Cap2
A story ever told
II. Il bacio del
Vampiro
Padre
Jonathan tornò a trovarlo, mesi dopo la morte di sua
madre.
Tornò con la sua bibbia e il suo mantello e altre
verità. Eric non le voleva udire.
«Torna dai tuoi cardinali, Jonathan.» Lo
liquidò
senza lasciargli il tempo neanche di un saluto. Fra le mani spaccate
dal freddo un'ascia e un ceppo a metà.
«Ho saputo di Ester. Volevo porgerti le mie condoglianze e
-»
«Non ho bisogno di nulla, risparmiati la pantomima del
misericordioso.» Lo superò e gettò
malamente la
legna sul resto del gruppo.
Il prete si allontanò di qualche passo per poi sedersi
silente
su un tronco tagliato, guardandolo mentre terminava il suo lavoro.
Padre Jonathan aveva una dote: la perseveranza.
Eric poteva vantare lo stesso.
Poggiò l'ascia sulla spalla e rientrò in casa.
Non uno sguardo, non una parola.
I cardini cigolarono quando sbatté la porta senza riguardi.
«Resto in città qualche settimana, sono alla
parrocchia di St. Thomas.»
Eric lanciò una rapida occhiata al legno dietro cui
udì
la debole frase. Scosse la testa e prese a sbucciare una mela: la sua
cena.
Non aveva tempo, presto il sole sarebbe calato.
*
Sputò un grumo di sangue e si pulì le labbra con
il dorso della mano.
«Te lo farò sputare tutto, cacciatore.»
Un ghigno
perverso piegava il volto di quello che all'apparenza era poco
più di un bambino.
Dodici, forse tredici anni.
Eric non ne aveva mai incontrato uno così giovane.
Capelli biondi e due occhi azzurri che potevano essere i suoi.
Fece un balzo indietro quando il ragazzino si avventò contro
di
lui brandendo un piccolo pugnale, un pugnale che non poteva appartenere
a quello che avrebbe dovuto essere uno sguattero.
Riuscì ad afferrargli un polso e lo gettò a terra
poco distante.
Prese un respiro profondo e spense ogni pensiero.
Quando il piccolo demone si sollevò in piedi non ebbe
neanche il
tempo di accorgersi del paletto che volava via dalla balestra.
Un'ombra più umana sfumò il suo viso mentre
ricadeva a terra, stavolta senza più rialzarsi.
Eric abbassò l'arma e sentì sulla lingua il suo
stesso sangue; stavolta non lo sputò.
«Un bambino... che abominio.»
Le parole erano viaggiate nella sua mente eppure fu un'altra la voce
che le pronunziò, la sua.
Alzò lo sguardo trovandoselo a pochi metri di distanza. Non
riuscì neanche a sollevare il braccio che la balestra
sfuggì magicamente dalle sue mani.
«Brutto bastardo!» ringhiò estraendo un
paletto dalla cintola di cuoio che teneva legata alla vita.
Lo gettò rapido verso di lui. Gli bastò un
semplice spostamento laterale per evitarlo.
Il secondo paletto non riuscì neanche a sentirlo sotto le
dita quando si ritrovò con le spalle a terra.
Un piede schiacciava la sua mano destra e l'altro spingeva forte contro
il suo stomaco.
«Lento e rozzo. Sei peggiorato.» Adam troneggiava
su di lui con un'espressione quasi assente.
Eric digrignò i denti e cercò di calciarlo via.
La mano
gli afferrò la caviglia ma non riuscì a muoverlo
di un
solo centimetro. Il fiato mancava, poteva percepire la cassa toracica
comprimersi attorno ai suoi polmoni.
Risentì il sangue risalirgli dalla gola finché
non lo tossì sporcandosi le labbra e il mento.
Gli occhi di Adam, solo in quel momento, parvero vivi.
Il polso scricchiolò sotto la suola dello stivale e si
sforzò di non lasciare andare alcun grido di dolore, non gli
avrebbe dato questa soddisfazione.
Non l'avrebbe visto soffrire, non l'avrebbe ucciso.
Sarebbe stato Eric a uccidere lui, era una parola che avrebbe mantenuto.
«Morirai prima che questo anno si chiuda, Eric.»
«Sarai tu a morire...» La determinazione non
bastò a non far vibrare la sua gola.
Adam sorrise e spinse ancora il piede contro il suo corpo. Era come
avere un masso di roccia addosso, eppure il corpo di quell'animale era
poco più sottile del suo.
«L'arroganza sarà la tua rovina,
Cacciatore.»
Tossì ancora finché non avvertì il
sangue salire
in bocca e riscendere di nuovo. Poteva soffocare, e non sarebbe
riuscito a portare a compimento la sua missione.
Aveva cacciato ogni notte solo per rivederlo, solo per poter avere
l'occasione di piantare un paletto in quel cuore putrido, e ora giaceva
a terra immobile e dolorante. L'infrangersi di quell'unica occasione
sarebbe stata la sua morte.
Padre...
«È qui che ti ha colpito, vero?»
Adam picchiò la punta dello stivale contro il suo stomaco e
Eric
non
trattenne un gemito. «Sei stato uno sciocco. Non c'era nulla
di
umano in quel bambino.»
«L'ho ucciso...» sibilò sentendo la
pressione diminuire e il fiato riempirgli di nuovo i polmoni.
«Hai esitato e gli hai concesso la possibilità di
colpirti.»
Anche il suo polso fu libero ma non smise di fare male. Si
tirò
a sedere quando Adam indietreggiò di qualche metro.
Si passò le dita sulle labbra sporche di sangue e poi sul
mento. Quegli occhi seguirono ogni suo gesto.
«Quel demone ha fatto la fine che meritava, fossi in te mi
preoccuperei di non seguirlo a breve.»
Cercò di alzarsi ma la risata di Adam lo
schiacciò di nuovo a terra.
«Mi inviti con tale presunzione a badare alla mia vita mentre
sei steso nella polvere a bere il tuo sangue?!»
Deglutì e il sapore ferroso quasi parve tossico.
«Sei più che patetico, sei ridicolo,
Cacciatore.»
«Lo scherno delle tue parole sarà il tuo ultimo
fiato.» Flesse un ginocchio e si mise in piedi cercando di
ignorare il polso che ardeva. «E questa sarà
l'ultima
notte che i tuoi occhi dannati vedranno.»
«Se lottassi con la stessa foga con cui pronunzi minacce
saresti
un Mastro degno di questo nome. Ma sei solo un moccioso arrogante e
avventato, che spera di poter competere con un Sire quando non riesce
neanche a uccidere un vampiro di poche lune senza lasciarsi
ferire.»
Odiava che quelle parole fossero solo verità. Sapeva che non
aveva ancora né la forza né la
lucidità per
poterlo anche solo affrontare e sapeva che sì, aveva esitato
davanti a quel volto di bambino e c'era voluta la rabbia del subire il
colpo a fargli scoccare quel dardo per lui letale.
E se non fosse stato un bambino inesperto a quest'ora...
«Victor non ha mai commesso errori del genere.» Non
poteva
sopportate che quel demone parlasse di lui, non di suo padre, non dopo
averne denigrato la memoria con le sue menzogne.
Non volle udire altro.
Affondò la mano nella casacca e tirò fuori il suo
paletto
d'argento. Non lo aveva più usato, lo teneva addosso solo
per
lui.
Da qualche parte suo padre lo avrebbe guardato mentre lo affondava nel
suo petto, sua madre gli sarebbe stata accanto e sarebbero stati fieri
di lui.
Strinse forte le dita il freddo dell'argento si scaldò in
fretta.
Non avvertì più il dolore al polso, non avverti
più lo stomaco che si contorceva.
Leccò via dalle labbra qualche altra traccia di sangue e la
sputò lontano.
«Stai per tornare all'inferno a cui appartieni,
Adam.»
Un altro sorriso di beffa. «Mi piace come suona il mio nome
sulla
tua lingua... Godrò nel sentirtelo piagnucolare quando mi
supplicherai di risparmiarti.»
Serrò la mascella e le dita sulla sua arma. «Non
accadrà mai!»
Si avventò contro di lui senza riflettere più di
tanto,
con furia cieca, rivedendo il volto in lacrime di sua madre, lo sguardo
severo di suo padre e le parole di un bambino che chiedeva quando
avrebbe potuto brandire un coltello.
“Arriverà
quel giorno, Eric.”
Fu veloce, freddo e caldo allo stesso tempo, fu bagnato e appiccicoso
come il sangue che colava lungo la sua pelle.
Non era quello di Adam.
*
Aprì le palpebre che era notte, non la stessa, ne erano
passate altre. Eric non sapeva dirlo.
«Sei sveglio...» Gli occhi che incontrò
erano due
gemme castane, calde e profonde. Castane come le onde morbide che
incorniciavano il viso. «Riposa.»
Una pezza fresca gli venne posata sulla fronte. Non riuscì a
guardarsi attorno, non riuscì a chiedersi dove fosse,
perché fosse ancora lì. Nelle orecchie solo la
voce di
Adam, sulla pelle solo la sensazioni della paura.
«Io...»
Provò a sollevarsi ma due mani lo obbligarono a restare con
le spalle contro il letto - era un letto?
«Non fare sforzi. Hai perso molto sangue.»
Cercò di mettete a fuoco il resto di quel viso quando due
labbra gli sorrisero dolcemente.
Chi sei?
«Il mio nome è Sarah.»
Non capì se gli avesse letto nella mente.
Richiuse le palpebre, un nuovo sonno lo colse senza che potesse
impedirlo.
*
Charles Williams era basso, grasso e dai modi burberi. Gestiva la
locanda di Briston insieme alle sue figlie. Eric aveva conosciuto
Catherine e Annemarie. Poi c'era Sarah.
Era stata lei a trovarlo dietro la locanda, privo di sensi e coperto
solo dal suo stesso sangue.
Era stata Sarah a chiamare aiuto, a chiedere a suo padre di portarlo in
casa. Era stata Sarah a vegliare il suo sonno agitato per sei notti di
seguito.
Era stata Sarah a salvarlo.
«Due lepri e un fagiano.»
«Non ho un fucile. Come posso sparare a un fagiano?»
«Ti inventerai qualcosa.» Le sue labbra erano
morbide e dolci. Per Eric erano il sapore di casa, la sua nuova casa.
«Sei ancora qui? Non hai da lavorare, bellimbusto?»
Charles
sbucò alle spalle di Sarah come sempre con la faccia irata
di
chi vorrebbe aprirti il cranio in due.
Eric si limitò a un sorriso sbilenco e a un cenno del capo.
«Stavo proprio per andare.»
«E allora sbrigati - e tu torna in cucina che i clienti
aspettano.»
Quando Charles era rientrato Eric si era sporto per rubarle un altro
bacio.
«Stai attento.»
«Sarah!» Si udì sbraitare poco distante.
«Devo andare.»
Eric non sapeva che nome dare a ciò che gli scaldava il
petto. Ne aveva paura, ne aveva tremendamente paura.
Adam lo aveva portato a un passo dalla morte e lui neanche sapeva cosa
fosse successo.
Ricordava solo il suo sorriso beffardo e poi il dolore che aveva
attraversato il suo corpo quando aveva ripreso conoscenza.
Tre mesi, era questo il tempo trascorso.
Tre mesi in cui aveva cacciato di notte e rubato baci di giorno.
Tre mesi in cui non lo aveva più incontrato e in cui Sarah
era diventata tutto ciò a cui pensava.
Si trovava sempre più spesso a rileggere il diario di suo
padre, la sua lettera.
Padre Jonathan era partito da tempo e Eric a malincuore rimpiangeva di
non avergli parlato, di non avergli chiesto come fosse il Victor
“Cacciatore”, il Victor prima di diventare padre,
prima di
abbandonare la lotta per crescere un figlio.
Pensava sempre più spesso a cosa voleva dire avere un
figlio, e sempre più spesso capiva la sua scelta.
Se avesse mai avuto un figlio, avrebbe avuto il sorriso di Sarah e i
suoi occhi.
Se avesse mai avuto un figlio, Eric avrebbe gettato quella scatola e i
suoi mille segreti sul fondo dell'oceano.
*
«Dove vai tutte le notti?» La domanda era giunta
con tutto
il suo peso, con lo sguardo preoccupato di Sarah e le mani strette
attorno alla casacca. «Dove vai, Eric?»
Le aveva sfiorato il viso. «Se temi che ci sia un'altra-
»
«No, non temo la tua infedeltà, temo il tuo
silenzio, perché è assordante, Eric.»
Una prima lacrima le aveva segnato il viso poi una seconda e altre
ancora.
Quella notte non andò a caccia, restò in un
piccolo letto
con lei, la tenne stretta fra le braccia e le raccontò la
storia
di un bambino che ammirava suo padre, di un ragazzo che lo aveva odiato
e poi aveva capito. La storia di un uomo che aveva una missione che non
aveva chiesto né compreso, ma che avrebbe portato a
compimento.
Quando il sole si levò a baciare i loro corpi, Eric le
chiese di essere la sua sposa.
*
Era al mercato per vendere le sue pelli quando udì quelle
note.
Rabbiose eppure avvolgenti. Inquietanti e allo stesso tempo dolci come
una carezza.
«Chi sta suonando?» chiese inconsciamente al
vecchio che
stava valutando attentamente la pelliccia avorio di un coniglio.
«Hai bevuto, cacciatore?»
Aggrottò la fronte mentre la musica sembrava accrescere di
secondo in secondo.
«Questa musica, da dove viene?»
«Senti, ti do dieci denari per tutte e tre.» Non
badò alle sue parole, non badò alla sua voce che
gli
urlava dietro. Afferrò le pellicce nella mano e
cercò di
seguire quelle note.
Perché?
Non cercò una risposta.
E fu lì, dietro al vetro appannato di un'elegante sala che
lo vide.
Il sole coceva nei primi giorni d'estate, ardeva alto nel mezzogiorno
eppure lui era lì, con gli occhi chiusi e le dita che si
muovevano agili sullo strumento.
Aveva qualche paletto di frassino negli stivali, non il suo argento e
se ne rammaricò.
La chioma nera seguiva ogni movimento del capo ed Eric pensò
che
sembrava danzasse. Un pensiero sciocco e inappropriato, folle.
Ogni tasto che pigiava con le dita risuonava assordante nelle sue
orecchie, risuonava nel suo petto, nel suo ventre, nella sua testa.
Non riuscì a muovere neanche un piede finché la
musica non cessò.
Solo in quel momento vide la coltre di gente ben vestita attorno a lui,
seduta su eleganti poltrone di velluto rosso. Applaudivano,
applaudivano chiamando il suo nome.
Ma gli occhi di Adam si aprirono solo per posarsi su di lui, sulla
figura immobile davanti a quel vetro.
Un cenno del capo, un sorriso.
Eric avrebbe solo voluto che le sue dita stringessero un freddo paletto.
*
La sera appena Sarah prese sonno, Eric uscì.
Sapeva, lui lo stava aspettando.
*
Le strade della città erano insolitamente affollate,
insolitamente vive.
Camminò sul marciapiede scrutando ogni angolo, ogni riflesso
e ogni ombra.
Nei pressi della chiesta di St. Thomas, fu lì che
sentì di nuovo quelle note.
Ed era più che sicuro di essere il solo a udirle.
Avrebbe dovuto provare per lo meno timore a ritrovarsi di fronte quegli
occhi, perché era da quella notte che non li rivedeva, ma
non
c'era paura a guidare i suoi passi.
Mentre saliva le bianche scale della chiesa, Eric sentiva di provare
solo una grande, profonda e inspiegabile necessità.
Necessità di sapere, necessità di capire.
Il massiccio portone di legno era appena socchiuso. Lo aprì
con una sola mano e la musica lo inghiottì.
Adam sedeva davanti a un clavicembalo, apparentemente perso nella sua
sonata.
Sembrava la stessa immagine che Eric aveva visto quella mattina al
mercato, ma non c'erano più le donne eleganti ad applaudire,
non
c'era il caldo del sole.
Mentre avanzava per la navata con passi lenti ma decisi,
sentì il suo cuore battere furente ad ogni nota.
Il paletto già nella sua mano.
Aspettò che terminasse, aspettò che risollevasse
lo sguardo e che come quella mattina gli sorridesse.
«Neanche un piccolo plauso? Eppure ho suonato solo per
te.»
Lo so.
«Come puoi camminare al sole?»
«Fra tante domande poni la più sciocca.»
Adam si
alzò dalla sua seduta e scese i tre gradini che li
separavano.
«“Perché
sono ancora vivo?” È questa la domanda che temi di
fare, Eric.»
Rabbrividì ma finse un sorriso. «Pensi ancora che
non ti ucciderò?»
«Penso che tenterai, con tutte le tue deboli forze e che alla
fine fallirai... Come tutti coloro che ti hanno preceduto.»
Le
braccia intrecciate dietro la schiena, le labbra una linea retta, una
sola ciocca nera a tagliargli lo sguardo. Poi un sorriso. «Mi
lusinga che tu abbia abbandonato il caldo giaciglio della tua sposa per
raggiungere me in questa fredda notte.»
Le dita strinsero forte il paletto, i denti quasi scricchiolarono fra
essi. Eric provò una rabbia che forse non aveva mai provato
prima.
«Non osare neanche pensare di avvicinarti a lei.»
Sapeva
che Adam era a conoscenza di Sarah, sapeva che i suoi occhi non lo
avevano lasciato mai in quei mesi e poi nei seguenti, sapeva e ne aveva
timore. Eppure aveva rischiato e aveva deciso di cedere all'affetto di
quella ragazza dolce, alla fantasia di essere felice al suo fianco,
alla folle illusione di poter condividere con lei ogni singolo giorno.
Era stato un egoista, era stato uno stupido, forse si era solo
scioccamente innamorato.
«Non sai difendere neanche la tua pelle e vorresti porti a
difesa di un'altra vita.»
Non capiva come potesse lasciarsi toccare così ogni volta
dalle
sue parole, non riusciva ad accettare che quella bestia malefica
conoscesse così bene le pieghe del suo cuore, della sua
stessa
anima.
«Io so perché sei qui, Eric.» Adam lo
fronteggiò con un sorriso sulle labbra e lui non sapeva
perché ancora non avesse tentato di colpirlo.
«Vuoi
risposte.»
«Non voglio nulla da te a parte vederti in cenere.»
Il sorriso era ancora lì, il paletto ancora fermo nella sua
mano.
«Vuoi sapere di Victor, della sua storia, della nostra
lotta...»
Deglutì sentendo quasi il bisogno di indietreggiare. Non lo
fece.
«Non sopporti l'idea che io conosca il vero Victor.»
«Tu non conosci proprio niente!» Non
riuscì a
regolare la rabbia con cui aveva sputato quelle parole lasciando che
Adam se ne facesse beffa con un risolino.
«No, sei tu che non sai chi fosse realmente Victor, quale
cacciatore abile e spietato fosse, quale uomo privo di compassione e
pietà.»
«Taci!»
Adam non tacque, Adam continuò a colpirlo con sguardi e
sorrisi
e lui era incapace di restituirgli uno solo di quei fendenti.
Rimpianse di essere andato lì, rimpianse l'abbraccio di
Sarah.
Voleva solo tornare codardamente fra le sue braccia e restare cieco e
sordo di fronte a quella verità.
Era verità o erano le calunnie di una bestia di Lucifero?
Chi era veramente Adam? E perché voleva così
ossessivamente scoprirlo?
«Tu hai conosciuto solo un'ombra di Victor, solo
ciò che i
tuoi occhi di fanciullo ti hanno permesso di vedere.» Le
sentiva
sul bordo delle ciglia quelle lacrime eppure riuscì a
impedir
loro di cadere.
Adam gli fu a un passo e avvertì le sue dita sul viso.
«Non sarai mai un cacciatore come lui, Eric.»
Quando le
sentì scivolare su una guancia sollevò lentamente
la mano
con il paletto fino a portarla all'altezza del suo cuore. Lo
guardò negli occhi e affondò.
Adam sparì dalla sua vista in un frammento di secondo.
Non riuscì neanche a cercarlo che lo sentì alle
sue spalle.
Un braccio attorno al suo petto, una mano ad afferrargli il mento.
«Non sarai mai come lui...»
Tremò come non aveva mai tremato.
Fu un solo misero attimo.
«No...» Le parole morirono nella sua gola mentre il
dolore
lancinante gli lacerava la carne. Il paletto sfuggì dalla
sua
presa e tintinnò assordante sul pavimento della chiesa vuota.
Strinse le palpebre cercando la forza di opporsi, ma non la
trovò.
Tutto il suo corpo pareva ardere, bruciava come fosse avvolto dalle
fiamme eppure poté sentire il sangue colare lungo il suo
collo,
i capelli di Adam solleticargli il viso, i suoi denti affondare sempre
più in lui.
Non poteva finire così, non voleva finisse così,
avrebbe
preferito morire mille volte anziché tramutarsi in una di
quelle
bestie, eppure con tutta la sua rabbia, la sua paura, il suo dolore,
era completamente privo di volontà.
Il cuore batteva nel petto, forte, sempre più forte...
sempre più forte.
La mente si annebbiò, immagini sbiadite coprirono i suoi
ricordi, immagini scarlatte, occhi verdi, sorrisi taglienti.
Provò a sollevare una mano e riuscì a stringere
le dita attorno al polso con cui lo teneva fermo.
«N-no...» A chi apparteneva quella voce? Era la
sua? Era lui che stava supplicando come un bambino di non ucciderlo?
Lasciò che le sue spalle deboli si poggiassero contro il suo
petto, che lo tenesse in piedi mentre gli strappava via sangue e anima.
Non sarai come Victor...
Non sei come Victor...
Lo sentì nella testa e poi sentì la sua stessa
voce implorare.
Smettila...
Il pavimento della chiesa era gelido eppure le sue ginocchia non lo
avvertirono. Avvertirono solo l‘abbraccio soffocante in cui
era
stretto, il caldo del sangue che ormai colava sul petto, sulla sua
camicia.
Era un fantoccio privo di forza e di volontà, un fantoccio
nelle mani di un demone che sembrava impossibile da domare.
Nei suoi occhi avrebbe voluto imprimere l'immagine della sua dolce
Sarah, del suo sorriso, dei suoi capelli castani smossi dal vento
mentre lo salutava sulla soglia di casa.
“Buona caccia,
amor mio.”
Ma non c'era. La voce nelle sue orecchie non era quella di Sara, il
volto sorridente non apparteneva a sua moglie, il nero dei capelli non
era il suo.
Dietro le palpebre lei non c'era, c'era solo il mostro.
Era dentro di lui, nella sua testa, nelle sue vene, in ogni
più
piccolo angolo del suo cuore. Graffiava nelle sue paure ed Eric le
sentiva divorarlo senza pietà.
Suo padre, sua madre, il piccolo bambino che una volta era stato.
Tutto era solo un frammento perso fra le verdi iridi di Adam. Tutto era
un riflesso di una vita che lo stava abbandonando.
Strinse finché poté le dita attorno a quel esile
polso sentendo il caldo di una lacrima lasciare i suoi occhi.
Poi anche le ultime sue resistenze caddero sotto i denti di una bestia
priva di anima, sotto le parole di beffa di un demone, sotto
l'abbraccio mortale di Adam.
*
Un colpo, poi un altro, infine il freddo di qualcosa sul viso. Acqua,
acqua gelida.
«Sveglia! Non voglio ubriaconi nella mia chiesa!»
Ancora un colpo su un fianco.
Sollevò il viso verso l'uomo nella lunga veste nera che lo
sovrastava. «Allora? Alzati!»
All'ennesimo calcio rifilato sul fianco si mise a sedere.
La testa girava.
Dov'era? Perché era lì?
Non ricordava.
«Dove...?»
Il fuoco, il sangue... Adam.
Tutto tornò prepotente nella sua memoria.
Si portò agitato una mano al collo. Toccò la
pelle
più volte portando poi sotto gli occhi le sue dita: pulite,
non
c'era alcuna traccia di sangue.
Saettò in piedi barcollando.
«Dov'è?»
«Chi stai cercando? In questa-»
«DOV'È?» gridò con forza tale
da ardergli la gola.
Le mani erano sempre pulite, il suo collo privo di qualsiasi ferita, i
suoi abiti coperti solo dalla polvere.
Non era possibile avesse sognato tutto.
No, quelle sensazioni erano state vere, quella paura era stata vera. La
morte lo aveva tenuto per davvero fra le braccia.
Il respiro non voleva rallentare, il suo petto non voleva smettere di
far male.
Guardò ancora le sue mani come quella prima notte di caccia,
quando un ragazzo ingenuo si era ritrovato coperto di sangue dannato.
Ora erano ancora assurdamente e spaventosamente immacolate.
Ma come quella prima notte urlò con tutto il fiato che
avesse nel corpo.
Poi pianse.
In ginocchio, in una fredda chiesa, sotto lo sguardo immobile di un
enorme crocifisso.
*
«Mio padre vorrebbe che lo aiutassi con i lavori alla
locanda.»
Affondò il cucchiaio nella ciotola e mandò
giù un boccone di patate bollite.
«Ha detto che ha bisogno di due braccia forti e
capaci.»
Sarah sorrise, Eric mangiò un'altra cucchiaiata di cibo.
Poi un'altra ancora finché Sarah non sorrise più.
«Eric- »
«Di' a tuo padre che non ho tempo per andare da
lui.» La
sedia aveva fischiato sul pavimento mentre si alzava pulendosi
distrattamente la bocca con il dorso della mano.
Quando le dita di Sarah lo raggiunsero le scansò.
«Eric?»
«Vado in città.»
Non era neanche arrivato alla porta. Stavolta la presa di sua moglie fu
dolorosamente decisa.
«Per amore del cielo, Eric! Cosa ti sta
succedendo?» Non
voleva abbassare lo sguardo e si costrinse a reggere quello ferito di
Sarah solo per un patetico orgoglio. «Cosa ti è
accaduto?
È da quella mattina... da quando sei tornato quella mattina
che
sei diverso, sei... sei lontano.» Un carezza sul viso,
avrebbe
voluto sfuggire anche da essa. «Dove sei Eric?... Parlami...
Ti
prego, amor mio, non chiudermi fuori dai tuoi pensieri.»
Sarah gli prese il viso fra le mani e lui le allontanò con
le proprie. «Torno prima del tramonto.»
Si chiuse la porta alle spalle cercando di ignorare i singhiozzi che si
era lasciato dietro.
*
Gli incubi non lo lasciavano dormire neanche poche ore. Eric non
ricordava più sogni, solo nere ombre ad attenderlo nel suo
letto, sotto l'ombra di un albero, fra le dure assi di una panca.
Ombre nere e mani pallide.
Occhi come fiamme verdi e un sorriso affilato.
Le note di una sonata disperata risuonavano per lui ogni notte e ogni
alba.
L'abbraccio della morte, caldo e soffocante lo attendeva puntuale ad
ogni sonno.
Si alzò dal letto passandosi una mano sul viso sudato,
guardando
la donna che dormiva al suo fianco e provando ribrezzo per se stesso.
La tinozza con l'acqua ai bordi del giaciglio gli diede misero
sollievo. Si bagnò anche la testa senza però
riuscire a
cancellare le ultime immagini ferme come lame nelle sue pupille.
Si toccò il collo come ogni volta. Non c'era nulla eppure
poteva
sentire il sangue colare, i denti affondare e la sua bocca saziarsi di
lui.
Era disgustoso e non poteva mandare via quella sensazione.
Tornò con il capo sul cuscino cercando di sfiorare i capelli
di Sarah. Si ritrasse non appena lei si mosse.
Ormai cacciava solo poche ore per notte perché non voleva
che
lei fosse sola, eppure era così chiaro che Sarah fosse sola.
Perché lui l'aveva abbandonata, l'aveva lasciata nonostante
dormisse al suo fianco, nonostante condividesse ogni giorno con lei.
Sarah era sola.
Eric non era più lì, e lei lo sapeva.
Chiuse gli occhi pronto a rivivere l'ennesimo inferno, pronto a
ritrovarsi privo di difese e di volontà, pronto a essere
ancora
una volta un fantoccio.
Adam suonava. Eric lo
ascoltava in silenzio.
La musica cessava e il
paletto era freddo nel palmo della mano.
Cadeva a terra con un
tonfo e Adam sorrideva.
Passo dopo passo.
Paura... paura...paura.
“So
perché sei qui.”
Paura... paura...paura.
“No, non sai
niente!”
Un altro passo.
Un altro sorriso.
Paura.
Il paletto tornava
gelido nella mano.
Adam affondava i denti
nel suo collo e Eric lo lasciava cadere ancora.
Paura.
“So
perché sei qui.”
Sangue... fuoco...
paura.
...
Il crocifisso lo
guardava.
Sangue... sangue...
sangue.
Le braccia di Adam erano
calde, bruciavano.
Eric bruciava con esse.
Paura...
Eric aveva paura di quel
fuoco.
Eric aveva paura di quel
sangue.
Eric aveva paura...
“So
perché sei qui.”
*
Quando si compì un ciclo di lune, Eric lo sentì.
La cena con pochi pasti, Sarah che ravvivava le braci del piccolo
camino affumicato.
Eric fece cadere il coltello sul tavolo.
«Dove vai?»
Si alzò lentamente.
Lentamente si avvicinò alla porta.
Lentamente l'aprì.
Lo sentiva.
Non c'era nulla nell'ombra della sera.
Un cielo plumbeo con poche stelle, la compagnia silenziosa di decine di
alberi.
«Eric?» Sarah lo raggiunse.
«Va' dentro, Sarah.»
La guardò come non la guardava più da tempo, con
gentilezza, con dolcezza, con amore.
«Fa' attenzione, Eric.»
Le sorrise e Sarah annuì.
La porta si chiuse e con essa la tiepida luce delle fiamme.
Era buio, troppo, ma non abbastanza.
Lo sentì e poi lo vide.
Il lampo di due occhi fra le fronde, il pallore di una figura che si
muoveva fra le ombre e fu allora che Eric avverti la pelle far male.
Si toccò il collo e guardò le dita.
Erano sporche di sangue.
No, era un incubo, uno di quelli che lo tormentavano ormai tutte le
notti.
Toccò ancora la ferita e altro sangue gli macchiò
le mani.
Non si fermava.
Cercò con agitazione quegli occhi.
«Dove sei? Codardo, vieni avanti, lascia che metta fine a
tutto!» ringhiò al vento della notte.
Nessuno rispose.
Guardò la porta della sua casa, guardo il legno chiuso.
Era al sicuro? La sua Sarah era al sicuro?
Il sangue era scivolato fin dentro alla stoffa dei suoi abiti, non si
fermava.
Si pulì ancora una volta il collo con la mano ma non
riusciva a impedire alla ferita di sanguinare.
Non capiva, non aveva risposte.
In quel diario non ne aveva più trovata alcuna, quelle di
padre Jonathan non le aveva volute udire.
«Mostrati!» urlò ancora, e ancora fu
silenzio.
«Ti ucciderò! Lo giuro sul nome di mio padre e su
questo
stesso sangue! Ti ucciderò, lurida bestia, mi hai
sentito?»
Affannò guardando in ogni direzione senza più
trovarlo.
«Hai sentito quello che ho detto? Ti ucciderò,
Adam! Ti ucciderò!»
«Eric?» Si voltò incrociando lo sguardo
di Sarah, i suoi occhi colmi di paura.
«Va' dentro, Sarah!» Stavolta fu privo di qualsiasi
gentilezza. «Vai!»
Gesticolò rabbioso verso la loro casa e a quel punto per
poco non gli mancò il fiato.
Le sue mani erano di nuovo candide.
Toccò il collo: non c'era più sangue.
«No, no, no, questo non può accadere...»
biascicò fra gli ansiti. «Non può
accadere...
»
«Eric, che sta succedendo?»
Si sfilò con impeto la maglia e la trovò senza
alcuna macchia.
La sua mente lo ingannava, la sua ragione si stava sgretolando.
«Eric, guardami!» Sarah gli prese quelle
mani pulite
e le strinse fra le sue, Eric guardò i suoi occhi
completamente
e irrimediabilmente perso. «Guardami.»
«Sarah...»
«Sono qui, amor mio. Sono qui.»
«Sarah... » Abbandonò la maglia a terra
e lasciò che le sue braccia lo stringessero forte.
«Sono qui.» L'abbracciò come forse non
aveva mai fatto, come forse non aveva mai sentito il bisogno.
*
La chiesa era
silenziosa, il pavimento freddo.
Adam sorrideva.
Il paletto giaceva a
terra.
Il sangue colava lungo
il suo collo.
“So
perché sei qui.”
Eric indietreggiava
strisciando sui gomiti e finiva con le spalle contro il muro.
“No, non sai
niente!”
Adam sorrideva.
Paura...
Fuoco...
Sangue...
“Io so
tutto.”
Adam incombeva su di
lui, gli spostava senza fatica la mano dalla ferita e sorrideva ancora.
“No...”
Eric tremava.
Dita fra i capelli,
ancora denti nella carne.
...
Il crocifisso lo
guardava.
Sangue... sangue...
sangue.
Le braccia di Adam erano
calde, bruciavano.
Eric bruciava con esse.
Paura...
Eric aveva paura di quel
fuoco.
Eric aveva paura di quel
sangue.
Eric aveva paura...
“So
perché sei qui.”
...paura di se stesso.
Si svegliò di soprassalto. Respirò profondamente
ma il cuore continuava a battere privo di controllo.
Era solo un incubo, l'ennesimo, ma solo questo.
Non era reale.
Non è reale.
Si toccò il collo e portò le dita sotto la luce
della finestra.
Tremò.
Erano sporche di sangue.
Lo sentiva: lui
era lì.
***
NdA.
Grazie a tutti per l'apprezzamento a questa fic ^///^
spero
sia
stato gradito anche questo secondo appuntamento e mi scuso se
è
stato un pochino tardivo.
Con mia sorpresa mi sono accorda che la storia ha da dire molto
più di quanto credevo per cui probabilmente
aggiungerò
qualche capitolino in più rispetto a quelli precedentemente
plottati.
Non so se sia una buona notizia per voi u////u
Alla prossima e tranquilli, le risposte arriveranno.
Come sempre per consigli, suggerimenti e riflessioni sono a vostra
disposizione ^^
Kiss kiss Chiara
p.s. Benché storicamente inappropriata, questa
è la sonata che ho immaginato suonasse Adam, la linko nel
caso vi andasse di ascoltarla. <3
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