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di Vulpix
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Il sole era da poco sparito dietro l'orizzonte, lasciando che il buio della sera scendesse su New York.
La fioca luce della luna illuminava le strade più isolate dello stato e il traffico cittadino stava diventando sempre meno caotico.
Le luci dei lampioni erano le uniche ad illuminare quei palazzi che di giorno brulicavano di persone, voci e mille computer accesi, televisioni che trasmettevano gli ultimi notiziari, poliziotti e detective affaccendati nel loro lavoro.
Quella sera, una sola luce illuminava i lunghi e silenziosi corridoi. Tutto l'intero palazzo era vuoto, ad eccezione di quella stanza al quarto piano illuminata da una piccola lampada poggiata in un angolo della grande scrivania.
Il silenzio regnava sovrano, interrotto dal ritmato e profondo respiro dell'unico occupante dell'edificio.
Dal corridoio s’intravedeva la mano di un uomo che spuntava da dietro l'enorme schienale della poltrona, rivolta verso la vetrata opposta, illuminata da un piccolo fascio proveniente dalla lampada.
Un uomo solitario che, come ormai molte sere a quella parte, aspettava che il mondo spopolasse quel luogo e lui potesse restare solo, in silenzio a riflettere con un bicchiere di scotch in mano.
Quella sera, più di molte altre, aleggiava una strana aria cupa. L'uomo aveva poggiato il bicchiere sulla scrivania, girandosi appena con la sedia e aveva allungato la mano per afferrare la semplice cornice che raffigurava sei persone che sorridevano felici. 
La portò più vicina a se e chinò la testa leggermente di lato, mentre passava l'altra mano sul vetro. 
Apparentemente poteva sembrare che stesse portando via la polvere accumulatasi in tutti quegli anni, ma i suoi occhi lucidi e l'espressione pensierosa, tradirono i suoi gesti.
Erano trascorsi quasi sei anni, ormai, da quando lo stralunato scrittore era approdato al distretto, nella sua squadra e l'aveva resa un vero e proprio gruppo, affiatato e fraterno... 
Da quando aveva sconvolto l'esistenza della sua migliore detective e portato una ventata di aria fresca al 12th.
Strinse a pugno la mano, in un gesto quasi istintivo. Scosse la testa, leggermente da un lato all'altro e poi ispirò profondamente.

“E' passato fin troppo tempo.  Non posso permettermi che ne trascorra ancora. E' arrivato il momento di agire! Devo farlo... per me, per lei e per tutti loro...” 

D'improvviso, riaprì il pugno e portò la mano più in la, sulla scrivania. Depositò la cornice sul tavolo afferrando con una mano la cornetta, mentre la portava all'orecchio, con l'altra mano, digitò velocemente una sequenza sulla tastiera. 
Un numero di telefono che ricordava ancora perfettamente a memoria, ma che non faceva più da tempo.




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