Avevo
già pubblicato questa storia tempo fa.
Come sto facendo con un po' tutto ciò che appartiene al
passato, la ripropongo in una versione più completa,
più accurata, con una grammatica più decente.
Con la speranza che possa emozionare il lettore nella stessa maniera in
cui ha emozionato l'autore,
Lechatvert
Fluoxetina
cloridrato
https://www.youtube.com/watch?v=9wIbylO24gE
« Sa una cosa, signor Lange? »
« Cosa?
»
« Lei
è davvero un paziente perfetto. In tutti questi anni non
l’ho mai sentita lamentarsi di nulla »
«
Perché? È possibile lamentarsi?
»
« Naturalmente
no, ma qualcuno ci prova, di tanto in tanto ».
Aprì gli occhi lentamente, tamburellando le dita intorpidite
sul legno del pavimento laccato.
Una voce flebile gli giunse
all’orecchio, talmente debole da sembrare quasi innaturale.
Il dolce tepore che avvolge gli addormentati lasciò a poco a
poco il suo corpo, cosicché potesse finalmente destarsi dal
sonno inatteso in cui era piombato e realizzare quanto solo fosse in
quel momento. Solo come quando era nato, come quando era cresciuto e
come probabilmente sarebbe morto.
« Mi sente? »
La voce che l’aveva destato
si lasciò scappare una risata che risuonò
cristallina all’interno del salone.
Le luci soffuse delle candele illuminavano una figura inginocchiata
accanto a lui, ma la vista era troppo debole per permettergli di
mettere a fuoco qualsiasi volto.
« Signor Lange, va tutto
bene? »
Provò ad alzarsi, piano. Non ricordava nemmeno cosa ci
facesse, in quel posto.
« Mi scusi, »
balbettò, confuso. Il petto gli doleva e la mente lo
scongiurava di rimettersi sdraiato. « Devo essermi
addormentato. Sono mortificato, non dipende da me ».
Udì un’altra risata.
« Non si preoccupi,
lo so ».
« Io sono … »
« Narcolettico, sì. Me lo hanno detto ».
Roteò gli occhi. Le voci giravano veloci un po’
ovunque, allora.
« Immagino le abbiano detto anche il mio
nome ». Sospirando, si tastò la camicia bagnata,
percorrendone in silenzio i contorni ricamati. « Mi hanno
sparato? » Chiese ingenuamente. Attraverso il foro del
proiettile poteva sentire la carne putrida tendersi sotto al suo tocco.
« Sì, due minuti fa ».
« E sono … »
« No, non ancora. Ma lo sarà tra qualche secondo.
Non se la prenda: il generale von Kleist aveva le mani legate
».
Ma certo, sì. Dietrich aveva sempre avuto le mani legate per
tutto. Per la sua famiglia, per il lavoro, per l’amore che si
era lasciato scivolare addosso con l’assurda convinzione di
non avere abbastanza tempo. Alla fine non era riuscito a liberarsi dei
suoi errori nemmeno per lui, Friedrich Lange, quello che lo aveva
sempre accompagnato ovunque, quello che a forza di patti e segreti
condivisi era finito per diventare il suo migliore amico.
Tirando su col naso, si rizzò in piedi.
L’aria
profumava di mirto e cannella.
« Dove siamo? » Chiese, muovendo un passo verso la
figura ancora a carponi sul parquet. La suola degli stivali stridette
fastidiosamente sulla cera.
« Non lo so! Me lo dica lei, signor Lange! Questo
è il suo
spirito! »
Il vento fece tremare i vetri della sala.
Friedrich avvertì
un lieve capogiro, ma nulla di grave. Aveva almeno dieci minuti prima
che la sua malattia lo facesse ricadere a terra in cerca di un altro
sonnellino fuori orario. E dire che aveva sempre odiato quel lato di
sé. Sua sorella, invece, ne era sempre stata entusiasta. Lo
usava come scusante per sentirsi diversa dagli altri bambini e si
dichiarava speciale, piena d’orgoglio e con un pizzico di
arroganza, quando poteva saltare l’attività fisica
della scuola elementare.
Cosa avrebbe dato, lui, per possedere anche solo un briciolo della
spensieratezza della ragazzina con cui era cresciuto! Le memorie della
sua infanzia passata a Düsseldorf sfiorivano rapidamente
così come la felicità che erano capaci di
portare, ma il volto di sua sorella non sarebbe scomparso altrettanto
facilmente.
Con arroganza, la voce interruppe i suoi pensieri.
« Ma
… », cominciò, improvvisandosi
indecisa. « Non mi chiede la cosa più importante?
»
« Ossia? »
Udì l’ennesima risata.
« Ossia
“Mia sorella sta bene?”, oppure
“Christina è ancora viva?”. Le ripeto,
signor Lange: questo è il suo spirito! »
Non aveva bisogno di una domanda così sciocca.
Christina era
viva; sentiva il suo animo frizzante e orgoglioso pulsare dentro di
lui. Mai una notte, guardando da solo il cielo stellato, si era posto
questioni simili. L’allegria della sua infanzia era sfumata
da tempo, tingendosi del nero più profondo, del colore del
baratro in cui lui stesso aveva finito per perdersi, e se
c’era qualcosa che lo teneva ancora appigliato alla luce era
sua sorella. Erano anni che ormai la osservava di nascosto, da lontano,
ma ogni giorno bastava un suo sguardo, un suo sorriso per incoraggiarlo
a muovere i passi per resistere fino al successivo. Come avrebbe
potuto, altrimenti, sopravvivere tutto quel tempo?
Un’esistenza senza Christina equivaleva al più
ardente degli inferni.
Bruciavano da anni la sua gaiezza, il suo buon cuore, le speranze e i
progetti per un futuro migliore, eppure niente riusciva a strapparlo
dal mondo quando aveva la certezza che sua sorella era assieme a lui.
E ora che tutto era finito, ora che le sue sofferenze avevano avuto
fine, gli toccava il dramma più grande. Separarsi da quella
che era stata la sua metà, la fanciulla che aveva saputo
essere più indispensabile dell’amore,
più sfuggente di qualsiasi amante. In fondo era egoistico,
da parte sua, voler a tutti i costi restare per una persona forte come
Christina. Lei sarebbe stata abbastanza forte per continuare senza il
suo fratellino.
Friedrich ne era consapevole.
« La mia felicità ha smesso di bruciare
», asserì, voltandosi verso la voce. Aveva sul
volto uno strano sorriso di autocommiserazione, quasi fosse sconfitto e
vittorioso allo stesso tempo. « Ma quella di mia sorella deve
ancora sbocciare. Non mi servono risposte a domande simili,
perché lei è in me come io sono in lei
».
La figura scura padrona della voce allora ricambiò con un
ghigno, alzando una mano verso il ragazzo.
« Ha ragione,
signor Lange », gracchiò, acida, afferrandogli il
polso con un gesto secco. « E lei lo sa
cos’è il vostro collegamento? »
Slacciò il polsino della camicia, arrotolandone la manica
fino alla spalla. « Sono io. Ha capito chi sono, non
è vero? »
Friedrich deglutì, osservando il braccio devastato dagli
ematomi delle iniezioni che durante la sua vita lo avevano condannato.
Fluoxetina cloridrato,
in fase di sperimentazione.
Per i due medici che avevano insistito per
prescriverla non c’era stata nessuna sperimentazione se non
sul suo stesso corpo.
« Sì », rispose, deciso, scuotendo il
capo per liberarsi di quella cosa più simile a un campo di
battaglia che a un arto umano. « Sei la mia malattia
».
Fantastico. Quel dannato farmaco lavorava anche dopo la morte. Non
avrebbe mai avuto pace, se lo sentiva. Le allucinazioni lo avrebbero
perseguitato per sempre.
Fluoxetina cloridrato.
Probabilmente non sarebbe mai stato capace di liberarsene.
Avvertì un lieve capogiro, poi la voce tornò a
parlare.
« Tempo scaduto, è ora di andare. Lo sa, signor
Lange, abbiamo un intervallo prestabilito ».
Quasi senza accorgersene, Friedrich si accasciò fiaccamente
sul parquet, incrociando le braccia sullo stomaco in preda ai crampi.
Chiuse gli occhi e ripiombò nel più profondo dei
sonni, raggomitolandosi su se stesso come in preda a un incubo.
La Fluoxetina avrebbe continuato ad agire, lo sapeva, e quella figura
l’avrebbe accompagnato per tutta
l’eternità. Perché quello era
l’ultimo collegamento con una persona che non voleva perdere.
E perché, in fondo, la sua malattia non era altro che la
base della felicità che per anni aveva bruciato.
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