Con un ritardo di tre
giorni, pubblico la seconda shot di V. Chiedo umilmente perdono
a V per non aver onorato il V Novembre e chiedo
perdono anche a voi lettori per il mancato appuntamento. Il problema
è che ho cambiato computer perchè il vecchio non
funzionava (per aprire la pagina delle mie storie una volta ci ho messo
cinquanta minuti!). Il nuovo computer invece non aveva open office,
quindi...un casino assurdo! Ho dovuto riscrivere la storia sul nuovo
pc, dovendo ritagliare tempo nella mia incasinatissima vita! XD
Ma bando alle ciance, non vi sto ad annoiare tanto con le cavolate
sulla mia vita privata. Quindi, lascio alla vostra lettura e
al vostro parere questo capitolo. Premetto solo che come,
come vedrete, lo stile si avvicina a quello di un capitolo vero e
proprio, ma preferisco considerarlo come una shot in quanto non so se
seguiranno altri capitoli a questo. A dire il vero non credo,
perciò considerate anche voi il seguente scritto come
one-shot. In secondo luogo, so che non dovrei dirlo in quanto autrice,
ma per quanto mi sia piaciuto scrivere la seguente shot, resto del
parere che il mio scritto migliore sia quello del "capitolo"
precedente. Credo che sia inutile rinfrescarvi la memoria su questo
film, ma per scrupolo vi dico solo che il titolo del capitolo deriva
dalla confessione che V ad Evey quando, libearata dalla sua prigionia,
scopre che a torturarla è stato proprio V. L'odio che prova
per lui finalmente la accomuna al V dei primi tempi.
Non mi resta che augurare una buona lettura a tutti (sperando nella
vostra clemenza per il ritardo con cui pubblico questa storia) e
ringraziare chi la leggerà, chi l'ha inserita tra le
seguite, chi tra le preferite e chi tra le ricordate. In ultimo, ma non
meno importante chi l'ha recensita e chi vorrà
recensire ancora :-)
Odio
Sono nudo, stanco e dolorante. Trovo casualmente un passaggio chiuso
che conduce alla metropolitana. E' completamente sbarrata ed e'
severamente punibile chi vi faccia accesso. Me ne frego completamente
di quello che dicono le scritte. Mi sento morire e mi chiedo come
potrebbero giustiziare un morto; se la mia forza di volontà
mi permetterà di sopravvivere non mi farò mai
mettere di nuovo le mani addosso. Apro quel varco. Dentro tutto e'
buio. La metropolitana però non deve essere stata chiusa da
molto poichè un cartellone pubblicitario, illuminato ormai
da un solo neon rischiara appena la zona circostante. Lo raggiungo e
trovo le porte del treno aperte. Entro e mi sdraio sui sedili. Sento le
forze abbandonarmi all'istante.
Mi sveglio, senza ricordare dove mi trovo. Mi ci vuole un po' prima di
ricordare che sono nella metro abbandonata. Non so quanto tempo ho
dormito, quanti giorni. Però so di non avere vestiti
addosso. Che strano, ciò nonostante non sento freddo. A dire
il vero, ricordandomi di essere nel treno della metropolitana, non
sento nemmeno i sedili sotto la schiena e le gambe. E' in questo
momento che realizzo tutto. Il mio unico obbiettivo era fuggire,
l'unico sentimento era di libertà e di gioia nell'aver
riscoperto Dio e quindi di sapere che Valerie non era morta davvero,
per sempre. Ero così pervaso da tutto ciò che non
mi resi conto di cio che mi era davvero successo. Mi accerto di avere
ancora la lettera in mano e per fortuna nessuna esplosione l'ha fatta
rotolare via. Provo e a sedermi ed un dolore immenso mi pervade tutto
il corpo. Un dolore indescrivibile e lancinante. Sento la pelle tirare
ovunque e quasi bruciare. Un dolore allucinante parte dalla cute del
corpo e arriva fino alle osse trasmettendo segnali di dolore acuto al
cervello. Sforzandomi riesco a mettermi seduto ed appoggio la lettera
sul sedile accanto e mi riaddormento sopraffatto dalla stanchezza.
Sono sveglio già da molto. Non saprei quantificare quanto,
ma so che è tutto il tempo che medito sul da farsi: non
posso dormire in questo squallido posto per il resto della mia vita.
Armandomi di tanta forza e coraggio, esco dunque a fatica dal treno.
Fuori è giorno, vedo uno spiraglio di luce dall'entrata
(oltre che dal cartello pubblicitario). Mi avvicino all'ingresso con
passi lenti dovuti al dolore della pelle sofferente almeno tanto quanto
i muscoli. Anzi, forse sono i muscoli quelli più devastati
da quell'incendio. So di essere completamente ustionato e il fatto che
non senta più il freddo é una conferma del mio
elevato grado d'ustione, oltre al dolore che sento; mi rendo conto
benissimo di essere abbastanza orribile, ma... devo farmi forza e
vedere cosa sono diventato; abituarmi a quel mio nuovo corpo. Mi
avvicino piano all'entrata, cercando di non rimanere troppo abbagliato
da quella luce. Non è forte, ma per uno che non vede la luce
del sole da tanto tempo come me, è comunque abbastanza
accecante. E' un miracolo che il fuoco non mi abbia divorato la vista
la notte di quell'incendio, non posso dunque essermela cavata per
rimanere accecato poi dalla luce del sole troppo forte ai miei poveri
occhi da moribondo. La vista piano piano si adatta alla luce solare,
prendo un bel respiro, sollevo le mani ed abbassà la testa
per guardarle. Trattengo a stento un urlo di spavento e mi ritiro i
all'istante nell'ombra. Quelle mani non potevano appartenere a... me!
Mi tocco invano il volto! Non sento nulla, ne' sotto le mie dita, ne'
sulla mia faccia. Ma d'altronde lo sapevo già di non essere
uno spettacolo e se voglio continuare a vivere e portare a termine la
difficile missione che mi sono prefissato devo abituarmi alla vista di
un corpo probabilmente ridotto interamente come le mani. Il mio viso
incluso. Mi avvicino di nuovo alla luce per poter constatare lo stato
di piedi, gambe, torace e braccia. Non senza essermi prima preparato
psicologicamente a ciò che potrei vedere, e a trattenere un
altro possibile urlo di spavento.
* * *
Dopo aver rimuginato per delle ore su quanto è successo in
quel lager, quella notte che mi ha divorato quasi completamente la
pelle lasciandomi quasi tutti i muscoli in vista, mi chiedo come potrei
uscire all'esterno ridotto in quello stato. La sera senz'altro era
l'idea migliore. Dopo le tre, quando la città è
sicuramente deserta. L'unico luogo dove potrei trovare dei vestiti
è il mio lager senza nome.
Non so che ore siano, ma non sentendo più una sola
voce, capisco che è il momento opportuno per uscire dal mio
nascondiglio.
Mi sento un ladro. Quando entrai in quel luogo incurante della vita e
dei dolori del mio corpo mi stavo battendo per una grande causa, ora
invece sto rischiando dei guai io e miei ambizosi progetti per un paio
di vestiti, ma d'altronde mal messo come sono, non posso andarmene in
giro tutto nudo in pieno giorno per comprarne di nuovi.
Ripercorro a ritroso la strada che ho fatto per giungere alla
metropolitana e finalmente trovo quel posto maledetto. E' tutto
transennato e c'è un cartello grande con scritto: "Fuori
quarantena". Mi vengono in mente le grida disperate dei prigionieri,
moribondi che si trascinavano per terra, gente che nell'esplosione era
rimasta mutilata o sfigurata come me che urlava e piangeva. Poi i
medici che si tenevano strette le loro cavie, dottori che sembravano
mostrare un po'di pietà umana aiutando i detenuti a
salvarsi, ma sapevo bene che in realtà salvandoli speravano
di poter mandare avanti i loro mostruosi progetti. Ovunque era sangue e
fiamme. Cerco di cacciare via quei ricordi non essendo il momento
adatto per perdermi in essi. Giro il luogo in lungo e in largo,
arrivando alla conclusione che se voglio girare per la città
devo improvvisarmi ladro, una cosa che in realtà non mi
farà certo onore.
All'improvviso sento qualcuno urlare: -Fermo!!- e una torcia mi punta
contro. Scappo per non farmi vedere, ma il mio corpo non è
più in grado di correre, è già uno
sforzo muovermi normalmente come se non mi fosse successo nulla,
figurarsi se sono stato in grado di fuggire a lungo! Cado. Vedo il
ginocchio e la mano fatti di muscoli, vene, ossa e pochi brandelli di
pelle sanguinare. Dovrò abituarmi a quella nuova vista!
L'uomo di prima si avventa su di me: -Non lo sai che è
severamente vietato aggirarsi dopo il copri fuoco e in questa zona in
particolar modo?- e così dicendo mi punta la pistola contro
la testa. -Ora girati lentamente!-
-Le assicuro che questa non è una tuta aderente, sono
disarmato, nudo e davanti sono come dietro!- Probabilmente mi guarda
meglio alla fioca luce della luna coperta dalle nubi e al fascio della
torcia elettrica poichè poco dopo sento un atterrito: -Mio
Dio!!
Mentre quello mi guarda con gli occhi spalancati dal terrore, medito
sul fatto che quel cappuccio sarebbe stato perfetto per nascondere alla
gente lo spettacolo sgradevole anche alla mia vista che sono divenuto.
Quanto sono disgustoso me lo dice anche il giovane che, braccia tese in
avanti a reggere l'arma, non da segni di vita. Immobilizzato dalla
paura. Pietrificato come chiunque avesse visto Medusa. Senza perdermi
in ulteriori analisi, scatto cogliendolo alla sprovvista. Uno scatto
fulmineo, nonostante lo sforzo costatomi, e colpisco con l'avambraccio
sul suo gomito con tanta forza ho. In condizioni migliori gliel'avrei
sicuramente rotto, ma posso accontentarmi di averlo piegato abbastanza
da procurargli male e prendergli con la mano sinistra l'arma da fuoco
caduta dalla sua presa. Ora che i ruoli si sono sovvertiti, mi sento
più sicuro di me. Gli punto l'arma addosso e gli dicoi: -Da
bravo... Ora getta le altri armi.
Lui prende un'altra pistola, ma la presa non più salda,
tradisce il suo tentativo di essere un duro. Così, intuendo
chi mi trovavo di fronte, provo a far leva sulle sue paure: -Come vedi,
io sopravvivo a tutto. Se provi a spararmi, credimi che non morirai
senza che io sia l'ultima cosa che avrai visto dopo che avrò
scaricato tutte le pallotole su di te.
I suoi occhi chiari si agitano, spostandosi prima su di me poi
sull'arma; di nuovo su di me, a destra, poi a sinistra; ancora su di me
e poi sull'arma, almeno un altro paio di volte. Infine lascia cadere la
pistola, lo vedo slacciarsi lentamente la cintura e poi sfilarla prima
di farla cadere cautamente a terra davanti a sè.
-Bravo... Ora togliti i vestiti.
Sgrana gli occhi, per quanto fosse possibile aprire ancora di
più un paio di occhi già spalancati.
-Fo-fottiti!- prova a dirmi, prima di girarsi per scappare.
Sparo un colpo sfiorandolo semplicemente e arrestando la sua misera
fuga di pochi passi. La mira non mi è mai mancata. Sono
contento di vedere che nonostante i danni che mi sono stati provocati
all'interno di quella struttura, riesco comunque a fare molte cose
incredibili per lo stato in cui mi trovo. E' in questo momento che
inizio a intuire perchè ero un caso così
interessante agli occhi della dottoressa. Ma mi risveglio quasi subito,
ancora una volta, non p il momento per fare supposizioni. -Avanti, o i
vestiti... o la vita più i vestiti! Ahahah.- Quella risata
mi sorprende. Non perchè la situazione è
tutt'altro che comica, o perchè sono l'ultima persona che
avrebbe da ridere, ma per la risata in se'. Frutto dell'odio, carica di
odio: odio puro che iniziò a scorrermi nelle vene insieme al
sangue. Mentre medito sulla sensazione intossicante di forza che mi da
l'odio lo vedo togliersi, esitante, i vestiti. Gli chiedo di
raccontarmi cosa è successo negli ultimi anni. Tra un
vestito in meno e l'altro, mi informa sul virus che colpì la
Saint Mary in Scozia e Threewaters, le migliaia di vittime causate; su
Suttler che era salito al potere ed era appena diventato Alto
Cancelliere; sui moti rivoluzionari che si stavano affievolendo, grazie
alla rigida politica del nuovo capo dello Stato. Nei miei polmoni,
odio. Mi disse inoltre che da qualche settimana era stato imposto il
coprifuoco a partire dalle undici in poi, il primo di una serie di
provvedimenti che sarebbero stati applicati da lì a poco e
che sono stati escogitati dal Cancelliere per riportare la pace in
Inghilterra e gli Stati a lei annessi. Il mio respiro si fa pesante,
come se l'aria si fosse intrisa di odio e fosse più pesante,
più difficile da inspirare.
-Anche quello! Levatelo di dosso e dimmi perchè devi
indossarlo- gli ordino riferendomi al suo cappuccio nero continuando a
puntare la pistola su di lui. Esegue il mio ordine e mi racconta nel
dettaglio infine del nuovo corpo di difesa dei Castigatori capeggiati
da un certo Creedek. Sento che l'odio potrebbbe aiutarmi ad andare
avanti, tanto è forte la carica che mi da.
Mi avvicino piano a lui, che mi guarda trattenendo il pianto o la
voglia di urlare, a due spanne da lui lo colpisco al collo con la
pistola. Cade privo di sensi. Non l'ho colpito forte, nel giro di dieci
minuti si riprenderà, ma avrò avuto tutto il
tempo necessario per legarlo e travestirmi da incappucciato. Prendo la
sua cinghia e tolgo tutte le armi, mi avvicino e mi accorgo solo in
questo momento che è un ragazzo della mia età o
poco di più. Ora capisco perchè ho avuto tanta
fortuna nella mia improvvisata. Solo lui sa cosa l'abbia spinto a fare
un lavoro per il quale non era tagliato. Provo pietà, ma so
che il mio corpo non è ancora pronto per una fuga
perciò gli lego i polsi dietro la schiena.
-Ah!- la pelle, o quel che ne è rimasto, tira
bruciando di più all'ennesimo movimento forzato per
vestirmi. Mi manca solo il cappuccio e sono a posto. Mi sforzo
stringendo i denti e le mani intorno alla stoffa, ancora un ultimo
sforzo... Solo ancora un po'... Finalmente! Sono totalmente coperto e
dolorante. Un lamento porta l'attenzione a guardare verso il ragazzo
seduto e legato. Alza la testa lentamente, ancora stordito. Cerco di
riprendere forze aspettando che il giovane si riprenda totalmente.
Quando quello si gira verso di me, le lacrime a rigargli
silenziosamente il volto, gli dico: -Con una cintura, legata in modo
maldestro da un uomo senza molte forze, ti libererai nel giro di cinque
minuti. Tieni- gli lancio la ricetrasmittente -Di questa non so che
farmene, quando sarai libero potrai chiamare i rinforzi. Ma ragazzo...-
attirando ancora di più la sua attenzione -Se vuoi un
consiglio, vedi di lasciar perdere questo mestiere e di non dire nulla
di stanotte, se i tuoi superiori lo sapessero non esiterebbero ad
uccidermi.
-Come ti permetti di darmi consigli?? Credi che non capiranno quando mi
vedranno tornare alla base così??- mi urla in lacrime.
-Certo che lo capiranno, ma solo se sei così stupido da
tornare direttamente da loro senza i tuoi vestiti addosso.
-Comunque mi uccideranno quando vedranno che sono scappato.
-Ssst!- lo zittisco portandomi alla sua altezza e una mano guantata
sotto il suo mento: -Parli con un uomo che pur di salvarsi ha
attraversato le fiamme dell'inferno. Scappa ragazzo, rifatti una nuova
identità e non tornare più. Ti assicuro che
nessuno ti farà del male se farai così.
-Ma come farò??- piagnucola dandomi sui nervi.
-Arrangiati!-
-Ma...-
-Ascolta bello, io ti sto risparmiando la vita pur sapendo che rischio
molto. Quindi mi dovresti essere grato di lasciarti scegliere da solo
l'esito della tua vita. Se resti sai che morirai, se scappi ti
salverai. Basta che vuoi davvero vivere e vedrai che troverai il modo
di farcela anche tu!- così dicendo, raccolgo tutta le armi
precedentemente depositate e scatto in piedi. Le nubi coprono
nuovamente la luna, ma io riesco a vedere perfettamente quel giovane
singhiozzare. Lo supero, ma mi blocca il suo: -Gra... grazie-
mormorato. Ma è questione di un attimo e riprendo il mio
cammino verso l'uscita da quel luogo. Non devi ringraziarmi, stupido.
Odio anche te. Piangi perchè ti ritrovi in mutande a dover
scegliere del tuo destino, mentre ignori gli orrori che si sono
consumati qui, ben più gravi di un giovane uomo sfigurato.
Immagini di ciò che ho visto e vissuto mi si presentano alla
memoria, vorrei urlare, ma non riesco. L'odio si accumula nel mio
cuore. Mentre sto per uscire alzo lo sguardo sull'arcata del cancello
d'ingresso e leggo la scritta in ferro "Larkhill". Ora quel lager ha un
nome anche per me.
All'interno della metropolitana medito sui chiari progetti che ho sul
domani: prenderò io il posto di quel ragazzo. Solo
così potrò girare senza destare attenzione,
potrò nutrirmi, rimmettermi in forze ed allenarmi;
aggiornarmi meglio su ciò che sta succedendo e
ciò che è accaduto mentre ero prigioniero. Guardo
alla luce del neon il mio nuovo abbigliamento. "Oooh, nessuno di voi ha
idea della portata che avrà la mia vendetta..." penso
soffocando un ghigno soddisfatto, carico di odio e di sofferenza. La
mia e quella di Valerie, simbolo di tutti quelli che sono morti al
Larkhill.
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