Her
smile is mine.
Mine and no one
else’s.
Nonostante si sia
chiusa nella sua stanza e si sia
rannicchiata sotto le tenui lenzuola giallo limone, non può
fare a meno di
sentirli, suo malgrado.
Odia quando papà e mamma litigano. Non è mai
riuscita a
sopportare tutte quelle urla, e le lacrime di sua madre, e tutti i
termini poco
raffinati che escono dalla bocca di suo padre. E non sono certo rare le
occasioni in cui deve correre fuori dalla cucina ‒ il loro campo di
battaglia preferito ‒ per
rintanarsi nel suo nido, nella sua cameretta, lasciando che la porta
chiusa
attutisca il rumore delle grida e dei piatti in frantumi contro la
parete.
Rin non sa quale sia il motivo di questo loro continuo
scontrarsi; sa solo che la fa stare davvero male. E spesso prova a
fermarli o a
farli ragionare, ma il risultato più soddisfacente che ha
ottenuto è stata
l’impronta bruciante del palmo di suo padre stampata
chiaramente sulla sua
guancia. L’unica possibilità è
scappare, sperando che le loro urla non siano
tanto forti da raggiungerla fino alla sua stanza.
Davvero non riesce a capire come due persone come i suoi
genitori, che lei ha visto amarsi e coccolarsi con tutto
l’affetto
possibile, possano darsi contro in maniera così sfacciata e
violenta. Non
vorrebbe più vedere la mamma piangere; e non vuole vedere
suo padre che la
picchia, e le grida che è un’incapace e una buona
a nulla. Rin è davvero stanca
di tutto questo.
Si siede a gambe incrociate sul materasso, tirandosi il
lenzuolo sopra la testa. Anche con la porta chiusa, può
sentire perfettamente
gli insulti di suo padre e le preghiere di mamma, scandite appena tra
un
singhiozzo e l’altro. L’ennesimo bicchiere
infranto. Una volta, quando Rin
aveva appena sette anni, durante una litigata piuttosto accesa avevano
rotto la
sua tazza preferita; la mattina dopo, quando lei lo aveva scoperto, si
era
messa a piangere disperatamente e, con rabbia, aveva urlato loro che
erano i
peggiori genitori del mondo, perché litigavano ogni sera.
«I
genitori non lo fanno!»,
aveva esclamato. «I
genitori si vogliono bene!»
Non li aveva sentiti aprir becco per un mese intero, o giù
di lì.
Ora è diverso, però. Ora Rin è grande,
e non c’è tazza che
tenga. Può solo sopportare e sperare che non vadano troppo
per le lunghe.
Nessuno, però, può fermare le sue lacrime,
più che legittime in una situazione come
quella. Ogni urlo la ferisce nel profondo, ogni singulto le fa male al
cuore.
Si tappa le orecchie con le mani, accennando ad una
canzoncina con voce prima flebile e poi sempre in crescendo,
perché copra ogni
altro rumore. Ma, soprattutto, spera che Len senta. E capisca che
c’è qualcosa
che non va.
Continua a cantare, intonando la melodia più triste che
conosce, con la voce che si rompe in più punti per via dei
singhiozzi dovuti al
pianto. E va avanti così, finché qualcuno non le
scosta le lenzuola dal viso.
«Ehi», la chiama dolcemente
il biondo, spostando con delicatezza le ciocche dorate che ormai sono
scese a
coprirle gli occhi. Rin solleva lo sguardo, inchiodandolo in quello di
Len, mentre
le lacrime che scendono copiose le appannano la vista. Con lui non deve
fingere
di star bene, di non soffrire per tutto quello che si ripete nella loro
cucina,
al piano di sotto, troppo spesso per i gusti di entrambi.
«L...
Len...», geme,
sollevando una mano tremante, ponendogli una muta richiesta che
è certa avrebbe
colto.
Lui intreccia dolcemente le dita alle sue, per confortarla.
Rin non ha mai sopportato le liti dei loro genitori e, per quanto si
sforzi di
mostrarsi indifferente, la sua incredibile sensibilità non
le permette di
andare oltre. Anche Len soffre per tutto questo, eppure non lo da a
vedere:
deve essere forte anche per Rin, per la sua adorata sorellina.
Con la mano libera le accarezza le guance arrossate dal
pianto, cercando di portar via quelle lacrime anche solo con quel
gesto; ma sa
che non basterà affatto. Le stringe un po’
più forte la mano, senza farle male.
«Len...» ripete ancora,
travolta dai singhiozzi. Le spalle esili, incurvate in avanti, sono
scosse dal ritmo
irregolare della disperazione.
«Sono
qui, Rin»,
mormora lui, attirandola dolcemente a sé e accarezzandole i
capelli, morbidi
come seta. «Ci
sono io. Va tutto bene.»
Si morde la lingua. No che non va tutto bene, e ne sono
consapevoli entrambi. Ma che altro dirle per consolarla?
Attorciglia le ciocche morbide di lei intorno alle sue dita,
massaggiandole dolcemente la nuca. Sente il respiro caldo e irregolare
della
sorella solleticargli la pelle del collo, mentre cerca di riprendere
fiato. I
singhiozzi si fanno più rari e deboli: forse è
riuscita a calmarsi, forse è
solo stanca di piangere.
Pian piano, le spalle di Rin si rilassano; Len può sentire i
muscoli della sua schiena distendersi sotto le suo mani. La accarezza
dolcemente, sfiorando la stoffa leggera della maglietta di cotone.
Nonostante le urla si siano placate e la giovane sembri
apparentemente più calma, Len sa che non è
finita. Che sua sorella sta lottando
contro se stessa per non scoppiare a piangere di nuovo.
La allontana delicatamente da sé, sostenendole il volto con
le mani; cattura le grandi iridi azzurre nelle sue, intrappolandole in
una
morsa inviolabile. Osserva le lacrime che ancora le ornano gli occhi,
come
piccoli diamanti lucenti: è
così bella...
Avvicina i loro visi e preme le proprie labbra sulle sue, in
un bacio dolce e casto. Non è la prima volta che la consola
così, con il calore
del proprio respiro e il sapore della sua bocca. Quando era piccola e
gli
incubi la travolgevano, Len era sempre pronto ad accoglierla nel suo
letto,
stringerla forte a sé perché trovasse conforto
nei suoi baci.
E quelli che prima erano solo i gesti amorevoli e innocenti
di un fratello, negli ultimi tempi si sono trasformati, risultando ora
più
passionali e consapevoli.
Rin lascia che le sue dita si intreccino ai ciuffi dorati di
Len, mentre assapora il gusto familiare delle sue labbra, che hanno il
sapore
dolceamaro dei mandarini.
Sua madre ha ripreso a piangere, al piano di sotto; suo padre
sta dando il meglio di sé, sfoderando i termini
più scurrili del suo nutrito
vocabolario.
Prova a trattenere le lacrime, facendosi forza come può, ma
non può nascondere a Len quei singhiozzi strozzati. Poggia
ancora una volta le
sue labbra su quelle della sorella, dolcemente, carezzandole le gote
umide e
arrossate in punta di dita.
«No. No...», le mormora, stringendola forte al suo
petto e
cullandola delicatamente. Inizia a cantare, sempre più
forte, per coprire il
rumore delle stoviglie che si infrangono inesorabilmente contro la
parete. Di
litigi animati ne avevano visti tanti, ma mai avevano sentito i loro
genitori
scontrarsi tanto violentemente.
Perciò, ricorre alla canzone più divertente che
riesca a ricordare. È un vero e proprio scioglilingua, la
buffa storia di un
cagnolino che si mette ad inseguire la sua ombra, ma che proprio non
riesce ad
acchiapparla. Accarezza i capelli della sorella senza smettere di
cantare. Le
sue spalle sono ancora scosse, e Len si allontana appena, quanto basta
per
regalarle un piccolo bacio, approfittando della pausa tra una strofa e
l’altra.
La sorprende a ridere, a ridere di gusto, asciugandosi con il dorso
della mano
quelle lacrime ormai dimenticate.
«Era
questo che volevo».
Ora anche lui sorride, sollevato.
Anche al piano di sotto, le acque sembrano essersi calmate –
o forse sono solo stanchi di litigare. Rin spera con tutta se stessa
che sia
così.
«Len...?»
«Mh?»
Lo guarda, speranzosa che la sua richiesta venga accolta:
«Non hai finito la
canzone.»
«Oh,
andiamo!»
La bionda lo squadra, fulminandolo con un finto disappunto.
«Mai stata più seria», dichiara.
«Agli
ordini, mia principessa».
Sorride dolcemente, concedendosi un ultimo bacio prima di ricominciare
a
cantare. La stanza si riempie delle note allegre della canzone; Rin
impara
presto il motivetto piuttosto elementare e la sua voce si unisce a
quella del
fratello. È bellissima quando canta: i capelli corti e
ribelli che le sfiorano
le spalle esili, gli occhi che si illuminano, pieni di vita, e il suo
sorriso,
quel sorriso che Len ama più di ogni altra cosa. Quel
sorriso che è suo, e di
nessun altro al mondo.
L’angolino (ma
proprio -ino, eh!) di Umiko.
Quasi non posso crederci,
di avercela fatta. Avevo iniziato a scrivere questa Fic più
di un mese fa, e...
eccola, più in ritardo che mai. Credo sia la cosa
più
spinta che io abbia mai scritto, il che è tutto dire. Io
spero solo che vi sia
piaciuta, e vi annuncio che ho in cantiere una Long (sempre riguardo i
nostri
adorabili gemelli), ispirata al fumetto che sto scrivendo - ebbene
sì, mi
diletto anche in quello. Non ho idea di quando potrò
pubblicarla, ma ho in
mente un altro paio di Shot, giusto per ingannare l’attesa.
Detto questo, evito di
annoiarvi ulteriormente ed evaporo. Alla prossima!
Chu.
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