca al più
presto.
Il Caporale si blocca. In piedi, al centro del cortile. Forse ha
intuito il disagio del ragazzo. Forse gli legge direttamente nel
pensiero – non si spiega altrimenti il suo puntuale agire al
contrario di quello che spera Eren.
Abbassa lo sguardo.
“Eren” lo chiama.
L’interpellato sente distintamente le viscere contrarsi in
uno spasmo di pura tensione.
“E-eh?” rantola, al momento dimentico di come si
formulano le parole.
“Guardami quando ti parlo”
Pura violenza quella che si infligge ai muscoli del collo per eseguire
l’ordine. Deglutisce, e sente di potersi mettere a piangere
lì da un momento all’altro da tanto è
dispertato.
Incrocia lo sguardo del Caporale.
“S-to bene. Posso camminare da sol--“ gnaula, per
l'ennesima volta.
“Non credo proprio. Hai la faccia sofferente”
Eren apre bocca ed emette un verso non meglio identificato, una sequela
di suoni vocali che finisce nello sfumare in uno silenzio rassegnato e
pieno di sconforto. Perché la caviglia non gli fa
più
male già da
un bel pezzo. Perché è da qualcosa
come mezz’ora che dice che la caviglia non gli fa male, e
che quindi
può camminare. Perché se soffre non
è colpa della caviglia, diamine,
ma per il semplice e terribile fatto che torna al castello, di fronte a
tutti, sotto gli occhi di
tutti, in braccio al Caporale Rivaille. In braccio, se non
si è ben capito.
Il quale, di fronte alla risposta affatto esauriente del ragazzo, si
limita ad alzare un sopracciglio, come se stesse scarrozzando un
bimbetto dal facile capriccio, e senza dire altro, senza che nessuno
osi anche solo fiatare, prosegue nel suo cammino, come se nulla fosse.
Si arrende Eren, sconfitto; tanto via d’uscita non
c’è, e ormai quel che si è visto si
è visto.
Non gli rimane che sperare che le prese per il culo della sera non
siano troppo pesanti. O che non durino troppo a lungo. O che arrivi
un'orda di giganti a interrompere la cena; va bene tutto, va davvero
bene tutto.
Chiude gli occhi e finalmente rilassa tutti i muscoli, sospirando
affranto. La rassegnazione sopravvenuta fa scemare anche un poco
l’imbarazzo, donandogli un nuovo stato di quiete. E forse
proprio
percependo ciò, quell’abbandono spontaneo, che
Rivaille
rinsalda la presa, rendendo il contatto ancora più stretto
di
quanto ce ne sia bisogno.
Eren non dice nulla, né si dimostra contrariato in alcun
modo, accettando, infine, quella che pare una gentilezza.
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