Nota: salve, eccomi di ritorno con il secondo capitolo della
raccolta.
Lo scoprirete subito, ma Valy aveva ragione, la raccolta segue la giornata, per cui questo capitolo si intitola “pomeriggio”. No,
“notte” non è previsto, mi spiace Sisya XD
The Dark Side, ti chiedo scusa
per il ritardo del postaggio, ma sono
stata fuori città ^^” ridai la pistola a Riza, per favore XD (Ps. Hai visitato il forum del RoyAi?
^^ L’indirizzo è nel mio account!).
Kanchou,
vorrei tanto sapere anche io cosa ci fanno in Germania
dei tizi con nomi inglesi, purtroppo nessuno conosce la risposta ^^” Ho letto
alcune fic in inglese in cui i nomi li avevano
cambiati in tedesco, cioè, solo i cognomi avevano cambiato, i nomi erano
uguali. E io non ho idea di come si traducano Roy e
Riza in tedesco, oltre al fatto che mi farebbe strano chiamarli in altro modo
^^”
I misteri di FMA aumentano, io
continuo a sostenere che il regista del film si sia fumato qualcosa di pesante prima
di scrivere la sceneggiatura, altrimenti alcune cose proprio non si spiegano…
Beh, ma qui mica parliamo della GONZO, eh? Quelli sono dei geni totali, un po’ matti, ma dei geni ^^
Sono contenta che l’inserimento
di Grace come personaggio marginale vi sia piaciuto,
ho mischiato un po’ di cose, ma quando ho deciso di scrivere qualcosa
ambientata in un negozio di fiori mi è venuto spontaneo inserire anche lei ^^ Ho notato che in molte la sopportate poco… ma no, dai, non
ha ancora fatto nulla XD
Ho sempre pensato che se Roy e
Riza non avessero quel legame che li unisce, ma si conoscessero
superficialmente, non sarebbero mai andati d’accordo.
In fondo hanno caratteri molto diversi, e nel contesto di
Monaco non ci sono neanche le esperienze comuni dell’adolescenza nella stessa
casa, la guerra, e la realizzazione di un sogno comune. Per questo nella mia
raccolta si punzecchiano di continuo. Ma comunque
un’interazione c’è, no? ^^
Uhm, e avete colto tutte che Roy ha un piccolo interesse, eh? Dovevo calibrare meglio le cose
XD
Grazie a tutte per aver giudicato
originale la mia idea ^^
Vi lascio al secondo capitolo!
Rosengarten, Münich
Capitolo 2 - Pomeriggio
Il campanellino sopra la porta
d’ingresso del Rosengarten risuonò annunciando
l’entrata di un uomo in divisa, ma quello che Roy vide non fu il solito, tranquillo
interno del negozio di suo padre. Diversi clienti sbucavano dalle varie piante
presenti, chiedendo di essere serviti, o dando soltanto una sbirciata curiosa.
Le due commesse si districavano abilmente tra le varie richieste, assorte nel
loro lavoro, mentre un chiacchiericcio riempiva l’aria.
“Benvenuto al Rosengart-”
ma Riza bloccò il saluto non appena notò l’intruso, facendo una smorfia di
disgusto.
“Signor Roy!” esclamò Grace, abbandonando il suo cliente per andare ad accogliere
in modo degno l’uomo.
“Buongiorno, ragazze” rispose
lui. “Non pensavo che aveste tutto questo daffare, forse è meglio se passo più
tardi” si disse, mentre evitava uno dei tanti clienti che usciva dal negozio
con una voluminosa pianta esotica.
“No! Non ce ne
è bisogno, vero?” Grace sorrise, prendendolo
per un braccio e trascinandolo all’interno.
“Sì, invece” la corresse Riza, “non abbiamo tempo da perdere, siamo
impegnate. E tu, piuttosto, torna al lavoro” sgridò Grace, che a malincuore abbandonò il braccio di Roy per tornare
dal suo cliente.
Roy a quel punto si ritrovò decisamente solo e fuori luogo, optò quindi di girovagare
per un po’ all’interno del negozio, mentre Grace gli
lanciava occhiate languide ogni tanto, al contrario di Riza che aveva deciso di
ignorare del tutto la sua presenza.
Da quando aveva deciso di non
seguire le orme del padre, e quindi di non occuparsi della gestione del negozio di fiori di famiglia, non era mai stato attento
al suo interno. E doveva ammettere che quell’odore di acqua stagnante mista al profumo dei fiori non gli
dispiaceva poi più di tanto. Si avvicinò cauto a un
banchetto con diversi vasi di fiori variopinti sopra. Guardò Riza, intenta a
preparare un mazzo di rose al ragazzetto impacciato di fronte a lei, e poi
tornò al suo vaso, annusandone l’odore.
“Si allontani da quelle altee!”
gli gridò Riza.
“Ehi!” Roy si rialzò con le mani
in alto, “che vista! Mi fai paura…”
la prese in giro. Ma lei non lo degnò neanche
di una risposta, riprendendo il lavoro. Lui sorrise, riprendendo a bighellonare
in quei pochi metri quadrati.
“Ah, signor Roy, devo ancora
ringraziarla per avermi accompagnata a teatro, l’altra sera” annunciò Grace, urlando dall’altra parte
della stanzetta.
Roy le sorrise. “Figurati, se hai
altri biglietti fammi sapere, sono sempre disponibile ad accompagnare una
signora come te.”
Lei ridacchiò, arrossendo.
“Ecco a lei” Riza quasi lanciò il
mazzo di rose al suo cliente, che lo prese al volo. “Grazie di aver scelto il
nostro negozio” sussurrò a denti stretti.
“Ehm… mi scusi, signorina…” provò
il ragazzetto, “non sono un po’ troppo stretti, questi
fiori?” si azzardò a chiedere, notando che il nastro finale era stato stretto
con un po’ troppa forza. Si guadagnò solo un’occhiataccia da parte di Riza, già
pronta a servire un altro cliente.
“Sta forse dicendo
che non si fida del mio lavoro?” lo fulminò. Quello sparì di corsa fuori dal negozio, un po’ spaventato.
Roy rise sotto i baffi, notando
la scena.
“Signor Mustang!”
lo riprese Riza. “Se non ha nulla da fare, le devo chiedere di lasciare il
negozio.”
“Ma io
ho un motivo per stare qui” si difese.
Lei rimase in
attesa della sua spiegazione, che però tardò ad arrivare. Espirò contrariata,
continuando il suo lavoro, mentre Roy continuava a
guardarsi in giro…
Il tempo passò lentamente, ma
alla fine Roy era certo che non avrebbe potuto riconoscere neanche una delle
varietà di fiori presenti nel negozio, che tanto aveva osservate,
per via del numero spropositato, o per un altro piccolo particolare che aveva
focalizzato la sua attenzione.
“Riza, posso andare adesso? Ormai
l’ora critica è finita” si lamentò Grace,
notando che erano rimasti solo due o tre clienti.
“Vai pure, ci
vediamo più tardi.” Le concesse lei.
La ragazza castana salutò
amichevolmente Roy, prima di abbandonare il suo grembiule e uscire di corsa dal negozio.
Riza concluse
gli ultimi affari, mentre Roy la fissava con divertimento.
“Certo che sei proprio seria quando lavori…” le disse, quando anche l’ultimo
cliente fu uscito dal negozio.
Lei alzò un sopracciglio
incuriosita. “Dovrei divertirmi?”
“Beh, un sorriso non ha mai
ucciso nessuno, sembreresti molto più gentile con le persone” le fece notare.
“Nessuno si è mai lamentato di
me, e questo non è un centro ricreativo” rispose serissima.
“Non hai fatto
caso che la gente è intimorita da te e preferisce farsi servire da Grace?”
“E’ qui per dirmi
che non so fare il mio lavoro?”
“Non ti hanno mai detto che non è buona educazione rispondere ad una domanda
con un’altra?”
“Potrei dirle la stessa cosa.”
“E va
bene, va bene, mi arrendo, d’accordo?”
Riza espirò, portandosi una
ciocca dietro l’orecchio. “Insomma, Grace è andata
via, perché lei è ancora qui?” chiese educatamente.
“Ti ho detto
che ho un motivo.” Le fece presente.
“Pensavo che fosse Grace il suo motivo quotidiano” rispose scettica.
“Non oggi” rise, mentre lei
stropicciava il suo grembiule pulendosi con troppa forza le mani.
“E
allora mi dica, così la facciamo finita. O neanche io
posso aiutarla con il suo motivo?”
gli intimò.
“No, tu puoi aiutarmi benissimo”
sorrise. “Sai che Glacier ha partorito qualche giorno
fa…” cominciò.
“Sì, ha visto che bella bambina?”
gli domandò sorridendo e ritrovando il suo buonumore.
“Bellissima” concordò,
“solo che ancora non ho fatto nessun regalo alla neo-mamma, e pensavo che un
bel mazzo di fiori potesse andare… Tu che ne dici?” propose.
Riza restò pensierosa per un
momento, ponderando le parole dell’altro e le possibili soluzioni.
“Ehm… pensi che sia un regalo
stupido?” domandò leggermente insicuro.
“Sta chiedendo il mio parere?”
s’insospettì.
“Non ti piace proprio rispondere
alle mie domande, eh?”
Lei sbuffò incrociando le
braccia. “Non è un regalo stupido, ma forse ho qualcosa di meglio per lei…” le si illuminarono gli occhi, mentre teneva un dito sotto il
mento e scrutava la stanza in cerca di qualcosa. “Uhm, sì. Trovato.” E si diresse verso la porticina che dava sul retro,
voltandosi appena. “Lei non viene?” lo invitò.
Roy seguendola si ritrovò nella
piccola stanzetta del retrobottega, piena di piante, cartoni, nastri e attrezzi
per pulire.
“Mia piccola Riza, se volevi un
po’ d’intimità con me non c’era bisogno di portarmi qui” la prese in giro,
alludendo alla riservatezza dello stanzino.
“Non sono la sua piccola. E non dica scemenze.” Lo redarguì mentre
si accucciava a terra in cerca di qualcosa, tra un vaso e l’altro.
Roy rise piano, mentre si
abbassava anche lui, arrivandole vicino. “Cosa cerchi?”
le chiese.
“Questo.” E
gli portò all’altezza degli occhi un vasetto dai teneri fiorellini gialli.
“E
sarebbe…?”
“Primule.”
“Non è un mazzo di fiori…”
constatò.
“Questo è molto meglio!” Spiegò.
“Innanzitutto, questa pianta è una primula, che oltre
ad essere una pianta officinale ha anche un bel significato. Indica la speranza
di novità e il rinnovamento, esattamente ciò che porta con sé una bimba appena
nata, non crede che sia perfetta? E’ arrivata proprio ieri, è
fortunato. E poi ha il vantaggio che è dentro un vaso.”
Concluse, fiera di sé.
“E che
dovrebbe significare?” domandò incerto.
Riza alzò gli occhi al cielo,
come se fosse davanti a un bambino. “I fiori che
compongono i mazzi sono stati recisi, non durano a lungo. Come dire… sono morti. Invece le piantine hanno ancora
la loro terra, e le loro radici, e se vengono curate
bene possono fiorire anche per diversi anni. Non c’è niente di meglio che
regalare dei fiori vivi per una
nascita, non crede?” sorrise.
“Credo… di sì” si ritrovò a corto
di parole, notando come il piccolo sorriso di lei illuminato appena dal sole
pomeridiano oltre la finestra la rendesse molto più
bella, anche con i capelli raccolti e il grembiule sporco di terra. “Non
pensavo che tu fossi in grado di fare discorsi del
genere” rise.
Riza si allontanò un po’ da lui,
imbronciata. “Non mi importa che tipo di persona crede
che io sia, signore, lei non sa niente di me” lo rimproverò.
“Oh… Non volevo offenderti” si
scusò, notando l’espressione di lei, “volevo dire che
sei sempre così seria e distaccata, ma in fondo hai un animo sensibile” le
sorrise.
“Le ho già detto
che non mi importa cosa pensa di me, e non deve cercare scuse, signor Mustang”
disse scontrosa, nonostante la piccola sensazione di leggerezza che aveva
sentito dentro di sé dopo quelle parole.
“Non sono scuse, che devo fare?
Inginocchiarmi e chiedere il tuo perdono?” sbuffò divertito.
“Non ce ne è
bisogno, signore.”
“Ma la
vuoi smettere con questo signore? Mi
fai sentire vecchio!”
“Sono una sua dipendente, come
dovrei chiamarla?” chiese in modo retorico.
“Roy va benissimo, ad esempio…” provò.
“Non è un comportamento adatto a un rapporto tra datore di lavoro e dipendente.”
“Grace
mi chiama per nome” insistette tenace.
“Noi due non siamo amici.”
“Ma
potremmo diventarlo…”
“Sia serio per una volta, non
facciamo altro che litigare.”
“Possiamo sempre provarci.”
“Credo che i nostri caratteri non
siano compatibili, signore.”
“Ah” rifletté. “Non ti facevo
così facile a gettare la spugna, pensavo ti piacessero le sfide, altrimenti non
avresti accettato di lavorare come qualsiasi uomo.”
“Non è questo il punto.”
“Io ci vorrei provare. Insomma,
dovremo vederci praticamente ogni giorno per tutta la
nostra vita, non è meglio appianare le divergenze?”
“Dovremo vederci ogni giorno solo
perché lei si ostina a venire al negozio di continuo, senza un motivo valido.”
“Chissà… Forse un motivo c’è.”
“Allora, la compra?” chiese lei,
indicando la piantina e cambiando abilmente discorso.
“S-sì,
affare fatto” dichiarò, scuotendo la testa e alzandosi in piedi.
“Bene!” e posizionò
il piccolo vaso sul banchetto vicino a lei, pulendosi le mani. “Ora le preparo
una bella confezione regalo” ma appena si tirò in
piedi la colse un giramento di testa, che la fece barcollare. Roy prontamente le si avvicinò, cingendole la vita con un braccio.
“Riza? Che hai?” chiese allarmato.
“Non è niente, signore”
ma appena provò a liberarsi dalla sua presa perse di nuovo l’equilibrio.
Prima che cadesse Roy la avvicinò al suo petto,
sorreggendola con entrambe le braccia.
“Che
succede? Vuoi che chiami un medico?” domandò.
“N-no,
non si preoccupi, è soltanto un capogiro, tra poco passa” lo rincuorò,
aggrappandosi meglio alla sua divisa e chiudendo gli occhi, contro il suo
petto.
Roy la strinse più forte,
avvicinandosi ai suoi capelli profumati.
“Forse non avrei dovuto saltare
la pausa per il pranzo…” dichiarò dopo qualche minuto.
“Cosa??”
Roy si allarmò davvero stavolta, cercando di guardarla negli occhi. “Ma sei impazzita?”
“Non c’era tempo” rispose, come
se la cosa fosse normale.
L’uomo sbuffò. Certe cose non
sarebbero cambiate mai…
“E va bene, ora ci penso io” la
avvertì, allontanandola un pochino da sé, pur constatando con cura se riuscisse a reggersi da sola in piedi.
“Non ce ne è
bisogno, il suo aiuto è superfluo e non necessar-
Ehi!” fu interrotta prima di concludere la frase, perché con uno strattone Roy
l’aveva afferrata per il polso, non trovando il coraggio di prenderle la mano,
e la stava trascinando verso la porta. “Signor Mustang!”
Lo richiamò, senza effetto. “Signore!”
“Che ti
ho detto proprio poco fa di come devi chiamarmi?” la contraddisse.
“Non è il momento di fare storie…
Si vuole fermare?!” lo implorò, evitando per un soffio
un grande vaso di ciclamini viola nel centro del negozio.
“No. Fino a quando non ti
deciderai” fu la sua secca risposta.
“E va
bene, si fermi, si fermi! Roy!”
A quel punto lui si bloccò,
voltandosi per guardarla negli occhi.
“Mi dica almeno dove mi sta
portando” s’impuntò.
“A pranzo, mi sembrava ovvio.”
“Cosa?
Non è possibile!”
“Perché no?!
Non lo hanno ancora vietato” ridacchiò.
“Perché…
perché prima devo sistemare il suo vaso di primule!”
“Ma quello puoi
farlo anche dopo, dai.”
“Non ho intenzione di andare a
pranzo con… con lei” precisò
scontrosa e leggermente imbarazzata.
“E
perché no?” si stupì.
“Perché
non è appropriato!”
“Non posso portare a pranzo un
mio dipendente che si sente male?” si informò, curioso
della sua risposta.
“Non sono esattamente un suo
dipendente. E non mi sento male.”
Di certo non sarebbe
stato semplice, lo sapeva dall’inizio.
“E
un’amica posso portarla a pranzo?”
“Non sono una delle sue amiche, non ci provi nemmeno.”
“Ma
figurati! Per chi mi hai preso? Te lo prometto, mangeremo come due semplici…
colleghi?” propose.
“Conoscenti per causa di forza
maggiore suona meglio” lo corresse.
“Ma è
troppo lungo, e ora andiamo” e la strattonò di nuovo verso l’ingresso.
“Aspetti!” lo fermò,
guadagnandosi il suo sguardo. “Mi lasci almeno togliere il grembiule” arrossì,
mentre ormai capitolava sconfitta. Gli tese il braccio, una
volta sfilato l’indumento, mentre lui le sfiorò la mano, incerto se
prenderla o afferrarle di nuovo il polso.
Ma la sua indecisione non sfuggì
a Riza, che gli prese con forza l’indice e il medio con il suo palmo e lo
condusse fuori dal negozio.
“Sbrighiamoci, almeno.”
Fine
Nota: le altee sono un tipo di rose, simbolo della fecondità.
E in questo capitolo dovrebbe esserci un piccolo passetto di avvicinamento ^^ Il terzo capitolo è ancora in alto mare, temo che dovrete attendere ^^"
Piccolo avviso:
Ho deciso di evitare le risposte
ai commenti, tanto sono tutte ragazze che conosco più che bene, ne possiamo
parlare anche in privato ^^
Mi dispiace che i commenti
tendano sempre a calare, nonostante il numero invariato di letture, forse è una
mia mancanza, un calo di stile o una incapacità a
migliorare. Me ne rammarico, ma a questo punto forse è anche inutile che
continui a pubblicare qui su EFP, no?
Per ora concludo
la raccolta, poi vedrò. Sono più che riconoscente dal profondo
del cuore per ogni più piccolo commento che mi viene lasciato, ma
ammetto che la cosa è parecchio frustrante. Mi impegno
sempre al massimo in qualunque cosa scrivo, cerco sempre idee un po’ originali,
so di non essere per niente eccezionale, ma spero che qualcosa del mio impegno
traspaia.
Un piccolo riconoscimento farebbe piacere, a me come alle altre, magari non ve ne importa
niente, tanto avete qualcosa da leggere, ma per quanto mi riguarda non so fino
a quanto durerò. Almeno su questi (deserti) lidi.
Non so più che fare.