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Note: Ottavius-Impero Romano | Ariovisto-Magna Germania.
Volevo
in realtà togliermi un grande sfizio. Vedere magna Germania come
un elfo mi ha tartassato- e son somiglianze con il nostro Legolas che
fan fiorire ciò. Mi rendo conto che sia parecchio fuori dalla
mia idea di canon, vedere un barbaro d'un'eleganza spaventosa, ma
datemela buona. Fra gli avvertimenti sta un bel "NONSENSE"- a ragione, non a caso.
Grazie in anticipo- spero non sia tempo perso per voi incuriositi.
Ne guardò il viso levigato, tanto bello da essere astratto- pulito e puro e intoccabile.
Ne avrebbe tessuto lodi, se solo un
rantolo di macabra inquietudine avesse evitato di grattar le costole,
spirando sibillino nei polmoni. Sensazione terribile, -perfetta!-
strana ed incongruente, dato che la meravigliosa vista si specchiava
ora in un ricordo.
Se solo avesse avuto modo, di
sfiorarne i capelli biondi, e tastarli, tirarli, solo per dimostrare
che fossero umani. Eppure la pelle, le labbra, bramava di toccarle e
morderle, per vederne il sangue- e che fosse rosso! E scendendo
serpentino l'avrebbe rassicurato, perchè allor nel cuore d'un
soldato si sarebbe giunti alla conclusione che pure lui era figlio di
quella terra. E come uomo ne avrebbe fatto avversario, forse tesoro
della sua voce, escluso che si trattasse d'un qualcosa di tanto
speciale- "E se davvero tu lo fossi, Ariovisto, allora ti vorrei. A me come unico, sotto il mio potere, sopra la mia mente".
- Non muoverti.-
Il sussurro sgusciò piano,
or diretto alle orecchie puntute dello straniero. Vorrebbe essere tanto
vicino da poterne sfiorare la veste. -Ottavius, non avvicinarti.-
Odiava, lui, esser comandato. E non
soffriva lo sguardo prenentorio, il più semplice suo sorriso, il
tentativo vano d'unire quel suo microcosmo alle sue conoscenze veniva
ancora attaccato e sbranato dai veri intenti di Ariovisto, che
volentieri assumevano l'abnorme forma d'una fiera. Il viso d'un dio,
artigli affilati delle bestie.
- E scapperai? Tu che non sei
umano, ancora mi temi?- E a ben dire, la provocazione per il romano era
l'atto più simile ad un sensuale groviglio di corpi, serrati e
stretti, che par si violino e accarezzino; le parole pungono, vogliono
la tua reazione, e se mai entreranno dentro te, quanta fatica farai a
dimenticarle.
Osservò il fare dell'altro,
più alto, sempre sopra e innanzi a lui, e cammina come se i suoi
piedi fosser fatti d'edera, che lenta cammina sui muri- e silente,
imita il sospiro delle fine foglie che suonano al vento; ha avuto prova
del loro canto, ancor quando l'aveva stretto fra le braccia.
- Dove andrai, Ariovisto?-
Ricordo le notti buie, le selvagge foreste scure, ove le ombre erano tetto e casa, ed il tuo sospiro caldo il mio fuoco.
- Non son vile, uomo.- Soderò così la lancia acuminata, in un respiro controllato.
Nella sua irrealtà, un gesto
tanto onorifico mai avrebbe potuto toccare quello disperato del
sentimento umano; forse rozzo, ma ancor più forte e tonante. Un
fulmine.
Vagheggia nella mia mente il tuo ostruzionismo, i muscoli tesi ancor
prima che portassi le mie mani a tastare le tue carni, eppure pareva
tanto naturale- e ciò sino nei tuoi occhi ribelli. Quanto eran
belli, quanto gli astri impallidivano invidiosi, alla loro vista.
Rammento in breve, i baci a te tanto
sconosciuti, che ricambiavi con la confusione del trovarsi desolati, al
vista di pochi indizi. Tu nel sentiero tracciato: spinto dai morsi,
dalla mia lingua calda e bollente, che voleva e vuole ancora, dal mio
riso mai soddisfatto.
I passi, seppur su terra battuta,
sollevarono sol briciole di polvere- ed iniziarono la danza in
compagnia vostra, delle vostre lame ed esperienza. I movimenti ebbero
l'ampiezza di un braccio, perchè distratti hanno ancora l'odore
dei pensieri.
Ottavio è conscio quanto
Ariovisto fosse agile, e forte e tremendo, quanto una lancia in sua
mano sarebbe potuta diventare la più temibile delle armi. Eppure
il romano è uomo,
e come tale ha la trascendenza della sua volontà: valica spesso
l'impossibile, merita il rispetto di chi possiede qualità
stupefacenti.
Odiavi forse, le mie mani. I polpastrelli che ti tastavano. E tremavi, mai per il freddo, giacchè tu non ne provi.
Scalciavi, mi facevi impazzire; e
dè tuoi ringhi e mugolii componevo una sinfonia eccitata,
vibrante, tanto attesa e passeggera da rendersi peccatrice. Avresti
potuto rifiutare, le mie attenzioni? Il mio forse sgraziato modo di
divaricar le tue gambe, e pretendere le tue grida? Certamente, e ancor
mi chiedo perchè tu non ne abbia posto fine.
Il combattimento si fece più
fitto, d'una mescolanza di colori e fiati, in uno sregolato tintinnare
e sciabordare di suoni metallici- or si udì la determinazione
dell'avversario, nelle sue mosse che sempre vanno a segno; non vi fu un
attacco che passò a vuoto, perchè mai uno di loro
indietreggiò.
Ariovisto era d'una razza eterea,
diversa, brillava nel combattimento e sfoggiava le qualità d'un
tiratore, un animale e una dama.
E nel mentre che andavano avanti, fiori rossi sui corpi tesi.
Cercavo
in tutti i modi, di vincere- pur barando, giocando sporco, inumidendo
ogni tuo nervo scoperto, scaldando col mio tocco ciò che
già bruciava di mie precedenti attenzioni. Immagino di non aver
mascherato troppo il mio essere preso, e ciò che unii in un
bacio.
Ti volevo mio, e nulla ho fatto per nasconderlo.
Tu, quindi, mi volevi tuo?
E rapidamente, in un sobbalzo, fu
Ottavius ad aprir gli occhi spossati, si gonfi- più malati di
prima, in quanto mai si erano beati di ultimi incontri e scontri.
Vide la sua esperienza in sogno,
glielo sussurrò scocciata la domus che piano pompava vita, ed il
sole che scaccia buio e torpori della notte; tutte le sue visioni e
speranze, cancella i più grandi dubbi nel vuoto
dell'inenistenza.
"Cosa
potrà mai essere se non un sogno, il viso della perfezione? Che
ruba il bello ai belli, la forza ai potenti, l'agilità ai
felini? Solo gli occhi tuoi, mi fan inorridire,
della consapevolezza amara
e tanto spiacevole, Ariovisto,
che possano non esistere."
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