Come sei veramente
Sometimes when we touch
And sometimes when we touch
The honesty's too much
And I have to close my eyes and hide
I wanna hold you till I die
Till we both break down and cry
I wanna hold you till the fear in me subsides
"Ahio, cazzo!"
Jack lasciò cadere l'apriscatole e la lattina di zuppa pronta,
che si schiantò a terra rovesciando tutto il contenuto sull'erba.
Bell'incapace che era in cucina: era riuscito a tagliarsi persino con
il coperchio della lattina, un bel taglio profondo, dai bordi
frastagliati, che partiva dall'incavo del pollice della mano destra per
raggiungere la prima falange dell'indice.
E grondava sangue come dalla gola di un maiale scannato.
E, fra l'altro, faceva un male cane. Jack non era una donnetta, non
s'impressionava alla vista del sangue ed era piuttosto resistente al
dolore, ma si precipitò al giubbotto, che aveva lasciato sul
ceppo poco distante, trafficando nelle tasche con la mano sinistra alla
ricerca di un fazzoletto pulito con cui coprire quel macello e, se
possibile, frenare l'emorragia.
"Porca della miseria schifa", imprecò. "Che cazzo di male."
"Ehi, tutto bene?" domandò Ennis, affacciandosi dall'interno della tenda, dove si stava rivestendo dopo essersi lavato.
"No", disse
Jack, che era riuscito a trovare un fazzoletto e se lo stava avvolgendo
intorno alla ferita. "Mi
sono tagliato con quella maledetta lattina, e ho rovesciato tutto
quanto. Mi sa
che per la cena dovrai aspettare ancora un pò."
Ennis lo raggiunse, finendo di infilarsi la camicia nei jeans. "Fa'
vedere", disse, prendendogli il braccio: il sangue aveva già
passato il tessuto.
"Non è niente", minimizzò Jack, togliendo la mano e
stringendola
nella sinistra, per cercare di bloccare l'emorragia. Che figura di
merda. "Per fortuna che con l'apriscatole ero tanto bravo."
"Sei proprio del tutto negato, in cucina", convenne Ennis, e gli prese
di nuovo il polso, gentile ma fermo. "Fammi vedere, sanguini di brutto."
"E' una sciocchezza, ti dico", protestò Jack, ma questa volta non tolse la mano.
Ennis svolse il fazzoletto e controllò il
taglio. Sotto i loro occhi, il sangue continuò a sgorgare, ed
Ennis
ricoprì la ferita con il tessuto ormai tinto di rosso. "Non mi
sembra proprio una sciocchezza."
"Ma sì... è solo un pò di sangue. Fra poco smette da solo."
"Aspetta qui, vado a prendere da medicarti", Ennis tornò
nella tenda, quasi di corsa, e Jack si sedette sul ceppo, la mano
destra stretta nella sinistra, il
fazzoletto che continuava ad inzupparsi. Se si fosse tagliato in quel
modo idiota all'inizio dell'estate, Ennis l'avrebbe di certo
rimproverato. Invece adesso, all'inizio di agosto, due mesi dopo
essersi conosciuti, si stava preoccupando per lui.
Bè, non era la prima volta. Quelle occasioni erano più
rare del classico ago nel pagliaio, ma non era la prima volta che Ennis
si preoccupava per lui, o dimostrava affetto nei suoi confronti.
Ennis tornò con la loro scarna scatoletta del pronto soccorso fra le mani, la aprì e
si sedette accanto a lui. "Dai qua," disse, prendendogli la mano e
svolgendo il fazzoletto. L'emorragia sembrava essere un
pò rallentata.
"Va meglio, vedi?" tentò Jack. "Ha quasi smesso."
"Bisogna medicarlo", ribatté Ennis. Prese la bottiglietta
dell'acqua ossigenata e svitò il tappo. "Se si infetta sono guai."
"Ma no, non... ahia!"
gemette Jack, impreparato, quando Ennis rovesciò il
disinfettante sul taglio, tenendogli la mano sotto il flusso mentre la
ferita friggeva.
"Buono, solo un attimo", mormorò Ennis, con lo stesso tono che
usava per calmare Cigar Butt. Jack si vergognò della propria
reazione: al suo posto, Ennis non si sarebbe lasciato
sfuggire neanche un sospiro.
"Okay, credo che basti, è tutto pulito", disse Ennis.
Appoggiò a terra la boccetta, prese una lunga striscia di cotone
idrofilo e gli asciugò delicatamente la pelle intorno al taglio,
che aveva quasi smesso di sanguinare. "Va molto meglio, no?"
Jack annuì. "Grazie."
"Lascia perdere", fece Ennis. Tenne la mano di Jack fra le sue, osservandola per qualche secondo.
"Che c'è?" domandò Jack.
"Niente... hai le mani molto più piccole delle mie."
"Per forza", ribatté Jack, piccato. "Sono più basso di te di almeno una spanna." Ennis
non faceva mai commenti di quel genere, e Jack si chiese dove volesse
arrivare. Voleva dire che aveva le mani piccole come quelle di una
donna? Era questo che voleva intendere, che c'era qualcosa in lui di
femminile? Voleva ferirlo per l'ennesima volta, dopo essere stato tanto dolce?
Bè, spiacente, Ennis: io non
sono una donna. Scordatelo. Le mie mani sono piccole, ma sono quelle di
un uomo. Tutte rovinate dal lavoro, con il dorso
ruvido, i calli alla base delle dita, le
unghie bisognose di una manicure.
Sono più basso di te, ma
sono più alto della media delle donne, e il mio corpo
è forte e robusto, non ha
niente di femminile.
Forse i miei occhi sono troppo grandi,
i miei lineamenti un pò troppo dolci, ma la mie
sopracciglia sono folte, e il mio viso, se non lo rado ogni mattina, si
ombreggia di barba e baffi.
Non sono una donna, Ennis, sono un maschio proprio come te, e di solito mi sembra che la cosa ti stia più che bene.
Altre volte, invece... perché hai così paura?
"Non volevo offenderti", disse Ennis.
"Non mi hai offeso", fece Jack, che però non ne era del tutto certo.
Ennis prese la boccetta della tintura di iodio e iniziò a spennellargli il taglio. "E' che
mi piace guardare le mani delle persone. Ti dicono tante cose,
più che gli occhi, o l'abbigliamento."
"E cosa ti direbbero le mie mani?" Jack decise di credergli, ed abbozzò un sorriso.
Ennis gli coprì la ferita con delle garze sterili, e
iniziò a bendarla. "Questo non te lo dico", ribatté, con
un sorriso furbo.
Jack gli sferrò un leggero pugno su una spalla. Quel momento di
tensione fra loro era svanito. "Non ti hanno insegnato che non
si lasciano i discorsi a metà?"
"Stai fermo, lasciami finire."
"Guarda che puoi parlare anche se hai le mani impegnate."
Ennis, con gli zigomi imporporati, fermò la
fasciatura e gli batté il polso: "Là, ho finito. Sei
come nuovo, Twist." poi, tenendogli la mano bendata fra le sue, si
avvicinò al suo orecchio, come per metterlo al corrente di un
segreto che nessuno, nemmeno Cigar Butt e Madeleine, avrebbe dovuto sentire, e bisbigliò: "La prima volta
che ti ho visto, e che ti ho guardato le mani, non avrei mai
immaginato che sarebbero servite anche a me. E devo
ammettere... che te la cavi. Sono piccole, ma le sai usare piuttosto bene."
Il sorriso di Jack si allargò: Ennis era timido al punto da non riuscire a dire
certe cose guardandolo in faccia, anche quando si trattava di una
battuta alla stregua di quelle che si scambiano le scolarette.
Avvicinò le labbra al suo orecchio, sussurrando: "Sono pieno di sorprese, vero?"
Come faceva di solito quando gli mancavano le
parole, Ennis agì: gli prese il viso fra le mani e gli ficcò la lingua in bocca, baciandolo
con passione, quasi mozzandogli il respiro. Jack adorava quando Ennis lo baciava in quel modo, cogliendolo di
sorpresa, con un impeto e un desiderio tali da travolgerli entrambi.
La prima volta
che ti ho visto, io ho pensato che tu fossi un iceberg con
il cappello. E devo ammettere... che anche tu sei pieno di sorprese.
Era quasi mezzanotte: ora di tornare dal gregge. Ennis
preparò Cigar Butt, fece per montare in sella, ma si accorse che
Jack era rimasto in piedi davanti alle ultime braci del fuoco. Era
stata una bella serata, malgrado l'inizio disastroso. Dopo avere
medicato Jack, gli aveva vietato di usare la mano, e si era occupato
lui stesso della cena. Jack aveva protestato, ma Ennis era stato categorico:
quando aveva visto quel brutto taglio, e tutto quel sangue, si era un
pò allarmato. Sapeva che era una cosa da niente, aveva visto
ferite di gran lunga peggiori, ma questa volta era Jack ad essere coinvolto. E questo
sembrava stravolgere qualsiasi prospettiva.
Dopo avere cenato erano rimasti seduti davanti al fuoco,
fianco a fianco sul ceppo, a
chiacchierare e fumare, dividendosi una mezza bottiglia scarsa di
whisky,
sotto il cielo
terso e sereno, pieno di stelle. Anche Ennis si era sentito sereno. Era
una cosa che gli capitava spesso, da quando aveva conosciuto Jack.
All'inizio, quel suo strano collega l'aveva
lasciato perplesso. Jack Twist era stata la prima persona che si fosse
preoccupata per lui. La
prima persona che, con il suo comportamento, gli avesse comunicato, Va tutto
bene, stai tranquillo. Vai bene come sei, anche se hai un pessimo carattere, non m'importa.
Apprezzo la tua compagnia, e sono felice di sentire la tua voce,
di ascoltare la tua opinione, se e quando ti senti di parlare.
Nessuno si era mai comportato così nei suoi confronti, neanche
sua sorella Janice, neanche Alma. Al principio, Ennis non si era
fidato: chissà cosa voleva in cambio, questo Jack Twist.
Perché tutti vogliono qualcosa in cambio, quando si comportano con gentilezza.
Ma Jack sembrava non volere niente in cambio. Al contrario, gli aveva offerto la sua amicizia, il suo affetto... il suo corpo.
E il suo amore.
Jack era innamorato di lui. Non gliel'aveva mai detto, forse temendo di
metterlo in difficoltà, ma per una cosa tanto evidente non c'era
bisogno di conferma.
Ed Ennis... Ennis aveva iniziato a ricambiarlo. Non era riuscito ad
impedirselo. Sapeva che era sbagliato, ma era anche giusto. Era giusto,
perché in compagnia di Jack si sentiva sereno, in pace con
sé stesso come non si era mai sentito prima di allora.
Ma a volte, man mano che l'estate volgeva al termine, e che i
sentimenti che provava per Jack si facevano sempre più forti, si
era ritrovato a pensare che tutto questo sarebbe finito.
Non c'era scampo: era destino che finisse. E questo lo faceva sentire
arrabbiato, furioso, e al tempo stesso debole e impotente, come un
leone in gabbia.
Non poteva fare nulla per cambiare quello che sarebbe successo a fine
agosto, a metà settembre se fossero stati fortunati e la stagione fosse stata clemente.
Sarebbero scesi dalla Brokeback, da quel luogo isolato che aveva
protetto il loro amore, e si sarebbero dovuti separare. C'era Alma che
lo aspettava, a Sage: il matrimonio, dei figli. Si rendeva conto che
quello che provava per Alma non era niente in confronto a quello che
provava per Jack, ma nel mondo reale, fra la gente, quella era la cosa
giusta, anche se quell'estate aveva capito che l'amore era un'altra
cosa.
Avrebbe dimenticato Jack? Se non l'avesse più rivisto, se avesse
dedicato la sua vita alla moglie, ai figli e al lavoro, sarebbe
riuscito a dimenticare tutto quello che era successo?
Ennis era convinto di no. Ma non aveva alternative, non aveva altra
scelta. Amava Jack, ma si rendeva conto che un futuro, con lui, non
poteva esistere. Non avrebbero potuto vivere insieme,
nell'illegalità. E se per caso fosse successo quello che era
capitato al povero Earl Bowers...
Ennis si sentì rizzare i capelli, i peli sulle braccia, lo
stomaco stretto in una morsa di ghiaccio. Dopo tanti anni, quella
storia continuava ad angosciarlo.
Guardò Jack, che era ancora in piedi, rivolto verso il fuoco
quasi spento, la schiena girata verso di lui, le mani nelle tasche dei
jeans. Ennis si avvicinò, e Jack non si mosse, la testa piegata
verso il basso, il mento sul collo. Doveva essere stanco, e la cosa era più che lecita.
Istintivamente, senza pensare, Ennis l'abbracciò da dietro,
passandogli un braccio intorno al collo e l'altro intorno alla vita.
"Ehi..."
Jack sussultò leggermente, e il suo collo si raddrizzò
fino a piegarsi all'indietro, appoggiando la nuca sulla spalla di
Ennis.
"Sai cosa mi diceva mia madre?" sussurrò Ennis. Sentì
Jack che si abbandonava contro il suo torace e lo strinse,
sorreggendolo, e al tempo stesso godendosi il calore che emanava il
suo corpo. "Stai dormendo in piedi come un cavallo. E poi cantava..."
Cullando Jack avanti e indietro, Ennis iniziò a canticchiare la ninnananna
preferita da sua madre. Non ricordava
le parole, era passato troppo tempo dall'ultima volta che lei gli
aveva cantato quella nenia, quattordici, forse quindici o addirittura
sedici anni, ma ricordava la melodia, e tanto gli bastava.
Ricordava la voce di sua madre, roca e bassa per una donna, lievemente
stonata sulle note più alte, quando cantava canzonette
insieme alla radio mentre svolgeva le faccende domestiche, se suo marito non era in
casa. Aveva amato quella voce; per lui era stata la più bella
del mondo. Anche quando stonava. Anche quando gridava, stridula e
feroce e furibonda, contro il marito che aveva sputtanato in
bevute il denaro che serviva per la casa o per i figli.
Ricordava il suo odore, gelsomino e borotalco e pane cotto nel forno e sudore a un tempo aspro e dolciastro.
Quello di Jack era diverso. Ennis lo aspirò, come se avesse
potuto saziarsene, per non dimenticarlo quando sarebbero stati lontani.
Tabacco e sapone, pino e legna bruciata... insieme al
profumo dell'erba, degli alberi, della rugiada e del cielo immenso che
avevano condiviso in quei mesi.
Ennis sentì le lacrime pungergli gli occhi. Batté le palpebre e le ricacciò indietro.
Cosa mi hai fatto, Jack?
Perché sei un maschio? Perché non potevi essere...
Si costrinse a mozzare il pensiero nella mente, come sotto alla
lama di una ghigliottina: questo era egoismo allo stato puro. Anche
Jack, del resto, avrebbe potuto pensare la stessa cosa di lui: Perché non sei una maledetta femmina, del Mar?
Strinse Jack con più forza, cercando di indovinare, sotto il
giubbotto, sotto gli abiti, le spalle larghe, il petto ampio, la
schiena forte, i fianchi stretti, le natiche sode. Quello era il corpo di Jack Twist,
della persona che amava, un ragazzo come lui.
Andava bene così. Non voleva una ragazza. Era Jack che voleva.
Avrebbe dovuto separarsi da lui, forse non
l'avrebbe
più rivisto, certamente non avrebbe mai amato nessun altro,
nessun'altra, tantomeno Alma, con una tale intensità, e tutto
ciò era terribilmente ingiusto.
Ma cosa c'era poi di giusto a questo mondo, dove se qualcosa va
male, si può solo stare sicuri che in futuro andrà peggio?
Le ultime braci erano ormai spente, ed Ennis si rese
conto di avere ripetuto la ninnananna, strofa e ritornello, almeno
una dozzina di volte.
Jack era ancora appoggiato a lui, le mani in tasca, il respiro
regolare. Stava davvero dormendo in piedi.
"Ehi, cowboy", bisbigliò, scrollandolo leggermente.
Jack raddrizzò piano la testa. "Mmm?"
"E' ora di andare a dormire", Ennis sentì il torace alleggerirsi
dal peso del corpo di Jack, mentre il suo baricentro
ritornava regolare, in mezzo ai piedi. Lo scrollò un'ultima
volta,
poi sciolse le braccia e, a malincuore, si staccò da lui.
"Buonanotte, piccolo", bisbigliò, senza prestare attenzione alle
proprie parole. "Ci vediamo domani."
"Buonanotte", mormorò Jack, con voce assonnata. Ennis sentì il suo sguardo su di
sé, mentre raggiungeva Cigar Butt nel buio, montava in sella e
si allontanava, e avrebbe potuto giurare che Jack stava sorridendo.
Nota: Questo si potrebbe idealmente collocare fra "Private emotion"
e "Before it's too late", ma può essere letto anche come un racconto
indipendente. Con la scena dell'abbraccio, la Proulx voleva dire
qualcosa di ben diverso, che però a me non è piaciuto
affatto: e sia in "Before it's too late", dove l'ho raccontata brevemente in POV-Jack, sia
qui, l'ho scritta secondo quello che faceva piacere intendere a me.
Credits: "Sometimes when we touch" è una canzone di Dan
Hill (poi rifatta, fra gli altri, anche da Tina Turner e Rod Stewart).
Disclaimer: I
personaggi di Jack Twist, Ennis del Mar, Alma Beers, Earl (Bowers;
il cognome l'ho inventato) e Cigar Butt appartengono ad Annie
Proulx.
Se qualcuno
riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà,
mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si
offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
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