Sweet Life
Alcuni bambini in costume da
bagno si affollavano attorno ad un corpo immobile, disteso in posizione
fetale sulla spiaggia. Uno di loro, il più coraggioso,
raccolse da terra un piccolo rametto secco e punzecchiò in
più parti il corpo, urlando di sorpresa quando questo si
mosse.
"E' vivo"
esclamò, chinandosi e poggiandosi sui talloni. Gli altri
bimbi si misero alle sue spalle ed aspettarono che il corpo aprisse gli
occhi. Alcuni scapparono terrorizzati quando quello che si
rivelò un ragazzo aprì un occhio, iniettato
completamente di sangue. Solo il bambino che l'aveva punzecchiato
rimase immobile, e facendosi coraggio, "Non si può stare
sulla spiaggia completamente vestiti" disse. Il ragazzo aprì
il secondo occhio e si mise faticosamente a sedere, nascondendo il
volto tra le mani grandi, tentò di parlare ma le parole gli
morirono nella gola secca.
"Te ne devi andare
signore" insistette il bambino; il ragazzo lo squadrò
confuso chiedendosi per quale motivo un moccioso di sette anni gli
stava dicendo di andarsene. Si guardò attorno e parve
realizzare solo in quel momento che si trovava su una spiaggia
affollatissima e che diversi ragazzini lo stavano fissando spaventati.
Si voltò verso il bambino che gli aveva rivolto la parola,
quello che sembrava tra tutti il meno terrorizzato e facendo uno sforzo
sovraumano, "Aiutami" gli intimò e gli porse la mano. Questo
non se lo fece ripetere due volte e afferrò con le manine
quella grande del ragazzo e, con tutta la forza che aveva nel corpo, lo
aiuto a rimettersi in piedi.
"Grazie ragazzino"
disse semplicemente il ragazzo, stentando qualche passo nella sabbia
soffice e calda. Stava per andarsene, sotto gli sguardi costernati
delle madri di famiglia che avevano richiamato presso di sé
i loro bimbi, quando il ragazzino che l'aveva punzecchiato lo
raggiunse, "Aspetta! Come ti chiami?" gli domandò sulle
spine. Il ragazzo lo squadrò confuso, "Liam" rispose
lapidario prima di dargli le spalle ed andare via da quella spiaggia.
Liam si
guardò attorno, cercando di capire dove fosse. Si
infilò una mano nella tasca dei pantaloni neri e poi
nell'altra: non aveva più telefono né soldi.
Avrebbe volentieri chiamato un taxi per farsi riportare a casa, ma a
quelle condizioni era costretto a farsi tutta la strada a piedi, senza
sapere nemmeno dove fosse. Venne quasi investito da una ragazza sui
rollerblade che sfrecciava sul marciapiede, questa rise e Liam si
coprì gli occhi perché la luce del sole stava
violentando i suoi occhi stanchi. Intravide un cartello su cui
campeggiava la scritta Venice Beach ed imprecò a denti
stretti: a piedi ci avrebbe messo più di quattro ore per
raggiungere la sua villa a Franklin Avenue. O meglio la villa di suo
padre, prima attore e poi famosissimo regista. Liam faceva la vita del
mantenuto, a cui tutto era dovuto senza mai faticare, perciò
l'idea di coprire a piedi tutti quei chilometri lo destabilizzava,
soprattutto sotto il sole cocente di luglio. Aveva tanto voglia di
indossare gli scuri Rayban per coprire gli occhi arrossati dal poco
sonno e dalla nottataccia appena trascorsa, ma anche questi, come la
maggior parte dei suoi effetti personali, erano a casa, al sicuro.
Si slacciò
il primo bottone della camicia blu che indossava e si
incamminò, senza conoscere bene la strada da fare.
I ricordi della serata
precedente faticavano a tornare a galla, nella sua testa c'era una
fitta nebbia. Ficcò una mano nel taschino interno della
giacca nera e ne estrasse un pacchetto di Malboro, si portò
una delle sigarette in bocca e se l'accese. La prima boccata di fumo
gli riportò alla luce un flash della sera precedente.
Come al solito suo
padre non c'era a casa, vivevano da soli, fatta esclusione per i
domestici, da diversi anni, da quando sua madre aveva fatto i bagagli
ed era tornata in Inghilterra con le sue sorelle. Liam aveva alzato le
spalle alla proposta della madre di andarsene da lì: a lui
piaceva la vita che conduceva in California, gli piaceva la sua grande
villa con piscina sulla famosa Franklin Avenue di Hollywood, gli
piaceva la sua Jaguar, i soldi facili, gli amici. Perciò
quella volta, diversi anni prima, aveva risposto di no a sua madre
senza pensarci più di tanto.
Non appena aveva
sentito una delle macchine del padre fare retromarcia lungo il vialetto
di casa, Liam si era fiondato nella camera da letto dell'uomo.
L'elemento più di spicco nella stanza era sicuramente
l'enorme libreria stipata di volumi di rara bellezza, alcuni di essi
valevano migliaia e migliaia di dollari, e costituivano il
più prezioso tesoro di suo padre. Nel quarto ripiano
partendo dal basso vi era quello che all'apparenza sembrava un antico
volume dei Canterbury Tales, Liam lo estrasse e si sedette sul letto
del padre, tenendo in grembo quel grosso tomo. Sollevò la
copertina rigida: le pagine del libro erano scavate. Liam sorrise
estraendo dalla fessura segreta una bustina e se la infilò
velocemente nella tasca interna della giacca. Chiuse velocemente il
tomo e lo rimise attentamente a posto, suo padre non doveva accorgersi
di nulla.
Buttò via
il mozzicone a terra e riprese a camminare più lentamente.
Sentiva decisamente troppo caldo, quindi si sfilò la giacca.
Aveva sì e no percorso il primo chilometro di strada ed era
già a pezzi, come se un treno gli fosse passato
sul corpo nel corso della notte. Cosa che poteva essere tranquillamente
successa per quanto ricordasse. Slacciò il secondo bottone
della camicia e si guardò attorno: doveva chiedere a
qualcuno un telefono, doveva chiamarlo per farsi venire a prendere, lui
sarebbe accorso in suo aiuto, ma un altro flash della notte precedente
lo assalì proprio in quell'istante.
You've had a landscaper and a
house keeper since you were born
The starshine always
kept you warm
So why see the world,
when you got the beach
Don't know why see the
world, when you got the beach
Era sulla spiaggia,
seduto a terra, con una mano tra la sabbia mentre con le dita
dell'altra stringeva uno spinello che con flemma si portava alla bocca.
Aspirò per l'ennesima volta il fumo e si stese a terra,
accanto a Zayn.
Zayn era il ragazzo
più attraente che i suoi occhi scuri avessero mai visto:
aveva due grandi occhi color nocciola che, illuminati dal sole,
assumevano una sfumatura chiarissima, gialla quasi come quelli dei
gatti. Il taglio orientale delle due pietre preziose che aveva al posto
degli occhi era accentuato da quello ciglia lunghissime e nere. Il viso
era perfetto nelle proporzioni, le guance e il collo coperti da diversi
millimetri di barba. Era poco più basso di lui ma molto
più magro, aveva i fianchi e le spalle stretti.
Liam era rimasto
incantato da lui la prima volta che l'aveva visto, un paio di anni
prima, recitare una minuscola parte in un film di suo padre. Zayn era
consapevole della sue bellezza e dell'effetto che questa faceva su un
Liam inesperto, diciassettenne al tempo, ingenuo quasi.
Zayn sfruttava la sua
bellezza e la strumentalizzava, usava il suo viso e il suo corpo per
qualsiasi cosa. Liam lo sapeva ma non gli importava, si era avvicinato
a lui perché voleva farlo e mai era stato turbato dal
comportamento di quello che comunemente definiva come il suo migliore
amico ma che in realtà era ben altro.
Zayn era stato la sua
prima sigaretta, la sua prima canna, la sua prima striscia, il suo
primo bacio, la sua prima volta, quest'ultima non se la ricordava bene
perché entrambi erano troppo fatti, ma le successive erano
impresse a fuoco nella mente del più giovane.
Zayn gli
rubò dalle mani la canna e Liam si lamentò con un
mugolio.
"Da quand'è
che sei diventato tanto egoista?" gli domandò il moro,
buttandogli il fumo in faccia e tornando ad aspirare ad occhi chiusi.
Liam sbuffò, "Quella è roba mia" si
lamentò subito dopo, tendando di riacciuffare lo spinello
dalle mani del maggiore che prese l'ultima boccata e lanciò
lontano il mozzicone che andò a spegnersi nella sabbia.
"Liam - lo
richiamò Zayn - hai mai pensato di lasciare questo posto?"
gli chiese improvvisamente. Il moro si era messo a sedere e fissava le
onde dell'oceano infrangersi sul bagnasciuga.
"No mai, mi piace qui"
Liam si strinse nelle spalle e guardò il maggiore,
incuriosito dalle sue strane ed inusuali parole.
"Io odio la
California: è troppo calda, è troppo caotica,
è troppo vuota" sancì il maggiore.
"E dove vorresti
andare? Qui facciamo la dolce vita, qui siamo serviti e riveriti"
rispose semplicemente Liam, quelle erano le cose importanti per lui.
Zayn alzò gli occhi al cielo e affondò le lunghe
dita affusolate nella sabbia, "Io voglio vedere il mondo: l'Europa,
l'Asia, il Sud-America"
"Perché
vuoi vedere il mondo quando qui abbiamo la spiaggia, l'oceano?". Zayn tacque.
Liam voleva almeno
sapere che ore fossero, il sole era altissimo, sempre più
cocente sulla sua pelle coperta. Tutti erano svestitissimi, ma lui
ricordava che la sera precendente aveva indossato il completo
perché sapeva che la notte fa freddo anche a Los Angeles.
Da un lato sperava di
incontrare per le strade della città qualche suo conoscente
che magari lo avrebbe riaccompagnato a casa, ma dall'altro si
vergognava di se stesso, non voleva farsi vedere in quello stato.
Nonostante non si fosse guardato allo specchio Liam sapeva alla
perfezione che faccia avesse in quel momento: la faccia che aveva
sempre dopo una nottataccia fatta di alcool e magari anche di altro.
Sapeva di avere gli occhi arrossati e nascosti da profonde e spaventose
occhiaie e la faccia scavata. Decise che continuare a camminare sulla
via di casa sarebbe comunque stata la migliore opzione, in fin dei
conti alle occhiate che gli lanciavano gli sconosciuti era abituato. Si
slacciò il terzo bottone e si accese la seconda sigaretta.
La prima cosa che
aveva fatto, non appena era entrato nell'auto di Zayn era stata
sventolargli in faccia la bustina piena di polvere bianca che aveva
raccattato dalla stanza del padre.
"Tutta per noi due"
trillò Liam, fin troppo entusiasta. Zayn tirò
appena un sorriso e mise in moto. Erano diretti al Maxine*, il locale
più in voga in quel periodo e tutte le star del cinema si
ritrovavano lì, senza un particolare motivo visto che il
posto non aveva nulla di speciale, era una discoteca come tante
discoteche di Hollywood. Non appena lasciarono le giacche, Liam si
fiondò in bagno, pregando Zayn di seguirlo, ma l'altro aveva
cortesemente declinato l'invito, dirigendosi verso il bancone per
prendere da bere. Liam aveva alzato le spalle e si era chiuso
nervosamente in uno dei cubicoli. Con le mani tremanti estrasse la
bustina dalla tasca dei pantaloni e la guardò con occhi
ricolmi di desiderio, riusciva a guardare con la stessa
intensità esclusivamente Zayn. Ne rovesciò parte
del contenuto bianco e leggero sulla tavoletta abbassata del water e si
inginocchio a terra. Estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni il
portafogli, e da questo una delle sue carte di credito e una banconota
da cento dollari. Con la carta sezionò la polvere, poi
arrotolò il centone e se lo portò nei pressi
della narice destra. Inspirò velocemente la prima striscia e
poi la seconda. Sbatté un paio di volte le palpebre per
togliersi di torno le lacrime. Pensò di fermarsi
lì ma non ci riuscì, quindi rovesciò
tutto il contenuto della bustina sulla tavoletta e lo tirò
su in due o tre tranche. Si lasciò cadere a terra e
poggiò la schiena contro la porta del bagno, non riusciva
più a sentire i rumori provenire dal locale, la sua testa
era chiusa ed impenetrabile. Chiuse gli occhi e rilassò per
quanto gli fosse possibile il cuore che palpitava nel petto.
Si ridestò
quando sentì qualcuno battere fortissimo contro la porta del
bagno, aprì faticosamente gli occhi, "Che cazzo non si
può nemmeno più cagare in santa pace?"
biascicò.
"Porco dio Liam apri
questa cazzo di porta" il tono della voce di Zayn era piatto e severo.
Liam tentò di mettersi in piedi e fece appena in tempo ad
aprire il chiavistello, prima di cadere rovinosamente a terra, privo di
sensi. Le braccia di Zayn finirono sotto le sue ascelle e lo
trascinarono fuori dal cubicolo. Il ragazzo si riempì i
palmi delle mani d'acqua e la rovesciò sul volto di Liam che
piano riaprì gli occhi, "Dove sono?" domandò,
beccandosi un calcio nel fianco da parte di uno Zayn più che
furioso.
Aveva camminato molto
in fretta, si era quasi messo a correre non appena quel ricordo
balenò nella sua mente. Come al solito aveva combinato un
casino la sera precedente e ora ne stava soffrendo le conseguenze. Il
sole stava calando e lui era sempre più vicino a casa sua,
sentiva il bisogno fisico di contattare Zayn perciò fece una
deviazione e invece di dirigersi verso Franklin Avenue,
svoltò per Sunset Boulevard. Prese a correre a perdifiato
per raggiungere il prima possibile la villa di Zayn, sperando con tutto
se stesso che il ragazzo fosse in casa. Strizzò gli occhi e
strinse i denti perché il suo fisico provato dalla sera
precente chiedeva pietà, ma continuò a correre
mentre altre immagini si facevano strada nella sua testa: lui e Zayn
nella spiaggia mentre facevano l'amore; Zayn che, subito dopo essersi
riversato in lui quasi con rabbia, si era rivestito e l'aveva
abbandonato sulla spiaggia. Liam ricordava di averci messo
più di due ore a rivestirsi, tanto i suoi sensi erano
intorpiditi e dilaniati dalle sostanze che aveva assunto quella sera.
Continuò a
correre, mentre le sue giunture erano tormentate dall'acido lattico e
il suo cuore minacciava di uscirgli dal petto. Arrivò
all'incrocio con Vine Street e la imboccò sempre
di corsa. Si fermo davanti alla grande villa bianca di Zayn e trasse un
profondo respiro, fu costretto a piegarsi, a poggiare le mani sulle
cosce nel tentativo di riprendere fiato. Si incamminò
zoppicando lungo il vialetto e scagliò il pugno chiuso
contro il pesante portone, per poi attaccare il dito sul campanello.
Rimase per interi minuti chiuso fuori di casa, finché
qualcuno non si degnò di aprirgli il portone. Zayn indossava
una vestaglia di raso color blu notte, stretta in vita, che gli
lasciava scoperte le gambe lunghe e magre. Liam boccheggiò
sulla porta mentre il moro lo fissava con astio.
"Che vuoi?"
sputò fuori, pronto a sbattergli la porta in faccia.
"Fammi entrare" lo
implorò Liam, l'altro sbuffò e aprì
completamente la porta per farlo passare.
"Non ho nulla da
dirti, Liam. Ti ho già detto tutto ieri sera, ma forse non
ti ricordi niente e non me ne fotte un cazzo" Zayn si
incamminò all'interno della sua grande abitazione, arredata
in stile etnico, che, ad un occhio inesperto, poteva sembrare
un'accozzaglia di mobili ed oggetti casuali, ma tutto lì
dentro aveva un perché e ogni cosa era in armonia con
l'altra. Il moro si lasciò cadere scompostamente sul grande
divano viola facendo tacitamente capire a Liam che non poteva sedersi
accanto a lui.
Liam rimase in piedi,
a guardarsi le mani, mentre lo sguardo severo di Zayn vagava su di lui,
esaminando lo stato in cui era messo. "Ti prego dì qualcosa"
sillabò il minore, lanciandogli un'occhiata supplichevole
che Zayn coscientemente evitò di intercettare.
"Ti ho già
detto tutto, odio ripetermi" rispose l'altro, secco, mandando in
frantumi il cuore del minore, "Io... io non me lo ricordo"
biascicò a voce bassa e colpevole. Zayn si lasciò
andare ad un ghignò sprezzante, "Non ti ricordi mai un
cazzo, te lo sei fottuto ormai quel cervello. A soli vent'anni e mi fai
schifo" usò di proposito un tono tagliente per colpire Liam
nel profondo, ci riuscì: il ragazzo cadde sulle ginocchia,
"Zayn no ti prego" implorò con voce rotta.
"Non me ne frega
niente delle tue preghiere, voglio che esci dalla mia vita, io non
posso sopportare tutto questo. Non mi si può spezzare ogni
volta il cuore, ogni volta che vengo a ripescarti dentro uno schifoso
cesso, agonizzante, sento di morire e non ce la faccio più
con questa vita. Anzi, questa non è vita. Questo
è uno schifo" le mani del maggiore tremavano e gli occhi
esitavano sul ragazzo in ginocchio davanti a sé, il cui
petto sussultava per i singhiozzi.
"Sai cosa vuol dire
stare sempre in pena per te? Non riesco più ad essere
tranquillo. Non riesco più a dormire perché nel
cuore della notte mi sveglio e penso che forse ti sei fatto
così tanto da ucciderti. E ho paura di tutto questo e non lo
sopporto più, non ti sopporto più" riprese a
parlare, con voce sempre più incerta.
"E'... anche colpa tua
tutto questo" riuscì a dire Liam, tra le lacrime.
"Cosa?"
domandò sorpreso il moro, alzando il sopracciglio scurissimo.
"Sei stato tu che mi
ha fatto provare tutto questo: l'erba, l'alcool e la coca. Sono tutte
cose che io non avevo mai nemmeno lontanamente immaginato, sei stato
tu. E' solo colpa tua" tentò di fronteggiare con lo sguardo
l'altro, ma ricominciò a piangere, sopraffatto dalle
molteplici emozioni che albergavano in quel momento nel suo cuore. Zayn
rimase in silenzio, deglutì pesantemente il groppo che aveva
in gola e meditò a lungo sulle parole che aveva biascicato
il suo ragazzo. Era stato davvero lui a dare inizio a tutto quello? Era
tutta colpa sua? L'aveva fatto sprofondare in un pozzo senza fondo
mentre lui era rimasto in cima a guardare? Questa consapevolezza
annebbiò il suo cuore, lo fece vacillare.
"Liam"
pronunciò il suo nome con infinità dolcezza nei
suoi confronti, ma dietro quella dolcezza si celava odio nei confonti
di se stesso. Il più giovane alzò la testa e
fissò gli occhi nei suoi, "Che c'è?" chiese
tirando poco elegantemente su col naso.
"Credo che sia meglio
finirla qui, tu... non hai bisogno di una persona come me al tuo
fianco, io ti faccio solo del male. Guarda in cosa ti ho trasformato.
Mi sento terribilmente" esitò quando gli occhi di Liam si
riempirono di nuove lacrime, Zayn le vide formarsi e poi scendere sulle
sue guance. Anche lui iniziò a piangere, "Non farmi questo
Zayn, non puoi abbandonarmi, non ora" ma il moro scosse la testa e si
alzò da terra, "No non possiamo continuare così,
io non sono la persona giusta da avere al tuo fianco, io sono
completamente sbagliato e tu hai bisogno di qualcuno che ti aiuti, non
di me che non faccio altro che farti del male" si allontanò
tremante da lui. Liam tentò di rimettersi in piedi ma gli
prese un forte giramento di testa e vomitò sul costosissimo
tappeto persiano di Zayn che si gettò su lui, per
sorreggergli il capo.
"Non... puoi
lasciarmi" disse con voce arrochita Liam, tirando su col naso e
pulendosi la bocca col dorso della mano, "Non puoi, io sono perso se
non ci sei tu. E voglio che sia tu ad aiutarmi, non voglio nessun
altro, voglio te cazzo" e prese posto sull'accogliente petto di Zayn
che gli accarezzò i capelli con fare materno, sussurrandogli
parole dolci nell'orecchio nel tentativo di calmare quei singhiozzi che
facevano da padroni nel petto di Liam. Dentro di sé sapeva
che in quel modo stava solo peggiorando la situazione, sapeva che
l'unico modo per riuscire a mandare via Liam era usare il pugno di
ferro con lui ma in quella situazione non ci riuscì, era
così debole, sull'orlo del baratro e tutto per colpa sua e
non poteva perdonarselo.
"Vieni Liam, ti do una
sciacquata" ma il ragazzo si aggrappò a lui e
strusciò il volto contro il suo collo. "Voglio restare qui"
miagolò ad occhi chiusi e Zayn sospirò, "Non puoi
restare qui, mi sembra di essere stato chiaro con te"
osservò. Liam spalancò gli occhi come spaventato,
"No Zayn no". Il moro socchiuse gli occhi e prese un respiro, il suo
cuore era in tumulto e doveva rilassarlo, doveva rilassarsi e ragionare
nel modo più lucido possibile.
"Scusami se ti ho
sporcato il tappeto, so che ci tenevi particolarmente, te ne
comprerò uno più bello, te lo farò
arrivare dall'India oppure no, andremo a prenderlo a New Delhi insieme,
che ne pensi?" disse con disperazione, ben sapendo che le sue parole
erano ormai inutili, ben sapendo che a Zayn del tappeto non importava
nulla. Il moro poggiò le mani sulle sue spalle e lo
allontanò da sé, "Devi andartene, Liam. Io non
sono la persona adatta per te, non hai bisogno di me. Io ti ho fatto
tutto questo e ora devo uscire dalla tua vita e basta" Liam
scoppiò ancora in lacrime, lo pregò,
urlò e il cuore di Zayn si sgretolò: da solo era
riuscito a demolire un bravo ragazzo, l'aveva ridotto ai suoi minimi
termini.
"Zayn ti prego, io
muoio senza di te" riprese Liam, sull'orlo di una crisi di nervi.
"Devi andare via, tu
muori con me perché non lo capisci? - gli urlò
contro il ragazzo - Devi andartene. Non ti voglio mai più
vedere. Voglio che sparisci dalla mia esistenza. Non voglio
più sentir parlare di te" mentì spudoratamente ma
le sue parole colpirono in pieno il bersaglio. Liam si rimise
faticosamente in piedi, "Non è questo che vuoi -
riuscì a mormorare, muovendosi verso il portone - non
è questo che vuoi, io lo so. Potrebbe accadermi di tutto,
non te ne frega un cazzo?"
"Esatto Liam, non me
ne frega un cazzo di te, non mi è mai fregato un cazzo di
te, quindi vattene e fai quello che cazzo vuoi della tua vita, non
è più affar mio ormai". Decise di andarsene di
sopra e solo quando sentì il portone sbattere permise ai
suoi sentimenti di sgorgare e, come un fiume in piena, divorarono tutto
ciò che aveva davanti.
Esausto si
lasciò cadere sul letto: aveva fatto completamente a pezzi
la sua stanza, aveva distrutto i mobili, frantumato vasi e lampade,
strappato tende e cuscini, ma finalmente aveva raggiunto uno stato di
stanchezza tale da impedirgli di pensare o di stare in piedi. Si
addormentò velocemente e subito sogni colorati e bizzarri
animarono il suo subconscio: sentiva incredibilmente caldo, i vestiti
leggeri si appiccicavano sulla sua pelle sudata. Era in un posto
sconosciuto, rumoroso ed affollato. Era solo ma poi vide qualcuno
avvicinarsi a lui: stringeva tra le braccia muscolose e scoperte un
grande rotolo di tessuto e gli sorrideva. "Ti ho comprato il tappeto
più bello di tutta New Delhi" affermò con un
sorriso largo, adorabile, Liam. Zayn si svegliò, nel cuore
della notte, col corpo madido di sudore e il volto coperto di calde
lacrime.
___
* il nome è
totalmente inventato
Il titolo della one shot è quello di Sweet Life di Frank
Ocean, come del resto i lyrics che ho inserito ad un certo punto, vi
consiglio di ascoltarla.
Addio, sono le due
passate.
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