Disclaimer:
One Piece is the property of Eiichiro Oda.
Ciao a tutti! ^^
Due righe per una
piccola precisazione. Ho ambientato la storia durante il film Z, e non
vorrei fare spoiler a chi non avesse visto il film. Si tratta solo di
un particolare (quello che ho accennato nell’introduzione),
ma ci tenevo ad avvisarvi.
Spero come sempre
che la storia vi piaccia. ^^
Buona lettura!
Bimba
Bambina. Era tornata
bambina.
Se ne stava seduta
sull’altalena a guardare il prato sul ponte che mescolava il
suo verde acceso all’arancio del tramonto, in una miscela di
colori che le era sempre risultata gradevole. Eppure, le sue piccole e
candide mani di bimba,
si strinsero intorno alle corde che sorreggevano il pezzo di legno su
cui era appoggiata, fino a sentirle quasi bruciare per la loro
irritante ruvidezza.
I lunghi codini,
portati davanti e appoggiati sul petto ormai piatto, ondeggiavano
appena per la lieve brezza che si era alzata dal mare. Portatrice di
altri, dolorosi ricordi.
Si morse il labbro e
scosse la testa, cercando di pensare ad altro, ma l’aroma
salmastro proveniente dalle onde non le dava tregua, così
come quello delle sue amate piante di mandarino, cariche di frutti
profumati.
Possibile che tutti
quegli anni non fossero bastati? Perché non le era mai
sembrato così difficile resistere al dolore?
Ebbe un sussulto
quando le parve di sentire anche un sottile sentore di fumo di
sigaretta. Strinse gli occhi, e ancor di più le mani sulle
corde dell’altalena.
-
Nami...
Come un richiamo da un
tempo passato. Come un appello da un mondo che non esisteva
più.
- Nami-san.
Riaprì gli
occhi, sorpresa, volgendo lo sguardo dietro di sé: non
c’era il fantasma che aveva temuto.
- Tutto bene,
Nami-san? - le disse Sanji sorridendo. - Mi sembri un po’
tesa. Qualcosa ti preoccupa?
Come aveva potuto non
riconoscerlo.
Scosse leggermente la
testa, guardando verso il basso e dondolando dolcemente i piedi nudi.
L’altalena cominciò a muoversi, pian piano.
- Vuoi che ti spinga
io, allora? - provò a chiederle il compagno, notando la
difficoltà con cui si stava dondolando.
Nami scosse di nuovo
la testa. - Non sono una bambina, Sanji-kun.
Il tono freddo e serio
con cui aveva pronunciato quelle poche parole turbarono leggermente il
compagno: aveva visto il suo volto cambiare espressione in un battito
di ciglia, ma sebbene non volesse intaccare il suo buonumore, sapeva
quanto fosse necessario da parte sua comportarsi così.
Sanji-kun aveva due debolezze: le donne e i bambini.
L’aveva
sempre viziata quando dimostrava i suoi anni, e non le serviva a nulla
che esagerasse solo perché la vedeva in una forma diversa.
Per una volta, avrebbe fatto volentieri a meno di tutti i suoi servigi.
Non aveva bisogno di dolcezza gratuita.
- Perdonami. Ho
intuito male.
Si voltò
per guardarlo di nuovo, riconoscendo nella cadenza delle parole la
presenza del sorriso che gli vide disteso sulle labbra. Si stava
avvicinando a lei, e si accovacciò accanto
all’altalena, non appena l’aveva affiancata.
- So che dovrei
comportarmi come se fossi ancora la mia splendida e ventenne Nami-san.
- riprese parlando piano, con tono tranquillo. - Ma mi è
difficile non vederti come una bambina.
Nami rivolse
lo sguardo verso l’orizzonte: già sapeva cosa
pensava il cuoco della nave.
- Quindi, visto che
devo darti ragione, ti andrebbe di fare due chiacchiere da adulti?
La navigatrice strinse
gli occhi: poteva davvero concedersi quel lusso?
- Nami-san?
Si morse di nuovo il
labbro nell’indecisione di una scelta che avrebbe reso
partecipe, o meno, il cuoco dei suoi problemi. Le lacrime che le
stavano pizzicando le ciglia la facevano sentire infinitamente stupida.
Maledetto
questo corpo da bambina sentimentale.
- Nami... -
sussurrò Sanji dolcemente, appoggiando una mano sul volto
della piccola.
Le sfiorò delicatamente le palpebre con il pollice,
liberandola dalle lacrime che tanto la angustiavano.
- Non devi piangere.
Sai che preferisco vederti sorridere, no?
Le bastò
aprire gli occhi per capire quanto stava sbagliando. Avvolse le braccia
al collo del cuoco, per nascondere il volto sul suo petto. Voleva
sfogarsi, non riusciva più a trattenere tutto ciò
che sentiva.
Sanji la strinse a
sé, dopo qualche primo attimo di stupore: la piccola Nami
l’aveva percepita chiaramente quella sorpresa, sentendo
mancare il calore che si aspettava, ma quell’atto era stato
un gesto spontaneo che,
testardamente, volle ricondurre solo al fatto di essere di
nuovo bambina. Poco importava che il cuoco avesse bisogno di qualche
momento per recepirlo, in fondo aveva stupito perfino sé
stessa.
Eppure, in quel
momento che si era concessa per aprirsi ed alleggerire il suo, ora,
piccolo cuore, aveva sentito quella presenza rassicurante fare qualcosa
che non si sarebbe mai aspettata: ridere fra sé e
sé.
Alzò lo
sguardo verso di lui, avvertendo improvvisamente i gemiti e le lacrime
che scemavano, come se i sentimenti negativi da cui scaturivano fossero
stati impauriti e costretti a scappare di fronte a quello sprazzo di
dolcezza.
Le
accarezzò teneramente i capelli, senza mai spostare le iridi
dalle sue: non sapeva se ritenersi offesa dalla sua improvvisa
ilarità, o se lasciarsi trasportare da quella strana
situazione.
- Vedi, Nami-san? -
aggiunse poi, spontaneo come Nami non l’aveva mai visto. - Mi
è difficile non vederti come una bambina.
Davvero, non sapeva se
ritenersi offesa da tutto ciò che usciva dalle labbra di
quell’uomo, eppure, mentre una parte di lei si riprometteva
di fargliela pagare una volta riacquistata la sua età, non
poteva reprimere il desiderio di sapere che cosa Sanji volesse dire con
quella semplice frase.
Capì di
averglielo fatto intendere quando lui riprese a parlare. - Dal primo
momento in cui ti ho vista, ho sempre pensato che tu avessi qualcosa di
speciale. Il tuo sorriso, prima di tutto, che è stato
ciò che mi ha spinto ad avvicinarmi a te, e i tuoi occhi,
perché hai dei meravigliosi occhi da bambina.
Si concesse una pausa,
e Nami non seppe nemmeno cosa pensare. Voleva solo che continuasse e
capire finalmente la sua conclusione.
- I bambini non sanno mentire,
e tutte le volte che ti guardo vedo il riflesso di questa frase
stampato nei tuoi occhi castani. Non puoi nascondere nulla di
ciò che hai dentro, perché è
lì, ben visibile. È questo ciò che
amo: l’estrema sincerità di due occhi profondi
come i tuoi.
- I-io... - riprese
Nami, parlando tra nuovi singhiozzi. - Io non sono mai stata veramente
bambina!
Si rigettò
su di lui, stringendo la sua giacca con tutta la forza che aveva. - Mi
hanno tolto l’innocenza in un attimo, rendendomi testimone di
qualcosa che nessuno dovrebbe mai vedere in tutta la sua vita!
È stata a questa dannata età a cui sono tornata
che hanno assassinato Bellemère! Davanti a questi
dannatissimi occhi da
bambina che non riescono a smettere di piangere!
Gli aveva urlato tutto
quello che non aveva mai voluto dire, stringendo i denti mentre la
scena continuava a ripetersi dietro alle sue palpebre chiuse.
Bellemère che sorrideva. Bellemère che cadeva. E
Arlong che le aveva sparato.
Sanji
l’aveva lasciata fare: aveva percepito le sue braccia
stringerla, e nient’altro.
Fino a quando i
singhiozzi non si fermarono per la stanchezza, e non certo per il
volere, del corpo di Nami.
Attimi di silenzio, in
cui le sembrò che il cuoco stesse ancora valutando delle
nuove parole, forse per cercare di consolarla di un male troppo antico.
- Mi piace pensare che
i tuoi occhi siano lì proprio grazie a tutto questo.
L’istinto le
consigliò per un attimo di prenderlo a pugni di fronte a
tutte quelle smancerie inutili, ma nuove parole la fermarono
nuovamente. - L’innocenza che credi di aver perso si
è solo rifugiata da un’altra parte. Sei diversa da
Robin, Nami-san: lei ha perso tutta quella parte importante della sua
vita, nascondendola dietro ad un’indifferenza che
l’ha portata a sopravvivere, ma per te non è stato
lo stesso. Sei una bambina quando ti vedo ridere; sei una bambina
quando ti vedo spaventata; sei una bambina quando ti vedo piangere. Sei
solo troppo severa con te stessa, cercando di soffocare quello che
provi.
L’aveva
capito fin dall’inizio. L’aveva quasi presa in giro
con tutto quel giro di parole, solo per arrivare alla conclusione che
sapeva fin dal momento in cui l’aveva vista
sull’altalena che cosa non andava per il verso giusto. Le
sembrava incredibile come Sanji riuscisse a scrutare così
profondamente nella sua anima.
- Ma se vuoi, puoi
sfruttare questo momento al meglio, Nami-san. - disse distraendola dal
pensiero corrente. - Robin sta cercando di godersi quanto
può l’adolescenza che le è stata
restituita, perché non tentare di fare lo stesso?
- Mi stai chiedendo di
immedesimarsi nella bambina che non sono più, Sanji-kun?
- No. - le rispose
ancora ridacchiando. - Solo di liberare la parte di lei che possiedi
ancora.
Nami si concesse
qualche secondo per pensarci: passava le dita fra i lunghi capelli
rossi, tormentando un codino, indecisa se ne valesse davvero la pena.
Aveva un’occasione irripetibile per liberarsi per almeno un
istante di tutta quell’oppressione, forse provando ad
immaginare di essere ancora a Coconut Village a giocare mentre
Bellemère si occupava del loro agrumeto, o forse per tornare
ad essere davvero ciò che nascondeva, assaporando anche solo
per un momento la spensierata libertà di una bambina di otto
anni.
Sollevò il
volto incontrando ancora una volta il sorriso sincero di quel cuoco
speciale che non gli aveva mai fatto amare tanto la sua compagnia, e
annuì debolmente, distendendo appena le labbra ed accennando
un’allegria che lo illuminò di gioia.
Subito si
alzò in piedi, indicandole l’altalena e, vedendo
il suo sguardo perplesso, si affrettò a spiegare. - Esiste
qualcosa di meglio del librarsi nel cielo?
E lei non aggiunse
nulla. Si sedette solo su quella tavola di legno, constatando come una
semplice conversazione avesse cambiato la sua visione dello spazio
intorno a sé: assaporò l’aroma dei
mandarini trasportato dalla brezza marina, e si beò dei
colori del tramonto, ancora più accesi e coinvolgenti.
Infine, si trovò ad amare il sottile sentore di sigaretta,
che la portava senza indugi a vedere nei suoi occhi chiusi
l’immagine di Sanji.
In
fondo... Bellemère usava una marca totalmente diversa.
Sanji si
portò dietro all’altalena e diede una prima
spinta, così che la bambina potesse cominciare a dondolare.
Gli si strinse il cuore non appena la sentì ridere serena e
intuì il meraviglioso sorriso che doveva essersi aperto sul
suo volto ancora acerbo:
si sentiva in colpa per averla ingannata.
Sapeva che
l’ombra in quegli occhi castani non sarebbe mai scomparsa.
Si
merita questo momento di leggerezza.
Nami avrebbe dovuto
affrontarla e sopportarla per il resto della sua vita, ma, se glielo
avesse permesso, lui l’avrebbe accompagnata ed aiutata
volentieri.
Come
quell’altalena.
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