Ditemi che c'è qualcosa di meglio. Avanti, provateci.
Sono all'Università!
Niente più prese in giro, niente più sgridate dai
professori, niente calci, niente rospi nascosti nel mio
zaino…
"Ehi, matricola!"
O forse no.
"Guarda 'sto scemo!"
Ero a terra, caduto come un salame. Qualcuno mi aveva spinto. Dietro di
me un gruppo di ventenni ridacchiava.
Mi rialzai spolverandomi i vestiti come se nulla fosse. E continuai a
camminare. Dopotutto ci ero anche abituato.
"Amico, solo il primo giorno e già ti fai mettere a K. O."
disse Giorgio, detto Giò dandomi una pacca sulla schiena in
segno di incoraggiamento, come faceva sempre lui.
Era il mio migliore amico dalle elementari. Niente ci aveva mai diviso.
"Non preoccuparti, Giò. So cosa devo fare. Mi sto solo
riscaldando. Era tutto … calcolato."
Lui alzò le sopracciglia e mi squadrò per bene.
"Tutto calcolato … come quella volta in cui sei entrato per
sbaglio nel bagno delle signore nella stazione di servizio?"
"Che sberle che mi hanno dato…" dissi massaggiandomi la
guancia.
"Oh, sì, sentivo il rumore degli schiaffi dal bagno degli
uomini!"
"Comunque no, Giò," continuai dopo una breve pausa "non
è come quella volta. Le cose stanno per cambiare."
"Ne dubito, amico. Avanti, ammettilo, tu sei la pubblicità
della sfiga. Hai un talento innato per fare figure del cavolo."
"Giò, rilassati." Gli passai un braccio intorno alle spalle
e lo strinsi a me. "Lo senti questo odore?"
Lui fece un respiro profondo e disse: "È odore …
di mia madre! Ti sei messo un profumo da donna?!"
"Era merce in saldo!" replicai scansandomi. Poi, cambiando discorso:
"Giò, questo è odore di cambiamento! Sono
all'Università! E ci sei anche tu! Mamma, mai lo avrei
immaginato."
"Cos'è che non avresti mai immaginato, il fatto di essere
all'Università o il fatto che ci sia anch'io?!" disse con
tono minaccioso.
"Cosa importa? Ci laure-e-eremo e diventeremo medici! Andiamo!"
"D'accordo Tony, capisco il tuo entusiasmo, in realtà non lo
capisco per niente, ma mancano più di 20 minuti all'inizio
della lezione. Non urlare e stai calmo."
"Va beeene…"
Ci sedemmo sul ciglio della strada, le spalle
all'Università, con la testa tra le mani, riflettendo un po'
e aspettando.
Poco dopo, vidi un'auto che faceva retromarcia e si avvicinava.
"AAAAAHHH! Non mi uccida, signore, per favore, la prego, ho ancora
tante cose da vivere, non ho ancora una ragazza, una famiglia, voglio
diventare medico, voglio lavorare! Solo ora capisco il significato
della vita, mi dispiace se a volte l'ho disprezzata!" strillai a pieni
polmoni.
Una voce da dentro la macchina disse: "Ragazzo, spostati, devo
parchegg…"
"Caro Diario, oggi sono morto. Sono stato ucciso da un'auto davanti
all'Università. Lascio tutto al mio cane Rocky. Addio,
crudele mondo!" strillai in modo teatrale.
La scena era questa: il tizio che faceva restromarcia lentamente
dicendo di spostarmi, Giò seduto accanto a me che mi
guardava con un sopracciglio alzato e io agonizzante per terra che
strillavo come un ossesso.
Il sipario stava per calare e l'ultimo atto sarebbe stato …
quello della mia morte.
La macchina si fermò, per fortuna, proprio a due centimentri
dal mio naso…
"Sono più di 50 centimetri, Tony…" disse
Giò.
Odio quando mi interrompe! Sono io la voce narrante di questa storia!
Dall'auto uscì un uomo alto, muscoloso, dai capelli grigi.
Aveva lo sguardo duro, i capelli di un grigio stanco e un'espressione
scocciata.
Quell'uomo … mi aveva salvato la vita!
Ma non ebbi il tempo di ringraziarlo che era già sparito.
Mi ricordai di essere in ritardo per la lezione…
"Tony, manca un quarto d'ora all'inizio." disse Giò.
"Non interrompere i miei pensieri, Giò!"
Dicevo… mancava poco all'inizio della lezione…
"Non è vero, Tony…"
STA' ZITTO!
Corsi nell'aula e trascinai Giò il più possibile
vicino alla cattedra. Il professore non era ancora arrivato.
Non c'era ancora nessuno, solo qualche studente in prima fila come noi:
una ragazza mora e bassina che parlava con una bionda, sorridente e
dagli occhi azzurri, un ragazzo castano che messaggiava e un altro
biondo dagli occhi chiari, quasi trasparenti, dallo sguardo duro che
fissava il cubo di Rubik che stava risolvendo.
Stavo seduto impaziente, in attesa che arrivasse il professore.
Dopo minuti che mi sembrarono interminabili e dopo che l'aula si fu
riempita di studenti, entrò il professore.
Era l'uomo di prima, il mio salvatore!
"Salve". La voce del professore risuonò per l'aula.
"Salve!" dissi a voce abbastanza alta da farmi sentire da lui.
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, poi distolse lo
sguardo e parlò agli studenti.
"Sono il professor Conti. Dato il mio cognome, so che molti crederanno
che sarei stato più portato per insegnare matematica, ma
sono troppo intelligente e, ahimè, ho preso la laurea anche
in medicina, così mi è toccato insegnare a voi
poppanti. So che volete fare i dottori, ma scommetto che la
metà di voi non sarà all'altezza da superare
nemmeno il primo esame. Non reggerete un attimo in ospedale, bimbi. Non
avete il fegato. Detto questo, possiamo cominciare. Sono il vostro
professore di medicina e vi torturerò per ben cinque anni
della vostra misera vita."
Stavo sventolando il braccio come una bandiera.
"Che c'è?" chiese il professore sbuffando.
Mi alzai in piedi e dissi: "Mi stavo chiedendo…"
"Non importa, pivello. Sta' zitto e non rompere."
Mi sedetti e obbedii.
"Testiamo il livello dei nostri alunni… Tu, con
quell'aspetto da killer seriale." si stava rivolgendo al ragazzo con
gli occhi di ghiaccio con il cubo di Rubick in mano. "Sai
cos'è un lupus?"
Il ragazzo rispose con freddezza: "È una malattia cronica
autoimmune. Riguarda in prevalenza il sesso femminile e colpisce spesso
cuore, pelle, polmoni, fegato e sistema nervoso."
"Corretto. E quale esame è necessario per diagnosticare la
malattia?"
"L'esame degli anticorpi antinucleo." continuò il ragazzo.
"Esatto. C'è scritto anche sul vostro libro di testo, che
tra l'altro ho scritto io…"
"Io l'ho letto!" strillai compiaciuto.
"Non hai visto manco il titolo, vero amico?" mi sussurrò
Giò.
"Giò, non metterti a formalizzare, adesso."
Il professore si voltò verso di me e chiese: "Come ti
chiami, ragazzo?"
"Antonio … ma i miei amici mi chiamano Tony. Lei
… lei mi chiami pure Tony." dissi con entusiasmo.
"Bene," sorrise lui. Poi rivolgendosi agli studenti: "La prossima volta
non mancate, che sezioniamo Tony."
A fine lezione uscii con Giò dall'aula e mi diressi verso il
cortile. La prossima lezione sarebbe cominciata tra due ore.
Ci sedemmo insieme sulla panchina a mangiare qualche snack.
"Quello là deve darsi una calmata!" disse Giò.
"Giò! Non parlare così, ha un sacco di lauree,
è un genio, è … un mito…"
"Tony, ma hai sentito cosa ha detto su di te, prima?"
"Certo! Mi ha chiamato Tony! Tony, non Antonio, capito, sono un amico
per lui!"
"Sei senza speranza".
"A me piace." gli dissi.
"Tu sei un caso a parte."
"Sai cosa ti dico, invece? Io ci vado a scambiare qualche parola."
Mi alzai e andai in cerca del professore.
"Saaalve, professore … Eh, eh…"
Distolse lo sguardo dal taccuino su cui stava scrivendo e mi
guardò. "Ah!" disse lui sorridendo. "La nostra cavia! Mi par
di capire che hai anche qualche ritardo mentale, ragazzo, gli studenti
di psichiatria ne sarenno contenti."
"Eh eh, sì …" dissi con un sorriso ebete sulla
faccia.
Non so perché, ma quando sono sotto pressione o sento
emozioni forti comincio a ridere e a fare casino. Come quella volta al
funerale dello zio di Giò…
"Era un brav'uomo e
sarà per sempre nei nostri cuori, anche se non ci
sarà più fisicamente accanto …"
"AH AH AH AH AH!
"…"
"Scusate, mi
è scappato."
Mi riscossi dai miei pensieri. Dovevo trovare un argomento per parlare
con l'insegnante…
"Signore, trovo molto attraente la sua maglietta."
Lui sollevò un sopracciglio. "È solo un camice da
medico."
"Sì … ma trovo che il bianco le stia molto bene."
"Ragazzino, non mi rompere." disse.
"Grazie per avermi salvato la vita, prima, con la sua auto!"
"Non ti ho salvato la vita. Solamente, non ti ho ucciso."
"Non dica una parola, non c'è bisogno di fare il modesto! Da
ora in poi sarò il suo angelo custode, come posso iniziare a
sdebitarmi?"
"Lasciandomi in pace, microcefalo."
Mi lanciò addosso la matita che teneva in mano e se ne
andò sbuffando.
Lo guardai allontanarsi e gli gridai dietro: "Eh … Allora
… ci si vede domani!".
Lo sguardo mi cadde sulla matita che il professore aveva lanciato.
Raccolsi quel piccolo oggetto come se fosse una reliquia.
Sospirai e mi diressi di nuovo verso Giò.
"Ti ha picchiato?"
"No. Mi ha fatto un regalo."
"Cosa?"
"Questa matita!"
"Te l'ha regalata?"
"Veramente me l'ha lanciata, me l'ha quasi messa in un occhio, ma sai
come si dice … è il pensiero che conta!"
"Sei scemo."
"Mi ha salvato la vita!"
"Non ti ha salvato la vita, non ti ha soltanto fatto fare la fine di
una sottiletta!"
"Non sminuire il suo altruismo!"
"Quello non sa cosa significa la parola 'altruismo'"
"Sì, invece. Fuori sembra rigido e impassibile, ma ti
assicuro che sotto sotto non è così."
"Non capisco cosa ci trovi di tanto emozionante in quel tizio."
Tutto era emozionante in quel "tizio".
Mi aveva salvato la vita! Era il mio eroe.
Un po' il padre che non ho mai avuto.
E ditemi che c'è qualcosa di meglio.
Avanti.
Provateci.
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