(Un)broken - Le Ali Della Farfalla

di TheSlayer
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(Un)broken - Le Ali della Farfalla

Capitolo 2

“Come mai è andata male con Tommy?” Mi domandò Sarah qualche giorno dopo. Aveva rivisto Evan per un appuntamento vero e proprio ed era la persona più felice sulla faccia della terra. Mi aveva confessato che era stato imbarazzante dovergli dire che il suo nome vero era Sarah e non Savannah, ma Evan aveva capito e aveva riso, quindi era andato tutto bene.
“Musicista.” Spiegai per l’ennesima volta. La ragazza sembrava non voler abbandonare il discorso, anche dopo i miei costanti tentativi di deviarla e farla parlare di altro.
“Ma non è una buona scusa. Ho visto come vi guardavate, eravate attratti l’uno dall’altra.” Insistette.
Sbuffai, leggermente frustrata, e sperai che entrasse un cliente che aveva bisogno di assistenza al più presto per evitare quel discorso. Sì, ero attratta da lui anche dopo aver scoperto che lavoro faceva, ma non voleva dire assolutamente nulla.
“Ho conosciuto vari musicisti nella mia vita. Non funziona mai.” Spiegai, cercando di rimanere sul vago. Non c’era bisogno che entrassi nei dettagli. Non volevo di certo rovinarmi la giornata pensando a quello che era successo in passato.
“Mi stai dicendo che tra me ed Evan non funzionerà mai? Perché lui suona il basso insieme a Tommy, quindi…”
“No, no. Sono io quella che ha avuto sfiga con il genere.” Dissi. Ma dov’erano i clienti perditempo quando servivano? Il negozio era stranamente vuoto quel giorno.
“Un giorno dovrai spiegarmi cosa ti è successo.” Concluse Sarah, scuotendo la testa e raccogliendo un abito che qualcuno aveva fatto cadere e lasciato sul pavimento.
“Un giorno lo farò.” Replicai. Forse.
 
Finalmente anche a Londra sembrava essere arrivata la primavera. Un po’ in ritardo, dato che da calendario eravamo già in estate, ma non mi lamentavo. L’Inghilterra mi piaceva anche per il suo tempo strambo e mi ero attrezzata per ogni evenienza: la mattina, quando andavo a fare jogging, indossavo una felpa e tenevo in tasca un impermeabile portatile di plastica da usare in caso di pioggia.
Solitamente camminavo dal mio appartamento al parco, mi fermavo a fare stretching e poi cominciavo a correre e raggiungevo il laghetto con i cigni. Non facevo quasi mai caso a quello che avevo intorno, ma quella mattina posai lo sguardo sul cartello con la mappa del parco mentre mi scaldavo e lessi “Benvenuti a Kensington Gardens.”
“Kensington Gardens?” Borbottai fra me e me. “Ma che diavolo… Hyde Park…”
“I Kensington Gardens fanno parte di Hyde Park.” Rispose una voce alle mie spalle. Mi voltai di scatto, un po’ spaventata e un po’ scocciata e mi si fermò il cuore per un secondo quando vidi Tommy davanti a me. In quel momento avrei voluto avere degli auricolari con la musica a tutto volume, almeno non l’avrei sentito – o comunque avrei avuto una scusa per ignorarlo.
“Cosa fai sveglio a quest’ora?” Fu l’unica cosa che riuscii a chiedergli e il ragazzo scoppiò a ridere.
“Non faccio jogging, se te lo stai chiedendo.” Rispose. In effetti stava indossando un paio di jeans scuri e una maglietta a mezze maniche di una vecchia band rock. Non era l’abbigliamento adatto, ma quei vestiti sgualciti gli stavano benissimo. Gli davano proprio l’aria da rockstar.
“Quindi mi stavi seguendo?” Domandai ancora, confusa. Londra era enorme e contava più di otto milioni di abitanti su una superficie di più di millecinquecento metri quadrati. Perché Tommy ed io dovevamo trovarci proprio nello stesso metro quadrato e nello stesso momento?
“No.” Replicò lui, scoppiando a ridere. “Abito qui vicino e soffro d’insonnia. Ogni tanto, invece di stare a fissare il soffitto e incazzarmi perché non riesco a dormire, alle sette mi vesto e vengo a fare una passeggiata nel parco. Quando torno, di solito, mi addormento come un bimbo.” Spiegò.
Quindi eravamo anche vicini di casa. Che gioia. Annuii alla sua spiegazione, pensando che avesse ragione. Anch’io avevo cominciato ad andare al parco per colpa del jet lag. Trovavo che non avesse senso accanirsi e cercare di riaddormentarsi, perché si otteneva solo l’effetto contrario. Una passeggiata o una corsa nel parco aiutavano di sicuro.
“Mi dicevi quindi che questo è Hyde Park… ma non lo è?” Chiesi dopo qualche minuto. Avevo ricominciato a fare stretching e mi stavo preparando per la mia corsa giornaliera, ma il discorso del nome del parco mi interessava e dato che l’aveva iniziato…
“Sì, vedi quel palazzo? Si chiama Kensington Palace e ci vive parte della famiglia reale. E’ quello che ha dato il nome a questa parte di parco.”
“Quindi, in teoria, siamo nel giardino del principe?”
“Sì, più o meno.” Rise divertito Tommy. Negli Stati Uniti non eravamo decisamente abituati ad avere una famiglia reale. Il massimo che avevamo era la Casa Bianca e non si poteva di certo fare jogging nel giardino del Presidente degli Stati Uniti. Non se si voleva evitare di essere arrestati, almeno.
Cominciai a correre sul posto, pronta per partire ed immersa nei miei pensieri, ma prima mi voltai verso il ragazzo. Perché, oltre ad essere un musicista, doveva essere anche così bello? Cercai di costringermi a smettere di fissare i lineamenti perfetti del suo viso, ma non ci riuscii. E la cosa tragica era che, da quel poco che eravamo riusciti a parlare, sembrava anche che avessimo delle cose in comune.
“Grazie per la spiegazione.” Dissi infine, dopo una pausa abbastanza lunga. Ero sicura che stesse pensando che ero completamente pazza. “Ci vediamo in giro.” Aggiunsi. Perché mi imbarazzava sempre essere in sua presenza? Era una cosa che non mi succedeva da tanto, troppo tempo. Perdevo le parole e non sapevo come comportarmi, cosa dire. Ci vediamo in giro? Probabilmente non avevo mai detto nulla del genere a nessuno. Non aveva senso. Se prima pensava che fossi pazza, in quel momento ne aveva appena avuto la conferma.
“Okay. Buona corsa!” Esclamò lui. Gli rivolsi un cenno con la testa e cominciai a correre sul sentiero che portava al laghetto artificiale. Ogni tanto lanciavo un’occhiata nella sua direzione e notai che era andato a sedersi su una panchina e stava scrivendo qualcosa su un blocchetto.
Il parco era tranquillo a quell’ora del mattino. C’erano solo persone che, come me, facevano jogging e gente che portava i propri cani a fare una passeggiata. Probabilmente il ragazzo stava scrivendo una canzone. Mi sorpresi a pensare che avrei dato qualsiasi cosa per sapere di cosa parlava il testo che stava scrivendo in quel momento.
 
“Io adoro la tua casa.” Disse Sarah qualche giorno dopo. L’avevo invitata a cena perché mi piaceva la sua compagnia e odiavo essere in quell’enorme appartamento da sola. Quando mi ero trasferita pensavo che restare da sola fosse tutto quello che volevo, invece mi sbagliavo di grosso. Perché rimanere da sola mi obbligava a pensare e non volevo farlo. Il più delle volte mi perdevo a pensare al passato e in quei giorni si era aggiunto anche il ricordo dell’incontro con Tommy al parco. Avevo sapientemente evitato di fare jogging a quell’ora per non incontrarlo più. Avevo ritardato tutta la mia routine di mezz’ora, il che mi dava comunque tantissimo tempo per arrivare al lavoro dopo una corsa, una doccia rinfrescante e una buona colazione.
“Grazie.” Replicai, aprendo i cartoncini del cibo cinese da asporto che ci eravamo fatte consegnare. La signora Gardner mi aveva proibito di fare grandi modifiche alla casa, come cambiare completamente i mobili, mettere carta da parati o cose del genere, ma avevo trovato il modo di personalizzare l’appartamento con quadri da sostituire a quelli che erano già appesi, soprammobili, tappeti e cuscini colorati.
Anch’io amavo quel posto. Era in una zona che mi piaceva tantissimo e mi dava la sensazione di essere a casa.
“Ma come fai a permetterti l’affitto in questa via? Io abito lontanissimo e la mattina ci metto quaranta minuti per venire al lavoro.” Si lamentò Sarah. Prese una confezione di bacchette dal sacchetto, le aprì e le staccò una dall’altra per cominciare a mangiare il riso alla cantonese che avevamo ordinato.
“Devo ringraziare mia nonna.” Risposi, abbassando lo sguardo.
“Te l’ha regalato lei?” Domandò Sarah, interessata. Ci conoscevamo da circa un mese e non le avevo ancora parlato apertamente della mia vita privata.
“Non proprio. Beh, è come se l’avesse fatto.” Dissi.
I miei nonni erano molto facoltosi. Nonno Kenneth aveva trovato fortuna nel 1963, trasferendosi dal Wyoming a Hollywood a venticinque anni con tanti sogni nel cassetto e pochi dollari in tasca. Dopo mesi di tentativi aveva ottenuto un colloquio e proposto a una casa di produzione televisiva l’idea per un telefilm. All'inizio si era sentito rispondere un “no” secco, ma l’uomo non aveva perso le speranze e aveva proposto la sua idea a tutte le case di produzione di Los Angeles, finché un giorno aveva trovato qualcuno disposto ad ascoltarlo e a rischiare. E il risultato fu incredibile, perché quella serie televisiva diventò presto popolare, raggiungendo picchi di ascolti altissimi. Da quel momento mio nonno dedicò la sua vita al mondo della televisione, creando alcuni dei telefilm più di successo degli anni Settanta e Ottanta. Fu proprio sul set di uno degli episodi di una delle sue serie culto che incontrò nonna Cecilia, che in quel periodo era una delle modelle più famose del mondo.
Sarah si mise comoda sul cuscino che avevo sistemato davanti al tavolino in soggiorno per ascoltare il resto della storia.
“Mia nonna era la persona con cui preferivo stare in assoluto. Quando ero piccola mio padre e mia madre continuavano a litigare, così io scappavo e andavo a trovare lei, che abitava a pochi metri di distanza da noi in un’enorme villa.”
“Abitavate a Los Angeles?”
“Sì, a Beverly Hills.” Spiegai. “Mia nonna aveva una villa bellissima sulle colline e dal giardino potevi vedere la scritta di Hollywood. La nostra era un po’ più in basso e avevamo la vista sulla città.”
“Deve essere stato magnifico.”
“Ho le foto da qualche parte, te le faccio vedere dopo.” Replicai, pensando che quelle immagini erano probabilmente le uniche cose che guardavo volentieri e che avevo deciso di portare con me. “Mio nonno è morto quando avevo circa dieci anni e nello stesso periodo ho scoperto che nonna CeCe era malata, così ogni volta che potevo andavo a casa sua e mi prendevo cura di lei. Passavo pomeriggi interi al suo fianco e lei mi raccontava tutte le storie della sua gioventù, di tutte le persone interessanti che aveva incontrato, di quello che aveva fatto.” Mi interruppi per sorridere al ricordo di mia nonna e dei suoi racconti. Al solo pensiero sentii gli occhi lucidi e un nodo in gola.
“Non devi raccontarmelo se non vuoi, Kat.” Disse immediatamente Sarah.
“Non preoccuparti.” Risposi. Inspirai profondamente e bevvi un po’ d’acqua per calmarmi. “E’ morta poco prima del mio sedicesimo compleanno.” Dissi poi.
“Mi dispiace.” Mormorò Sarah, appoggiando una mano sulla mia e stringendola leggermente. Mi morsi il labbro inferiore e cercai di sorridere.
“Mia nonna era la persona migliore del mondo. Mi ha lasciato tutto quello che aveva.” Aggiunsi poi, tornando alla domanda della mia amica. “E’ per questo che posso permettermi l’appartamento.”
“E’ lei?” Mi chiese la ragazza, indicando una foto che avevo incorniciato e appeso alla parete.
“Sì, quando era giovane.” Risposi. Mia nonna era sempre stata bellissima e avevo tenuto alcune delle sue foto professionali da incorniciare. Era come se in quel modo avessi sempre una parte di lei con me.
“Ti assomiglia, sai?”
Sorrisi alla foto, poi rivolsi lo sguardo alla mia amica e annuii. Sarah era la prima persona con cui ero riuscita ad aprirmi in parecchio tempo. E quello che le avevo raccontato era un millesimo della mia vita privata, ma almeno era un passo avanti. Magari prima o poi sarei riuscita a dirle tutto.
“Com’è il tuo riso alla cantonese?” Domandai poi per cambiare argomento. Per una sola serata avevo parlato abbastanza di me.
“Buonissimo! Vuoi?”
Ci scambiammo i piatti e le feci assaggiare gli spaghetti di soia che avevo ordinato per me.
“C’è un pub che conosco, non tanto lontano da qui, che fa hamburger buonissimi. Una sera dobbiamo andarci.” Propose Sarah dopo un po’.
“Volentieri. Ma adesso raccontami di Evan e te.”
La ragazza, come sempre quando parlava di lui, sospirò e assunse un sorrisetto e un’espressione sognante.
“Ti giuro, non ho mai incontrato nessuno così perfetto! L’altra sera mi ha portata a casa sua e ha cucinato! Ti pare? Al giorno d’oggi non si trovano ragazzi di venticinque anni che cucinano. Ed è anche bravo!” Esclamò.
“Deduco che la serata sia andata molto bene.”
Molto.” Confermò la mia amica prima di scoppiare a ridere. “Tommy mi ha detto che ti ha incontrata al parco qualche giorno fa.” Aggiunse dopo qualche minuto. “Ci siamo visti l’altro giorno, quando sono andata a casa di Evan. Lui stava andando via e ci siamo incrociati.”
“Sì, stavo facendo stretching. Apparentemente abita qui in zona.” Risposi, cercando di ostentare indifferenza.
“E’ un ragazzo davvero fantastico.” Disse Sarah. Roteai gli occhi al cielo, sapendo che stava per ricominciare con quel discorso. “Dai, Kat, sei qui da più di un mese e non sei ancora uscita con nessuno! Perché non gli dai una possibilità?”
“Ma siamo già usciti, non ci siamo trovati bene.”
“Solo perché tu hai deciso di non provare nemmeno a conoscerlo per qualche oscuro motivo. Ti prego, esci con noi domani sera. Andiamo a cena in un posto carino e ci saremo anche Evan ed io. Se odierai Tommy così tanto potrai andare via.”
Provai a riflettere sulla proposta che mi aveva fatto Sarah: in fin dei conti si trattava solo di una cena e Tommy ed io non saremmo nemmeno stati da soli. La ragazza mi stava guardando con un’espressione di speranza che non mi lasciava nessuna alternativa. Oltre al fatto che avrei potuto passare una serata intera a guardarlo di nascosto. Sarà anche stato un musicista, ma era pur sempre uno dei ragazzi più attraenti che avessi mai conosciuto. Tornai a pensare ai lineamenti perfetti del suo viso, ai capelli biondi un po’ spettinati, ai tatuaggi che ero riuscita a vedere dalla maglietta a mezze maniche… no, dovevo smettere di pensarci.
“D’accordo. Solo perché quando vedrai che non abbiamo niente da dirci smetterai di provare a farmi uscire con lui.” Cedetti, continuando a pensare ai tatuaggi di Tommy. Chissà che cosa rappresentavano. Erano così tanti e intricati che non ero riuscita a capirne nemmeno uno.
“Fantastico! Mando subito un messaggio ad Evan!” Esclamò Sarah, sorridendo. Bastava poco per renderla felice.

 


Buongiorno! Ecco il secondo capitolo di "(Un)broken - Le Ali Della Farfalla". Oggi scopriamo qualcosa in più su Kat, perché la protagonista riesce ad aprirsi un po' con Sarah. Non molto, perché come vedremo più avanti i suoi segreti sono tanti e molto grandi. E giuro che prima o poi scoprirete perché ha un'avversione così grande nei confronti dei musicisti. E' qualcosa di cui parlerò nei capitoli che non sono stati pubblicati nell'anteprima del concorso.
Inoltre ho aggiunto una piccola parte sulla storia dei nonni di Kat per spiegare un po' meglio perché la ragazza è così ricca. Voglio ringraziare Kiki, perché il suo feedback allo scorso capitolo mi ha aiutata molto ed è per questo che ho deciso di aggiungere una parte di racconto.

Grazie anche a tutte le persone che hanno letto lo scorso capitolo e a chi ha commentato. Per qualche strano motivo postare una storia completamente originale è ancora più terrificante di una fan fiction, forse perché tutti i personaggi sono completamente inventati. Non lo so, è una sensazione strana. Spero che questo capitolo vi piaccia! Il prossimo lo posterò lunedì :)

 

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