Una storia

di Garland
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A volte m'immagino un incontro casuale come quelli che ho rinnegato, un incrocio che abbia un senso scritto da questo Dio che nel mio proposito un giorno esiste e l'altro pure, ma che non so pregare perché il mio è un disegno stanco, forse l'immagine inconscia della mia rassegnazione.
Riconosco che se un giorno questa Provvidenza mi toccasse, sarebbe l'ora in cui Dio cesserebbe d'esistere: allora sarei io l'ingenua divinità tirannica che arreca privilegi alla propria casta, perché non c'è Jahvé o Buddha o Allah tanto stupido da andare a rivelare d'aver tolto ai poveri per dare a se stesso.
C'è chi risponderebbe che Dio commette tante ingiustizie in nome d'un disegno misterioso ai più - e dunque perché negarmi la mia sadica grazia?: io cerco di sperare - e qui ne dubito - che dietro il mistero, ci sia il Supremo Bene.
E in un mondo in cui tu rappresenti il seme fecondo, quale buon Pastore ti spedirebbe in pasto ad una gallina?
Se non esiste tela, né ordito, né arcolaio, cosa m'inibisce il pianto e la disperazione? C'è così tanta dignità in un offeso inerme; eppure c'è chi dice che la vita è greve e bisogna alleggerire l'animo inghiottendo fiele, facendosi penetrare dal vuoto che cela ogni sorriso o parola priva di sostanza, ma io non sono una puttana.

Io non ingollo il mio dolore e lo rigurgito, non svendo agli altri un lezioso belletto e mostro loro a viso aperto ciò che la coscienza ha plasmato - e cioé il volto mostruoso di chi è senza speranza.





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