Progetto
Lucifero.
Non
c’era altro da fare. Anche la porta, come tutta quella
maledetta stanza, era
composta dello stesso materiale evanescente. Si ritirava sotto le dita
dello
scienziato, quasi dotato di vita propria e non offriva nessuna presa
sicura.
Sam
chiuse gli occhi, raccogliendo le poche, deboli energie che gli
rimanevano e
cercò di concentrarsi. Ma non ne ebbe il tempo,
inaspettatamente la porta si
aprì davanti a lui e comparve Thames con uno strano aggeggio
in mano, seguito
da due uomini alti e robusti, chiaramente due guardie.
“Indietro,
dottore. Per un po’ l’abbiamo lasciata fare.
E’ stato bravo a liberarsi degli
anelli, ma come nel suo Progetto, anche qui il visitatore non deve
lasciare la
sua stanza. Mi creda, è per la sua sicurezza.”
aggiunse ironicamente
l’Osservatore di colore.
“Oh,
ne sono certo.” rispose sardonico Sam,
“Sfortunatamente non sono d’accordo.”
Senza alcun preavviso si scagliò contro Thames e con un
calciò proiettò lontano
l’arma; l’Osservatore finì contro un
muro rimanendo stordito. Quella fu l’unica
mossa fortunata di Sam, prima che potesse rendersene conto, i due
massicci
guardiani gli erano già addosso e lo scienziato ricevette
una serie di duri
colpi allo stomaco e al viso.
Mentre
si piegava a terra, cercando di prendere fiato e di scacciare la nebbia
di
dolore che lo stava sopraffacendo, accadde qualcosa. Un’ombra
si gettò tra lui
e i due colossi e un momento dopo Sam fu libero, mentre le due guardie
seguivano lo stesso fato di Thames, tramortite contro il muro.
Lo
scienziato si sentì sollevare da terra e quando finalmente
poté mettere a fuoco
quanto lo circondava, i suoi occhi incontrarono lo sguardo attento e
preoccupato di Al.
“Sam,
stai bene? Riesci ad alzarti?”
Lo
fissò incredulo, accettando la sua mano per tirarsi in
piedi. La cosa più
incredibile non era tanto che l’ammiraglio fosse
lì, quando Sam già disperava
di rivederlo vivo, ma che potessero toccarsi e fu proprio questo che
gli
restituì la parola.
“Al,
tu sei... qui. Voglio dire, non sei un ologramma?”
A
quelle parole l’ammiraglio parve più sorpreso di
lui, come se non si fosse
neanche accorto di essere saltato. Confuso si guardò
intorno. “Sì, beh,
immagino che Ziggy abbia avuto di nuovo qualche problemino.”
Sam
fece per domandargli spiegazioni, ma improvvisamente
l’ammiraglio impallidì
mortalmente, portandosi una mano alla testa e barcollò.
Spaventato lo
scienziato balzò in avanti e lo sostenne impedendogli di
cadere. “Al! Che
cos’hai? Stai male?”
Per
qualche secondo Al non fu in grado di parlare e Sam sentì il
suo corpo tremare
di debolezza e di sofferenza, appoggiandosi pesantemente al suo.
Finalmente Al
sollevò il viso, bianco come un lenzuolo e cercò
di sorridere. “Ho avuto giorni
migliori. Sam, dobbiamo andarcene di qui.”
“Al,
che ti sta succedendo? Cosa... cos’è successo al
Progetto?”
“E’
stata Zoey, Sam. Ha trovato un modo per interrompere il contatto tra
noi due
servendosi di Ziggy. E credo che l’abbia fatto di nuovo
adesso, facendomi
saltare qui. Non so perché l’ha fatto, sapeva che
dovevamo assolutamente
ristabilire il contatto per.. per trovarti, ma non credo che sia spinta
da
motivi così altruistici. Questo posto è una
trappola, Sam, come il deserto. Non
capisci? E’ tutto organizzato da lei o da
quell’altro mostro tecnologico di
Lothos; vogliono ucciderti, Sam... dobbiamo fuggire…
subito!” ansimò
l’ammiraglio.
Sam
chiuse gli occhi, sopraffatto dall’impotenza e dai sensi di
colpa. Al stava
rischiando la vita per aiutarlo, lo aveva capito subito;
l’interferenza di
Lothos con Ziggy doveva aver avuto conseguenze terribili per le cellule
cerebrali del suo amico. Veniva da chiedersi come avesse fatto ad
arrivare fin
lì, ma almeno era ancora vivo. Non era troppo tardi, se
avesse trovato il modo
di riportalo al Progetto, avrebbe potuto ancora salvarsi, ma Sam non
sapeva
come fare.
Guardò
la porta, che si era richiusa e si rese conto che Thames e le guardie
erano
sparite, approfittando della sua distrazione.
“Al,
se ne sono andate. Le guardie sono sparite.”
I
due amici si guardarono intorno, poi si bloccarono, sgomenti. Una
parete stava
lentamente ruotando su se stessa, fino a divenire un’immensa
vetrata di
cristallo. Da dietro il vetro lì fissava con espressione
implacabile Zoey, con
al suo fianco un contuso ma trionfante Thames.
“Benvenuto,
ammiraglio, la stavamo aspettando. Dottor Beckett, le è
piaciuta la sorpresa?”
Sam
si fece avanti, deciso. “Lascialo andare, Zoey. Non
è la sua vita che vuoi.
Lascialo ritornare nel suo tempo e io... resterò qui e
potrai divertirti quanto
vorrai.” disse, ignorando le vibrate proteste di Al.
Zoey
accennò un breve sorriso di ammirazione. “Quanto
è commovente, dottore, tutto
pur di salvare il suo amico, vero? Lothos l’aveva previsto ed
è per questo che
ha attirato l’ammiraglio qui. Caro scienziato, non ha capito
niente, non è il
mio divertimento che conta. E’ il Suo.” disse, con
un ampio gesto comprendente
tutto il complesso, “Io servo Lothos e lui ha deciso. Vita o
morte. E voi
morirete. Ma prima vuol vederla soffrire e quale occasione migliore
della morte
di un caro amico.”
Quelle
parole si conficcarono come schegge di vetro nel cuore di Sam. Fu preso
da
un’ira bruciante, dal desiderio di spaccare tutto, finestre,
porte, pur di
uscire di lì, di arrivare fino a Lothos e di distruggerlo.
Poi
dietro di lui si levò calma la voce di Al. “Il tuo
Belzebù non avrà il suo
spettacolino serale, perché piuttosto che dargli
soddisfazione, mi ucciderò qui
e subito. Sai già che comunque non ho molto da
perdere.” Tolse dalla tasca
della giacca una pistola, sorridendo allo scienziato, sgomento,
“Mi dispiace,
Sam, ma non possiamo permetterle di farci questo. E se in tutto il
tempo che
sei stato rinchiuso qui, non hai trovato una via di fuga, vuol dire che
non
c’è. Se non si può fuggire, mai
illudersi. Ora,” aggiunse, rivolgendosi di
nuovo a Zoey, “Vai pure dal tuo padrone e digli che con molto
piacere farò a
meno della sua conoscenza.”
“Non
è necessario, ammiraglio,” disse lei, fredda,
“Lothos è ovunque, qui, e ha
sentito tutto.”
In
risposta alla sua frase un cupo bagliore avvolse la stanza mentre una
voce
metallica scaturiva dalle pareti e dallo stesso pavimento.
“E’ stata una buona
mossa, ammiraglio. E anche molto coraggiosa, ma inutile.” Un
fascio di energia
scaturì dal soffitto e colpì la mano di Al,
paralizzandola. La pistola cadde
lontano, mentre Sam sorreggeva l’ammiraglio, che era caduto
in ginocchio per il
dolore. “Non permetto a nessuno di ostacolare i miei piani.
Ucciderò il dottor
Beckett, perché il suo lavoro è dannoso per me e
per tutto quello che
rappresenta, ma anche lei ha dimostrato di essere pericoloso per cui
non posso
lasciarla vivere. Offrirò un ultimo spettacolo al dottore
prima della fine.”
Come
ebbe finito di parlare una pesante luce rossa scese sui due uomini, Sam
non
sapeva di cosa era composta quella luce, ma la sofferenza che provocava
era
inequivocabile e il suo unico paragone furono le fiamme
dell’inferno. Senza
neppure accorgersene si ritrovò in ginocchio, mentre nelle
orecchie risuonavano
grida, ed era lui a gridare. Era come se qualcosa si stesse
impadronendo della
sua testa, sezionandola millimetro per millimetro, scovando ogni
singolo nervo
e facendolo a pezzi; non esisteva nessuna disciplina, nessuna tecnica
di
rilassamento poteva liberarlo dall’atroce dolore. Cadde a
terra contorcendosi,
cercando un mezzo, una via di fuga e sapendo che non c’era.
Poi,
quando ormai era sul punto di perdere i sensi, il dolore in qualche
modo si
attenuò, ma non la terribile sensazione che qualcosa si
fosse infilato nella
sua testa, qualcosa di orrendo, di diabolico, che aveva un suono di
putrefazione, di tomba aperta, e che gli dava i brividi.
“ADESSO SAI COM’E’ L’INFERNO,
DOTTORE. QUESTA E’ LA MIA DIMORA, QUI SONO IL PADRONE, QUESTO
E’ IL LATO OSCURO
DEL TEMPO. NON VINCERAI MAI ED IO NON TI PERMETTERO’ DI FARE
ALTRI DANNI. IL
TUO ASSURDO SALTELLARE NEL TEMPO FINISCE QUI, SAM BECKETT. MA NON PRIMA
CHE TU
VEDA ANCORA UNA COSA.”
La
voce se ne andò, ma non così gli orribili suoni
che invadevano la mente di Sam,
gemiti, urli soffocati di un’anima torturata. Improvvisamente
lo scienziato
capì di che si trattava e gli mancò il respiro:
l’oscurità scese su di lui, e
tremando si protese, cercando di raggiungere la figura caduta.
Quando
finalmente riuscì ad avvicinarglisi, Al aveva smesso di
agitarsi e il suo corpo
era scosso solo a tratti da brividi convulsi, schiacciato dal dolore.
Sam lo strinse
tra le braccia, cercando di proteggerlo dalla terribile luce rossa che
lo stava
uccidendo e tentando di fargli sapere in qualche modo che era
lì, che non
l’avrebbe abbandonato. Ma Al era pallidissimo e gli occhi
neri erano
orribilmente aperti e fissi; nonostante la lotta per dominarsi, di
quando in
quando emetteva un breve grido soffocato e non riconobbe lo scienziato.
“Aiuto...” lo sentì mormorare Sam, con
una strana voce bassa, “Per favore... io
non...” Gridò di nuovo, mentre si contorceva
spasmodicamente tra le braccia
dell’amico.
Lacrime
brucianti segnarono il viso di Sam e alzata la testa gridò
con tutte le sue
forze. “NO! Prendete me, ma non fategli questo! Ha tentato
solo di aiutarmi.
Non lo merita. Vi prego...”
E
di nuovo si levò la voce meccanica nell’orribile
stanza rossa, “Il suo amico è
un lottatore, dottore. Molti, a quest’ora sarebbero
già morti, dopo questo
speciale trattamento. Si vede che le sta a cuore, non è
vero?” Sam non rispose
e i suoi occhi rimasero fissi alla disperata, vana lotta
dell’amico contro il
dolore. “D’accordo, dottore. Ha ragione, non lo
merita. Molto meglio che smetta
di soffrire, non è d’accordo?”
Il
corpo di Al ricadde inerte tra le braccia di Sam, la testa abbandonata
da un
lato. Atterrito, lo scienziato lo scosse, cercando di rianimarlo, ma
l’ammiraglio aveva chiuso gli occhi e Sam si accorse che non
respirava più.
“No...” sussurrò disperatamente,
“Non questo. Al, ti prego... svegliati...” Lo
strinse più forte, tentando di richiamarlo in vita.
Dall’alto
della vetrata Thames e Zoey contemplavano le due vittime, trionfante il
primo,
impietrita la seconda. Aveva aspettato tanto questo giorno, da quando
Sam
Beckett le aveva portato via la sua migliore amica: agli occhi di Zoey
Alia era
molto più che morta, era perduta per sempre, consegnata alla
forza cui lei si
era rifiutata tanto tempo prima, quella forza da cui tutti loro, Lothos
compreso, si nascondevano, come serpenti
nell’oscurità. Ma Alia aveva
significato tanto per lei e non era solo l’orgoglio di
un’addestratrice per il
suo animale preferito, come avrebbe detto Thames, no, c’era
stato qualcosa tra
di loro, un sentimento ben più forte, qualcosa che alla fine
aveva vinto su
Alia e l’aveva trascinata lontano e che aveva lasciato Zoey
sola e piena di
dubbi e di paure.
Ora,
guardando Sam Beckett che teneva fra le braccia il suo amico,
supplicandolo,
scongiurandolo di svegliarsi, la direttrice del Progetto Lucifero
sentì tutta
l’ira, tutta la furia che aveva provato per
quell’uomo diminuire, minacciate di
nuovo da quel sentimento. Perché quello che vedeva nella
sala, non erano più i
due uomini, ma lei stessa che stringeva tra le braccia Alia. E di nuovo
la
paura, il terrore di provare... che cosa, amore? Lothos
l’avrebbe uccisa subito
se l’avesse scoperto, e lei lo temeva. Ma adesso quella forza
la prese di nuovo
e questa volta Zoey non sarebbe riuscita a fermarla, perché
ora quel Potere
immenso non era più solo dentro di lei, seppellito nei suoi
ricordi più sicuri,
ma scaturiva dai due uomini davanti a lei, come un’immensa
fiamma azzurra.
Un’esclamazione
soffocata di Thames le disse che non era solo la sua fantasia.
Laggiù nella
Caverna di Detenzione stava davvero succedendo. La luce era cambiata e
non solo
quella: improvvisamente Lothos parlò di nuovo e quando lo
fece Zoey sentì un
brivido scorrergli nella schiena, perché ora la voce di
Lothos non aveva più un
accento da incubo, ma solo l’inutile nullità di
una goccia nell’immensità
dell’oceano.
“NO! NON PUOI ARRIVARE FIN
QUI. QUESTO E’ IL MIO REGNO. VAI VIA, NON TI APPARTIENE
QUESTO POSTO. VATTENE.
VATTENE SUBITO!” supplicò
Lothos, mentre la
sua voce assumeva uno strano tono stridulo, quasi da bambino spaventato.
In
quel momento la luce azzurra, che aveva avvolto i due uomini in
un’isola sicura
dall’orribile baluginio rosso, assunse forma e vita proprie,
allargandosi ed
espandendosi. Poi risuonò anche la sua
“voce” e ognuno nella stanza la intese a
modo proprio: avesse il calore del sole o la calda
luminosità del mare, era
comunque un suono che penetrava nel profondo dell’anima e
nessuno poté
sottrarsi alle sue parole.
“Questi
uomini sono miei messaggeri. Stai indietro perché non ti
permetterò di far loro
del male. Qui sei potente, ma devi comunque rispondere a me, non
dimenticarlo.
Chi ti ha dato il diritto di fare questo? Come hai osato? Sarai punito
e il tuo
castigo verrà deciso da lui.” La luce
si attenuò un poco in modo da far risaltare la figura
prostrata del dottor
Beckett, chino sull’amico esanime, “Hai
ferito profondamente il suo cuore e a lui ho dato il compito e il
potere di
distruggerti, non dimenticarlo. Non ti è servito a nulla
uccidere il suo amico,
perché la sua forza e il suo coraggio vengono anche da
quell’uomo, per cui non
permetterò che muoia. Hai perduto Lothos. Un giorno Sam
Beckett ti annienterà
definitivamente e quel giorno è vicino. Non si uccide
l’amore e l’ammiraglio ha
dimostrato con il suo sacrificio di essere il più forte. Non
sarai tu a vincere
la guerra, Lothos, ricordalo e non avrai questi due uomini. IO ho
deciso così e
tu non mi disobbedirai!”
A
conferma di quella sentenza la luce rossa, dopo un breve, debole lampo,
si
spense del tutto, lasciando liberi i due uomini. Ma Sam non se
n’era neppure
accorto: tutto quello che era successo, la luce azzurra, la voce, il
terrore di
Lothos e di tutti i suoi adepti erano passati solo come un sottofondo
fastidioso. Quello che vedeva, quello che teneva fra le braccia era
solo Morte,
Perdita, Disperazione e tutto il resto non contava più.
Ma
poi la Voce scivolò gentilmente nella sua testa e lui non
ebbe difficoltà a
riconoscerla; chi parlava era la presenza che accompagnava sempre i
suoi salti,
che gli aveva promesso che un giorno sarebbe tornato a casa. “Dottor
Beckett, dottor Beckett!”
Anche
questo ora non aveva più importanza e Sam disse freddamente,
“Vai via, che sei
venuto a fare qui? Sei arrivato troppo tardi: Al è morto e
tu non l’hai
impedito! Perché dovrei ascoltarti ancora?”
Ma
la Voce non si arrese e continuò a parlare con un suono che
calmava la sua
mente sconvolta, cancellando gli ultimi micidiali effetti del
‘trattamento’ di
Lothos. “Non
deve mai perdere la speranza,
Sam Beckett, perché io posso cose che lei non immagina
nemmeno. Ritrovi la sua
fede ora e non dubiti più di me.” Sam
abbassò gli occhi sul viso di Al e vide la vita ritornare,
poco a poco.
L’ammiraglio si mosse leggermente tra le sue braccia e Sam lo
sentì respirare
di nuovo, debolmente, ma i suoi occhi rimasero chiusi e il suo corpo
inerte. “L’ammiraglio
è stanco e provato dopo il lungo viaggio di
ritorno. Ma Lothos non può più danneggiarlo
adesso, può tornare a casa. E anche
lei, Sam, se lo vuole, può accompagnarlo.”
Sam
guardò Al e poi il posto che li circondava e strinse i
denti. “No, non posso
permettere a Lothos di vivere ancora dopo quello che ha fatto. Il mio
lavoro
non è ancora finito.”
“Sam...”
Al aveva aperto gli occhi, fissandoli sull’amico, ma era
ancora debolissimo e
non riuscì neppure a sollevarsi. La sua voce era poco
più di un sussurro
spezzato e lo scienziato dovette accostare l’orecchio al suo
viso per poterlo
sentire. “Non perdere... l’occasione. Puoi...
tornare a casa. La vendetta... è
inutile adesso. Abbiamo vinto... noi... insieme.” Non
poté proseguire oltre,
quelle poche parole lo avevano sfinito e si abbandonò tra le
braccia di Sam.
L’amico
lo adagiò delicatamente a terra e gli sussurrò,
“Cerca di non fare sforzi, Al.
Non sto pensando alla vendetta, ma non posso lasciare che Lothos
continui ad
agire indisturbato e faccia soffrire altri come ha fatto con noi. Ti
prego,
cerca di capirmi, devo andare e dopo quello che hai passato, ho un
motivo in
più per farlo. Non dimenticherò mai quello che
hai fatto per me, Al, ma ora
devi tornare a casa, devi guarire. Un giorno tornerò
anch’io, abbi fiducia in
me.”
L’ammiraglio
aveva richiuso gli occhi e il suo respiro si udiva appena, Sam sentiva
che era
allo stremo delle forze. Lo sollevò con cautela fra le
braccia e lo portò al
centro del fascio di luce azzurra. “Ascoltami,”
disse, deciso, alla presenza,
“Se davvero puoi tutto, portalo via da qui, fallo tornare a
casa. Morirà se
rimane qui e sarà stato tutto inutile allora. Mi devi
qualcosa, non
dimenticarlo.”
Sollevò
gli occhi alla vetrata, là dove Thames e gli altri
appartenenti al progetto
diabolico si erano dispersi come topi nelle fogne, dopo
l’apparizione della
luce azzurra. Ma sentiva che qualcuno era rimasto e ora
incontrò i suoi occhi.
In qualche modo Zoey gli sembrava diversa ora, era solo una donna che
nella sua
vita non aveva fatto che scelte sbagliate. “So che ti sembra
impossibile,”
gridò, “Ma hai ancora una possibilità,
a tutti è concessa. Alia lo sapeva e so
che le vuoi bene. Ascolta le sue parole, ascolta il tuo cuore! Vieni
con me!”
Zoey
non si mosse dal suo posto. Lentamente le sue labbra si piegarono in un
sorriso: Sam Beckett aveva ragione in tutto tranne che in una cosa,
Lothos non
era sconfitto, lo sentiva ancora potente dentro di sé e in
tutto il complesso.
Poteva lasciare andare il dottore per il momento, ma certamente Lothos
non
avrebbe lasciato libera lei. Si sarebbero incontrati ancora, questo era
sicuro,
perché la lotta non finisce mai, ma non poteva venire con
lui, perché
apparteneva a Lothos e anche quel giorno avrebbe combattuto per lui.
Ma
adesso, solo per questa volta... Avvolto dalla luce bianca e azzurra,
stringendo a sé l’ammiraglio svenuto, Sam la vide
fare un breve cenno con la
mano prima di scomparire. Che fosse un saluto o una promessa di
vendetta non
poté saperlo, ma ora sapeva che lui e Zoey si sarebbero
visti ancora e la
prossima volta l’avrebbe portata via. Anche lui doveva
qualcosa ad Alia.
Il
tempo e lo spazio si dissolsero intorno a lui e rimase solo ancora una
volta.
Solo.
Mentre l’eternità lo sfiorava, avvolgendolo da
tutte le parti. Ma stavolta Sam
aveva ricordi con sé e il suo viaggio nel tempo era percorso
da frammenti di
Bene e di Male, immagini di una guerra cui ora era coinvolto anche lui.
L’immensità e la portata di quella lotta lo
atterrirono e si sentì perduto.
“Non c’è nessuno qui?”
gridò, disperato.
“Non
è mai solo, dottore. Non dimentichi.”
gli rispose rassicurante la Voce.
“Non
ero solo prima di saltare. Al? Dov’è
Al?” domandò Sam, in preda al panico.
“L’ammiraglio
è tornato al suo tempo, al luogo cui appartiene. Ho fatto
come aveva chiesto.”
Sollievo
e inquietudine riempirono la mente di Sam. “Sta bene?
Guarirà?”
“Starà
bene, dottore. Neanche lui dimenticherà e sarà al
suo fianco quando la lotta
riprenderà. Ho ancora bisogno di lei, dottor
Beckett.”
Nella
mente di Sam risuonarono fruscii di oscurità e una voce
familiare:
‘Questa
è la mia dimora, Sam Beckett. Non
vincerai mai.’
‘La vendetta è inutile, Sam. Abbiamo
vinto noi.’
“L’ammiraglio
aveva ragione, dottore. La vendetta è sempre
inutile.”
“Ma...
Lothos,” mormorò Sam, in preda al dubbio,
“E’ più forte di te?”
“Deve
trovare da solo la risposta, Sam. Quando la conoscerà,
troverà anche la sua via
verso casa. Ma fino ad allora, io sarò con lei e nessuno
potrà farle del male,
se crederà.”
Le
parole, i suoni, le immagini della realtà che
c’è tra un sogno e un altro, si
mescolarono nella mente di Sam e la pace scese su di lui. Un giorno
avrebbe
combattuto di nuovo, di nuovo sofferto per gli amici e pregato per i
nemici, ma
ora quel momento gli apparteneva. Niente poteva turbarlo in quella
realtà fatta
di luce.
“Sono
pronto.” sussurrò. E Saltò_
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