cenere
Cenere
L'
amore non dovrebbe lasciare nè graffi e nè
lividi, nè lacrime amare.
Ryouta sapeva che non era amore, quello di Aominecchi.
Iniziava a dubitare che nemmeno il suo fosse amore. Ossessione, magari.
L' ammirazione poteva provocare qualcosa del genere?
Aveva scoperto di amare la Kaijo al primo anno delle superiori e di
voler portare a tutti i costi la sua squadra alla vittoria, tuttavia
aveva scoperto di amare molto di più Daiki e quando lui gli
aveva detto "Vieni alla Touou" Ryouta aveva semplicemente annuito, in
silenzio.
Era successo tutto durante l' estate, durante uno degli ultimi
pomeriggi di un Agosto particolarmente afoso.
Erano distesi sul letto sfatto di Aominecchi. La casa era vuota, nella
stanza le finestre erano spalancate, le tende scure immobili
perchè nessuna brezza esterna poteva scuoterle, il silenzio
era interrotto solo dal ronzio del ventilatore acceso sul pavimento e
dai loro respiri.
Erano distesi sul letto, a fissare il soffitto, a distanza di sicurezza
l' uno dall' altro, mentre il respiro di entrambi si regolarizzava
lentamente.
Daiki era un ragazzo selvatico, era ferino come una bestia, annusava l'
aria con l' istinto del cacciatore. Era così anche nel loro
rapporto.
Era terribile.
Ryouta una volta si era convinto che ne sarebbe morto.
Non sarebbe mai riuscito ad afferrarlo, non sarebbe mai riuscito ad
essere lì, dove si trovava Aominecchi, per quanto si
sforzasse.
Gli sfuggiva sempre, lo vedeva sempre di spalle a tre passi davanti a
lui. Poteva allungare la mano all' infinito, tendere le dita sottili,
ma non avrebbe mai neppure sfiorato la sua schiena che si allontanava.
Daiki poi non aveva mai avuto molti riguardi nei confronti dell' altro
ragazzo, complice il fatto che il biondo gonfiava la sua autostima in
maniera spropositata.
Quel giorno d' estate Aominecchi lo aveva devastato. Ryouta aveva
sentito un tonfo sordo nel petto, come se qualcosa gli si fosse rotta
dentro, ripetutamente.
Daiki lo aveva assalito di baci, gli aveva tirato le labbra, le aveva
morse fino a farle sanguinare. Ecco perchè poi, alla fine,
Ryouta si era ritrovato le labbra arrossate e la bocca bagnata dal
sapore metallico del proprio sangue. Daiki lo aveva spogliato in
fretta, aveva stretto la sua carne tra le mani lasciando una scia di
lividi sulla pelle abbronzata del biondo.
Ryouta si era sentito una bambola di pezza, Aominecchi gli aveva tirato
il cuore fuori dal petto e lo aveva stretto nel proprio pugno.
Lo sapeva anche lui che Kurokocchi sarebbe andato in America con
Kagamicchi, che tutte le volte che Daiki incontrava Ryouta e lo batteva
durante un one on one oppure lo sbatteva contro il muro per farlo
inginocchiare di fronte al suo sperma era solo per sfogare tutta la
rabbia e la frustrazione che aveva nel corpo.
Certe volte, durante uno dei loro incontri fatti di sesso e dolore,
Daiki gli diceva di stare zitto.
Ryouta non poteva chiamarlo, non poteva gridare Aominecchi, non poteva
gemere.
Kuroko non avrebbe mai chiamato Daiki "Aominecchi" e Daiki non voleva
sentire la voce di Ryouta nelle orecchie ma quella di Kuroko.
Anche quel giorno Ryouta avrebbe dovuto tacere.
Lo aveva assecondato, aveva taciuto, aveva pestato il proprio cuore
sotto ai piedi convincendosi che non stesse facendo violenza a
sè stesso, che poteva andare bene anche così,
purchè fosse vicino ad Aominecchi.
Aveva stretto le gambe intorno al corpo dell' altro ragazzo, aveva
allungato le braccia intorno al suo collo e infine aveva chiuso gli
occhi piegandosi in un abbraccio malfermo all' ennesima spinta gonfia
di rabbia e dolore, fingendo che le proprie guance non fossero bagnate
di lacrime.
Alla fine rimaneva un letto disfatto, odore di sperma e sudore, un
cuscino bagnato di lacrime e sangue e due persone distese a
guardare un soffitto di latte senza neppure sfiorarsi.
Per Ryota la presenza di Daiki era schiacciante, era pienamente
consapevole che l' altro fosse al suo fianco. Così
preponderante nella sua vita e così irragiungibile. Avrebbe
potuto allungare la mano e sfiorarlo, fisicamente, perchè
Daiki rimaneva sempre tremendamente lontano da lui.
Aominecchi
era il suo demone, era il suo peccato, le catene del suo inferno. E lui
lo sapeva, ne era ben consapevole, lo aveva scelto lui stesso.
Daiki non aveva mai considerato quanto e se Ryouta contasse. Non aveva
la benchè minima importanza perchè tanto Kise c'
era sempre. Era una presenza scontata, un animale ben addestrato.
Daiki guardava il basket, sè stesso e Kuroko. Il resto non
contava minimamente.
Daiki era vittima di sè stesso e del suo logorante egoismo.
Lo stesso egoismo e la stessa insoddisfazione che gli avevano fatto
perdere di vista il perchè giocasse a basket e che gli
avevano impedito di continuare la relazione con Kuroko, finita
bruscamente durante l' ultimo periodo delle medie.
Poi, alle superiori, non aveva neppure provato a ricucire quel
rapporto. Era un amore che si accontentava di guardare da lontano, un
frutto che a priori non voleva raggiungere per pigrizia, per egoismo,
per autocommiserarsi un po'.
Per noia. Chissà che quella non fosse l' emozione che
smuovesse il mare piatto della sua vita.
Forse si era aspettato che Kuroko non andasse avanti, che venisse da
lui.
Non aveva contemplato la possibilità che il ragazzo
cambiasse pagina, che arrivasse Kagami.
Questo lo aveva fatto impazzire, non sopportava l' idea di essere in
qualche modo spodestato, di perdere una sfida immaginaria.
Non sapeva se Kuroko fosse amore o fosse capriccio.
Dentro sentiva solo un' enorme insoddisfazione per tutto che si placava
per un attimo quando l' odore di Ryouta sulla pelle e tra le mani lo
investiva come una scarica elettrica. Come il frutto del peccato lo
attirava, come una vergina pura lo incantava.
Era affascinate quel misterioso incantesimo che si impadroniva di lui,
come il demone del suo istinto si risvegliasse di fronte a quegli occhi
di miele.
Come fosse osceno e volgare il loro rapporto fatto di sesso e di
scambi, fatto solo di istinto e di carne.
Daiki era vittima e carnefice, era demone e diavolo, era una catena
troppo corta da non darti neppure il miraggio della libertà.
-Potresti venire alla Touou- la voce di Daiki era roca, lo sguardo
fermo sul soffitto.
Ryouta si era girato a guardarlo. Ne aveva scrutato il profilo
immobile, gli occhi persi nel vuoto. Aveva sussultato interiormente
pensando che forse... lo amasse e lo volesse vicino?
Oh, che sogno assurdo.
Si era dato dello stupido da solo per quel pensiero idiota. Non poteva
essere, lo sapeva.
Lo voleva vicino, almeno.
Era questo ciò che contava, che importanza avevano i motivi?
Che importanza aveva se la catena che lo allontanava dalla
libertà si accorciava, se sprofondava ancora di
più nell' Inferno?
Aveva annuito, sorridendo.
Aveva firmato la sua condanna, se ne era reso conto quasi subito.
Quell' amore lo stava bruciando dall' interno, gli stava consumando l'
anima. Alla fine di lui non sarebbe rimasto altro che cenere.
------------------
DISCLAIMER: I personaggi di Kuroko no basket non mi
appartengono. Non scrivo a scopo di lucro.
|